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 2011  aprile 25 Lunedì calendario

RINNOVIAMO IL REPERTORIO, LETIZIA

Io e Roro IV non abbiamo altro da fare che guardarci, lui sulla sua poltroncina formato cane, io sulla mia formato umano, ipnotizzati dal rumore del phon in sottofondo.
Franca Valeri – «mi scusi», urla dalla stanza accanto – si sta facendo fare i capelli: stesso taglio e stesso colore dal 1966, una scodella castana che ha attraversato senza spettinarsi mode e rivoluzioni. Quando ha finito, e mi si siede accanto spezzando l’idillio tra me e il suo cane prediletto, le chiedo se una lunghezza diversa, una sfumatura insolita, l’abbiano mai tentata. «Volersi cambiare è una forma di instabilità. Bisogna diffidare di chi è adulto e non ha ancora trovato il suo taglio».
A luglio fa 91 anni, la sua voce è diventata incerta, ma i suoi pensieri sono quello che sono sempre stati: veloci e illuminanti. Lampi. Quest’inverno è uscita la sua autobiografia, e in un Paese che non ama né la memoria né i memoir, Bugiarda no, reticente (questo il titolo) è stato un successo. La gente le vuole bene: l’ultima testimonianza in ordine di tempo è la sua incoronazione a «Queen of comedy», conferitale nell’ambito della venticinquesima edizione di Mix Milano, rassegna di cinema gaylesbico e queer. E lei vuol bene alla gente: il suo pubblico, i suoi amici artisti di ogni età, i suoi nipoti e pronipoti e Stefania Bonfadelli, la cantante d’opera che ha da poco adottato, a sua volta mamma di una bambina. «Ma io non lo so perché sono così amata», dice, «forse perché ho fatto tanto ridere e ho fatto ridere di risate non amare, non sguaiate, forse intelligenti».

