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 2011  maggio 27 Venerdì calendario

E CÉLINE SNOBBÒ GLI ADULATORI BEAT

Ma ve lo figurate voi, Louis Ferdinand Destouches, in arte Céline, da bambino? Com’era quando aveva il latte alla bocca il futuro maledetto, il futuro reprobo, l’allucinato e ruggente antisemita? Un tipetto niente male, a dar retta al direttore delle scuole elementari di rue d’Argenteuil, che in una nota stilata ad uso interno osserva: «Si tratta di un bambino molto intelligente, ma guastato dalla famiglia: così, crede di essere una meraviglia ed è vanitoso al di là di ogni immaginazione». Questo leggiamo in una bella summa di documenti e testimonianze, recentemente pubblicata in Francia da Laffont (D’un Céline l’autre, a cura di David Alliot, prefazione di François Gibault, pp. 1184, euro 30).
Vale la pena di inoltrarsi di pagina in pagina. C’è, ad esempio, l’uomo che ha la fissa delle ballerine. Infatti, nel 1926, a Ginevra, dove Destouches, di professione medico, sposato e con una figlia, è in missione per conto della Società delle Nazioni, ecco il colpo di fulmine: la danzatrice americana Elizabeth Craig. Superfemmina, lo elettrizza e ne diventa la musa ispiratrice. C’è lei dietro L’Eglise e il Voyage au bout de la nuit, frutto di un lavoro frenetico, svolto in contemporanea alla attività di medico generoso (non più marito e padre esemplare, però), compassionevole, bravissimo a mettere a proprio agio i bambinial Dispensario comunale di Clichy.
Donna bellissima
Che tipo è Elizabeth, detta Lili? Lasciamolo dire ad Henri Mahé, pittore, scrittore, cineasta e grande amico di Louis-Ferdinand: «Due grandi occhi verdi cobalto... Un nasino delicato... Una bocca sensuale... Lunghi capelli rosso-oro che cadono in boccoli sulle spalle... Piccoli seni sodi ed arroganti... E che bel culo alto!».
Lui è innamorato e geloso. «Fu una relazione meravigliosa durata cinque o sei anni», ricorderà lei. Aggiungendo: «A quel tempo, io potevo trasformare il suo umore da cattivo in allegro e rendergli la vita un po’ più leggera. Ma era un uomo tragico, un personaggio tragico. Lavorava al dispensario, a casa scriveva ed era tutta la sua vita. Non ho mai veramente compreso il Voyage ma ho capito che lui lo aveva dedicato alla “volgarità” della gente».
Uscito nell’ottobre del 1932 da Denoël che orchestra il lancio mediatico e preme per il Goncourt, il libro irrompe sulla scena letteraria sconvolgendola. «Ha avuto l’effetto di una bomba», scrive il giornalista Robert de Saint Jean, amico di Gide e di Cocteau, «Mauriac lo celebra perché vi si rivela il male allo stato puro. Maurois ha accolto l’opera come un pugno nel petto. Céline, quarant’anni all’incirca, e un odio schietto per la canaglia umana».
Tristan Tzara, fondatore del movimento Dada, rivela di essere rimasto «affascinato» dall’inventore di un nuovo «linguaggio». E se l’avanguardia applaude, entusiasta del Voyage è anche un fior di reazionario come Léon Daudet, che appoggia la candidatura di Céline (Louis-Ferdinand Destouches si è ribattezzato così, in omaggio all’amata nonna Céline Gouillou). Ricorda Roland Dorgelès, frequentatore della bohéme letteraria e artistica di Montmartre: «A quell’epoca, Céline era un anarchico di estrema sinistra. Ma Daudet l’ha difeso fino in fondo. Molto violentemente. Mi ricordo ancora Pol Neveux dire a Daudet: “Ascoltami Léon, non è possibile, tu non puoi votare per questo libro, ricordati il passaggio dove un soldato passa accanto al suo capitano che sta per morire implorando “Mamma, mamma” e il soldato gli grida: “Tua madre? Vada al diavolo!”. Tu non puoi votare per un libro come questo”. Ma Daudet gli ha risposto: “Voterò proprio per Céline. Me ne fotto di quel che fa dire ai suoi personaggi. Il suo è un grande libro”».
Ma il Voyage non vince, gli preferiscono uno scipito romanzetto di Guy Mazeline, Les loups, pubblicato dalle Edizioni Gallimard. Ovvio che lo scandalo che ne segue tiri la volata a Céline. Aureolato dalla gloria. Ma anche amareggiato,
perché Elizabeth, la sua Musa, se n’è tornata negli Stati Uniti. Lui non si scoraggia: e va a cercarla. E già che c’è, perché non tastare il polso all’industria cinematografica hollywoodiana, interessata all’adattamento del Voyage? Doppio scacco: niente Elizabeth, niente film. Nel 1935, però, Céline incontra Lucette Almanzor che diventeràsuamoglieecominciaalavorare a Mort à crédit, il suo nuovo romanzo.
