Christian Caliandro e Pier Luigi Sacco, Saturno-il Fatto Quotidiano 27/5/2011, 27 maggio 2011
VOLTERRA CITTÀ DI VAMPIRI - L’OSSESSIONE TUTTA
italiana per la valorizzazione dei beni culturali non produce, né può produrre, i mirabolanti effetti economici che qualcuno si aspetterebbe, ma un effetto lo sta ottenendo: sta trasformando i siti culturali del nostro paese in parchi tematici, in luoghi che perdono progressivamente non soltanto la loro identità ma anche il senso di questa identità, per trasformarsi in ameni fondali per foto ricordo. Esemplare a questo proposito la vicenda legata alla saga horror-sentimentale-adolescenziale di Twilight, il fortunato ciclo letterario (e cinematografico) di Stephenie Meyer. La Meyer, come è noto, ha scelto Volterra, uno dei tanti gioielli nascosti della provincia italiana, come ambientazione di una delle scene conclusive del secondo volume del suo ciclo, New Moon (2006), per un motivo inoppugnabile. PER L’ASSONANZA DEL SUO NOME con quello della famiglia di antichi vampiri che nella finzione letteraria ci abitano (i Volturi), attivando un’inversione molto singolare tra fiction e riferimento reale – e non c’è da meravigliarsene, visto che nella sua ideazione letteraria il riferimento della Meyer era… Google Maps! Qualcuno potrebbe obiettare che neanche Salgari era mai stato nei mari della Sonda visitati in lungo e in largo dalla sua immaginazione letteraria. Ma il punto è che Salgari scriveva per un pubblico per cui il “vedere di persona” certi luoghi era per lo più impossibile, mentre la Meyer scrive per lettori che non hanno alcun bisogno di lavorare di immaginazione: hanno a disposizione tutte le immagini che vogliono di un luogo, fisse e in movimento, e se poi vogliono dare un’occhiata di persona non hanno che da prenotare un volo low cost. E gli effetti di questa differenza non tardano a manifestarsi.
La ricostruzione narrativa e immaginaria dello
spazio di Volterra, attraverso il cinema, oltrepassa infatti la fonte letteraria, arricchendosi di elementi nuovi e, per certi versi, inattesi. Dopo un iniziale interessamento alla città “originale”, poco prima dell’inizio delle riprese la produzione – dopo un sopralluogo effettuato nel dicembre 2008, in incognito, dal regista Chris Weitz e dal produttore Wyck Godfrey – ha deciso di girare a… Montepulciano. Il motivo dichiarato? Il regista e la troupe avevano trovato lì “la location più bella da filmare”. Ma soprattutto, il riferimento all’“antichità” e della “storicità” del contesto è più che altro colore locale: l’obiettivo è quello di “creare il mondo di Volterra” [corsivo nostro], come affermava orgogliosamente David Brisbin, production designer del film, sulla rivista Moviesonline nel 2009. Un ulteriore, importante motivo della scelta è rappresentato ovviamente dalla grande disponibilità e agibilità logistico-organizzativa di Montepulciano, già location cinematografica di molti film: da Il Cristo proibito (1951) di Curzio Malaparte a In nome del Papa Re (1971) di Luigi Magni e Nostalghia (1983) di Andrej Tarkovskij, fino a Il Paziente Inglese (1996) di Anthony Minghella, oltre allo spot televisivo dello Stracchino Nonno Nanni (2008). A questa rappresentazione narrativa serviva perciò uno spazio riconoscibile immediatamente come tipicamente “toscano” e “italiano”, uno stereotipo culturale già pronto dell’italianità. E la sostituzione di una cittadina con un’altra – secondo uno schema di “controfigure” – è parso con ogni probabilità allo show business hollywoodiano un elemento assolutamente irrilevante, persino naturale: il tutto in nome di un’identità culturale e storica che di identitario non ha più niente, è appunto una specie di fondale da Alla (ri)creazione dello spazio pubblico di Volterra corrisponde inoltre quella di uno spazio privato, interno: il palazzo dei Volturi. Nella descrizione della Meyer la corte si presenta come un ambiente abbastanza spoglio, caratterizzato “gotica-mente” e quindi abbastanza in linea con la tradizione della letteratura vampiresca (da Bram Stoker a Anne Rice). Il film propone invece uno spazio architettonico decisamente diverso: l’ambiente concepito da Brisbin e Weitz diventa infatti una sorta di “compendio” di italianità architettonica. I riferimenti – consapevoli e inconsapevoli, dichiarati e non dichiarati – di questo pastiche pseudo-rinascimentale e iper-semplificato spaziano dal Pantheon a San Miniato, dal romanico toscano a Santa Croce.
La cosa può aver turbato in qualche modo i volterrani, depositari di millenni di storia culturale? Sì, ma non nel senso che ci si potrebbe aspettare: il problema non è la trasformazione di Volterra in un parco disneyano, ma lo “scippo” del sacrosanto diritto a essere la “vera” città dei vampiri: l’amministrazione comunale, le fan community e i cittadini di Volterra non si sono dati per vinti nei confronti dell’“oscuramento” patito dalla loro piazza. Gli sbandieratori volterrani presenziavano in pompa magna l’anteprima romana di New Moon; l’organizzazione degli eventi vampireschi locali, dopo la delusione iniziale, è proseguita imperterrita e con rinnovato vigore – tra feste a tema, reading pubblici del libro e passeggiate notturne nei luoghi d’elezione dei Volturi. Così, nei giorni dell’uscita nelle sale di New Moon, le due cittadine toscane sono state letteralmente prese d’assalto dai fan provenienti da tutto il mondo, gratificati non solo dal “riconoscimento” dei luoghi, ma anche dall’offerta diversificata e a suo modo creativa dei pacchetti turistici “tutto incluso”. Così, in un inedito e agguerrito sforzo competitivo, Montepulciano ha proposto “Baci, morsi e bicchieri di Nobile”, accanto all’occasione imperdibile offerta alle giovani coppie di turisti di reinterpretare l’abbraccio in Piazza Grande tra Bella e Edward come “rito propiziatorio”. Senza dimenticare che durante la grande festa dell’opening era possibile per tutti i fan e gli appassionati visitare i set del film, effettuare visite guidate lungo gli itinerari vampireschi e addirittura acquistare i mantelli rossi indossati dalle 1500 comparse che avevano partecipato alle riprese: né più né meno di quanto ci si aspetterebbe dalle pro loco dei paesini dei Carpazi che cercano di alimentare un turismo vampiresco in pseudo-castelli restaurati come se fossero residence montani degli anni Cinquanta.
Intanto, la città che gli spettatori adolescenti di tutto il mondo hanno conosciuto sullo schermo non è né Volterra, né Montepulciano, ma una strana entità, ibrida e immaginaria, che potremmo chiamare per comodità “Voltepulciano”. Piaccia o non piaccia, questo luogo immaginario prima non esisteva affatto nella percezione tanto del pubblico che degli stessi residenti, e oggi esiste “più” delle città stesse che gli hanno dato corpo. A quanto pare, quindi, non ci restano che i vampiri.