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 2011  maggio 27 Venerdì calendario

LUKASHENKO SVENDE I GASDOTTI A MOSCA —

Per le strade di Minsk si distinguono due tipi di file. Ci sono innanzitutto quelle di chi tenta di acquistare qualsiasi cosa con i rubli che si svalutano di ora in ora; dai tostapane al cibo in scatola, alla farina. Centinaia di persone davanti al Gum, il negozio centrale sulla via principale della capitale bielorussa. E poi ci sono le file di fronte alle banche, con persone disperate che aspettano per giorni e notti intere di acquistare dollari o euro. A qualsiasi prezzo pur di avere in mano qualcosa che domani non sarà carta straccia. Ma le filiali della Belarusbank hanno in cassa solo vagonate di rubli. E perfino i cambiavalute clandestini hanno terminato la valuta pregiata. Il fatto è che la Bielorussia dell’ultimo dittatore d’Europa è allo sbando. Aleksandr Lukashenko con il suo Kgb (che ancora porta il vecchio nome), i kolkoz rurali e le fabbriche statali, non riesce più a mantenere le promesse fatte ai miti bielorussi: niente libertà e niente Occidente in cambio di stipendi sicuri, assistenza statale, pace e tranquillità. Gli aumenti vertiginosi di salari e pensioni concessi alla vigilia delle elezioni di dicembre (fino al 50 per cento) sono stati falcidiati dall’inflazione e dalla svalutazione decisa all’inizio della settimana che ha fatto raddoppiare il costo di euro e dollari. E anche la tranquillità in Bielorussia non c’è più: l’ 11 aprile una terribile esplosione ha scatenato morte e terrore nella metropolitana di Minsk. La repressione di ogni espressione di dissidenza ha poi raggiunto nuove vette, tanto da provocare le sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti; tra l’altro Lukashenko e 150 alti dirigenti del Paese non possono praticamente viaggiare. Gli esponenti dell’opposizione che a dicembre si erano candidati alle presidenziali contro «batka» («papà» , come ama farsi chiamare Lukashenko) sono stati tutti condannati a pesanti pene detentive, fino a cinque anni. Questo solo perché erano scesi in piazza per una protesta pacifica dopo l’annuncio di risultati assai poco credibili che davano al presidente uscente la rielezione con il 79,6 per cento. Più volte Lukashenko ha detto che il suo Paese riuscirà a cavarsela da solo, dopo che anche il Fondo monetario internazionale l’ha abbandonato vista la scriteriata politica economica. Ma adesso la Bielorussia è alla canna del gas. Il debito pubblico viaggia ormai oltre gli 8 miliardi di dollari e le riserve di valuta che sono scese ufficialmente sotto i 3 miliardi di dollari sono in buona parte già impegnate. Nelle ultime ore «batka» ha iniziato a tentare di salvare il salvabile. Ha annunciato che i prigionieri politici potranno essere graziati («perché tenerceli in prigione e mantenerli coi soldi dello Stato?» ha detto sprezzante) e, soprattutto, ha ripreso ad avvicinarsi alla Russia. Ha provato a chiedere un prestito speciale di 3 miliardi di dollari, ma Mosca ha accettato di sborsarne per quest’anno solo 1,2 miliardi. E in cambio ha ottenuto un vasto programma di privatizzazioni: lo Stato dovrà vendere aziende per un totale di 2,5 miliardi di dollari l’anno. Le aziende russe sono quelle maggiormente interessate ad acquistare, con un occhio particolare per quello che è considerato il boccone più prelibato, il controllo della rete di gasdotti che fanno transitare il metano russo diretto all’Europa occidentale.
Fabrizio Dragosei