Un nuovo mostro
«Libro terribile», dirà l’editore Denoël, destinato ad esser fatto fuori come collabo nel 1945, «più ancora del Voyage e che fu contrastato da una parte della stampa con un duro boicottaggio» (...). È da questo momento che Céline non si accontenta più del suo ruolo di testimone. Anzi, di lì a poco sarebbe diventato l’accusatore in un libro dove il suo spirito senza più
briglie, la sua invettiva geniale, la sua magnifica eloquenza dovevano scendere in lizza. Ed è così che apparve Bagatelles pour un massacre, pamphlet formidabile dove l’autore denunciava con tono violento la malvagità d’Israele. Quest’opera, apparsa sotto il Fronte Popolare, ebbe un effetto fulminante. La stampa si sforzò di passarla sotto silenzio ma non si può ignorare un ciclone. I giornali che avevano deciso di tacere, di rifiutare gli annunci pubblicitari che venivano inviati, passarono all’attacco, all’attacco più velenoso. Tutti i piccoli scrittori ebrei o ebraizzati riversarono il loro fiele sui giornali della sinistra o dell’estrema sinistra: gridavano al pazzo, al pornografo, al venduto. Il che non impedì la diffusione del libro».
Nonché degli altri pamphlet L’École des cadavres e Les Beaux Draps definiti “mostruosi” da una sinistra che non poteva perdonare al sovversivo Céline di aver scritto un libello anticomunista come Mea culpa al ritorno dal suo viaggio in Russia e tanto estremi nel loro antisemitismo delirante da mettere in imbarazzo anche i nazi, al tempo dell’occupazione tedesca.
Come ben testimoniano i Diari di Ernst Jünger, aristocratico anarca, che in Céline, soprannominato Merline, vede una specie di emblema caricaturale, quasi osceno, del più sfrenato nichilismo. Jünger, scandalizzato dall’anarchico Céline: «Grande, dall’ossatura forte, un po’ goffo nei movimenti, ma vivace nella discussione, anzi nel monologo. Da segnalare il suo sguardo di maniaco, che sprizza scintille come dal
fondo di un buco. Per lui, non esistono né destra né sinistra: si ha l’impressione che cammini verso una mèta sconosciuta. “Ce l’ho alle costole, la morte”, dice, e punta il dito su una sedia, come se sopra ci fosse un cagnolino. È stupito del fatto che noi soldati non fuciliamo, non impicchiamo, non sterminiamo gli ebrei. Lo meraviglia che qualcuno, avendo a disposizione una baionetta, non ne faccia un uso illimitato. Ci fossero i bolscevichi a Parigi, vi darebbero l’esempio di come si purifica la popolazione, quartiere per quartiere, casa per casa. Avessi in mano una baionetta, saprei cosa fare».
Amore per i tedeschi
Un mostro? Il celebre Arno Breker, «scultore feticcio di Adolf Hitler che apprezzava i suoi colossi nudi e i suoi superuomini ariani», trova in lui «una grande eleganza», apprezza l’«atmosfera» della sua casa, «tipicamente francese», con «mobili e oggetti che danno l’idea di immutabilità, come se fossero lì da decenni», e rileva compiaciuto: «Céline era tra quelli che, malgrado le differenze permanenti tra la Francia e la Germania, amavano e comprendevano il mio Paese. “La riconciliazione definitiva e la cooperazione tra i nostri due Paesi, ecco quel che importa grandemente”, mi disse al nostro primo incontro».
Un Céline preveggente, a futura memoria europea? E allora i temi da svolgere diventano tanti: Céline, gli ebrei e il resto dell’umanità, Céline e la Francia che va a puttane, Céline e la Germania che non riesce a fare una rivoluzione europea, Céline e la decadenza. E poi la fuga, da tutto e da tutti, dai nazi, dai collabo, dai resistenti che vogliono farlo fuori. Fino al ritorno in Francia, nella “tana” di Meudon , con la moglie Lucette Almanzor e gatti, e cani ed altri animali in disordine sparso. Un barbone?
Nel 1958, vanno a fargli visita ed a rendergli omaggio i profeti del beat William Burroughs ed Allen Ginsberg. Scrive William: «Allen gli regalò qualche libro, Howl, qualche poema di Gregory Corso e il mio libro Junky. Céline ci gettò sopra uno sguardo negligente e li mise da parte (...). Allen gli chiese cosa ne pensasse di Beckett, Genet, Sartre, Simone de Beauvoir, Henri Michaux, tutti i nomi che gli passavano per la testa. Lui agitò la sua mano fine e venata di blu in segno di ripulsa: “Ogni anno c’è un nuovo pesce nello stagno della letteratura. Non è niente, non è niente, non è niente”.
“Siete un buon dottore?”, gli chiese Allen.
“A onor del vero...mi difendo”, rispose.
Era in buoni rapporti con i suoi vicini? No, naturalmente».
Ed ecco Ginsberg: «Io l’ho visto a Parigi sporco vecchio bizzarro dal linguaggio sconnesso/ tosse da intellettuale e sandali tarlati intorno al collo/ muffe scure sulle unghie storiche/ genio puro che per una notte distribuisce morfina ai passeggeri di una nave che minaccia di colare a picco (era stata silurata, ndr)/ “perché si stavano emozionando troppo”».