Oggi come si ride?
«La satira oggi è per lo più solo politica, ma in maniera didascalica, qualche volta costruita ad hoc. Dietro c’è un permesso subdolo e non sincero di lasciarsi dire qualche cosa, un permesso che francamente mi dà noia. La satira psicologica e sociale non c’è molto. Io porto ancora in scena sketch di sessant’anni fa con lo stesso successo: certe cose della società non cambiano. Prenda la Moratti: è una snob di cent’anni fa, purtroppo. La borghesia ripete i suoi riti, sono cambiati solo gli indirizzi dei locali e a volte nemmeno quelli, soltanto i nomi».
Qual è stata l’epoca più bella, secondo lei?
«Dalla fine degli anni Quaranta fino ai Settanta, prima del terrorismo. C’era la possibilità di programmarsi, le pare niente? Ti potevano stare sulle scatole i democristiani o i comunisti, ma comunque c’era una vita del Paese efficiente. Si poteva immaginare. Adesso vedo giovani pieni di talento usarlo per due lire, quando non per niente».
Conosce i giovani?
«Tanti, tutti quelli che hanno voglia di venire a incontrare questa vecchia signora che ha tanta vita da raccontare. C’è una parte della gioventù di oggi molto pregevole, fatta di ragazzi intelligenti e curiosi. Quella spregevole è quella che c’è in ogni generazione. Solo che i ragazzi di oggi, diversamente da noi, hanno la televisione da cui disimparare».
Un valore che si è perso?
«Una certa eleganza, che non c’entra con l’avvenenza fisica. Quando ero giovane io, non c’era questa tendenza a conciarsi. Adesso mi stupisce il non volersi piacere: le donne si mettono in un modo che a loro stesse non può apparire gradevole. Si dice che adesso non c’è tempo, ma per infilare un paio di pantaloni sformati o un paio a posto ci vogliono comunque venti secondi. Da bambina mi è stato insegnato che bisogna essere sempre il più gradevole possibile da vedere».
Ci crede ancora?
«Adesso anche di più. Vedo delle vecchie signore – non poveracce – con i pantaloni che stanno male, giacchettini che mettono in risalto il fatto che non hanno la schiena dritta, allunghi di capelli, ritocchi che fanno sparire una certa ruga ma non restituiscono la giovinezza. Le vedi in Tv e non dici: che bella. Dici: che bel lifting».
Per lei è stato difficile accettare che il corpo cambiasse?
«No, perché lo fa lentamente: non è che ti svegli una mattina e sei decrepita. Ho sempre avuto la fortuna di sembrare un po’ più giovane, ma io penso che non sia solo una tendenza fisica, che c’entri dell’altro: io non ho mai un minuto di noia, mi aggiorno su tutto, lavoro».
Non pensa mai: chi me lo fa fare, adesso basta?
«Quando il fisico mi abbandona e mi viene sconforto: la schiena che mi fa male, l’attenzione che è più rarefatta, l’impossibilità di seguire con rigore le passioni intellettuali. Vorrei sentire l’opera alla Scala, leggere senza bisogno di sette paia di occhiali, ma non riesco più».
C’è qualcosa di bello nell’invecchiare?
«Io ho guadagnato il piacere di tante cose che da giovane apprezzavo meno, perché ero distratta dal fluire della vita e del mondo. Prima di tutto un appassionato gusto per la natura: i paesaggi, i posti. Da giovane sei più turista, da vecchio hai il gusto di immergerti nei luoghi. E poi, invecchiando, mi si è centuplicato l’amore per gli animali, che adesso occupano un posto importante quanto quello degli amici. Mi è aumentato perché adesso sono sola, non ho più un uomo vicino. Avere una famiglia o un compagno è una grande occupazione, mancando loro posso concedermi sei cani e due gatti».
Meglio gli uni o gli altri?
«Non ho preferenze, anche perché i miei gatti sono affettuosi come i cani: il maschio mi sveglia baciandomi la faccia. Io agli animali faccio fare tutto, sono una pessima educatrice. Non ho una grande fiducia nei metodi educativi, in ogni ambito. Non amo nemmeno le scuole di recitazione, che non ho mai frequentato perché, peraltro, hanno avuto l’accortezza di bocciarmi. Così come non capisco come si possa farsi insegnare a recitare, allo stesso modo non penso che si possano insegnare i giusti comportamenti. Credo che invece ognuno possa essere un modello, e che gli altri guardandolo possano apprendere. Funziona con gli esseri piccoli, come i bambini, e con quelli diversi, come gli animali. Ma anche con i giovani attori, che mi studiano: chi ha avuto una vita lunga e interessante come la mia può essere un buon manuale».
Che rapporto ha con i ricordi?
«Ci penso, mi vengono fuori da tutto, non è che posso dimenticare. Non vivo col mito della fotografia o del cimitero, ma trenta volte al giorno sono costretta a ricordarmi mia madre, o il compagno che ho perso (Maurizio Rinaldi, ndr). È la vita che mi circonda di loro. Di loro, e dei mondi che non ci sono più».
Che cosa ha cambiato di più le nostre vite, secondo lei?
«Il progresso scientifico, purtroppo. Dico purtroppo perché vorrei dire che è stata l’arte, ma non è così. Se invece intende un oggetto, dico il computer. Anche in forma pericolosa. So di gente che ci legge i libri, sul computer. Io, però, non mi fido».
Se dovesse augurarsi di assistere a una grande rivoluzione, di che cosa vorrebbe essere testimone?
«Non mi faccia parlare».
Sì, invece.
«Un Paese diverso, subito, domani. Da un punto di vista più alto, invece, vorrei assistere alla rinascita della musica. Tutto ciò che amo e che riesce a emozionarmi o stupirmi si ferma ai primi del ’900».

Roro mi salta in braccio, sarà ora di andare. Lei lo guarda e dice: «Lui è un Cavalier King Charles Spaniel, gli altri miei cani, invece, sono bastardi. Adesso si dice “meticci”, ma la parola giusta è “bastardi”. Io dico “bastardo”. Dico anche “donna di servizio” e “facchino”: non sono insulti, è il loro mestiere. Che cos’è questa sciocchezza? In un mondo così volgare e violento dobbiamo avere paura delle parole?».