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 2011  maggio 26 Giovedì calendario

LA RIPRESA MONDIALE NON CREA OCCUPAZIONE

Priorità assoluta al lavoro, alla lotta alla disoccupazione. Per evitare che i posti persi durante la crisi lo siano per sempre e che ci si arrenda all’idea di accettare passivamente un alto livello di persone senza impiego. È questo il messaggio che l’Ocse affida al suo outlook economico semestrale.

Non che le cose vadano malissimo, e neppure male. Il rapporto spiega anzi che la ripresa si sta, sia pur lentamente, consolidando. Affrancandosi dagli interventi pubblici di sostegno. Rispetto a novembre le previsioni di crescita 2011 sono state riviste al rialzo per gli Stati Uniti (dal 2,2 al 2,6%, con un +3,1% l’anno prossimo) e per la zona euro (dall’1,7 al 2%, che dovrebbe confermarsi nel 2012), a fronte di un aumento globale del Pil pari al 4,2% quest’anno e al 4,6% il prossimo. Persino l’economia giapponese, dopo l’impatto dello tsunami (-0,9% nel 2011), nel 2012 verrà spinta dalla ricostruzione (+2,2%).

Si tratta però di una ripresa con grandi squilibri tra i diversi Paesi. Basti pensare proprio a Eurolandia: nel 2011 la Germania crescerà del 3,4% (la previsione precedente era del 2,5%) e la Francia del 2,2% (0,6 punti in più), mentre la Gran Bretagna non andrà oltre l’1,4%, l’Italia si fermerà all’1,1% (l’ultima previsione, di poche settimane fa, era dell’1,2%) e la Spagna allo 0,9 per cento. Grecia e Portogallo saranno in recessione (rispettivamente del 2,9 e del 2,1%) e per Lisbona anche le prospettive 2012 sono buie (-1,5%).

Ma soprattutto è una ripresa molle. Che non crea - non sufficientemente - lavoro. Con incertezze e rischi all’orizzonte, dai problemi di conti pubblici (in particolare negli Stati Uniti e in Giappone) agli interrogativi sulla fragilità dei mercati immobiliari. Anche per queste ragioni, ha commentato il capo economista dell’Ocse Pier Carlo Padoan, «forse la crisi mondiale non è ancora conclusa». E il segretario generale Angel Gurria ha ribadito: «È un momento delicato per l’economia globale e la crisi non sarà finita fino a quando i Paesi non ricominceranno a creare un numero adeguato di posti di lavoro».

Le cifre di questa emergenza sono impressionanti: nella sola zona Ocse 50 milioni di disoccupati; un tasso di senza lavoro che negli Stati Uniti sarà dell’8,8% quest’anno e del 7,9% nel 2012 e ben superiore nell’Eurozona (9,7 e 9,3%); due soli Paesi (Germania e Austria) dei 34 dell’Ocse ad aver ridotto il tasso di disoccupazione tra il terzo trimestre del 2007 (l’ultimo precrisi) e il quarto del 2010 (il primo del dopocrisi).

Cosa fare? Varare politiche attive sul mercato del lavoro con particolare attenzione ad alcune misure: migliorare l’efficacia dei servizi di collocamento, con programmi di formazione che favoriscano l’incontro tra domanda e offerta; rafforzare le garanzie per i lavoratori precari; alleggerire la pressione fiscale sul lavoro, con interventi mirati sull’occupazione a retribuzione più bassa; promuovere meccanismi di condivisione del lavoro, che consentono di attenuare l’impatto occupazionale delle fasi di rallentamento economico (i nostri contratti di solidarietà, in sostanza).

E, ovviamente, le solite riforme strutturali - a partire da quelle finalizzate ad alimentare la concorrenza - che l’Ocse ricorda in ogni rapporto, in ogni studio, in ogni intervento. Così come, pur concentrandosi sul lavoro (al quale dedica un apposito capitolo dell’outlook), ribadisce la necessità di affrontare con più rigore, impegno, convinzione la battaglia per ridurre deficit e debito pubblici. Nel 2011, sottolinea l’organizzazione, il debito medio della zona euro si avvicina al 96% del Pil. E nell’area Ocse è superiore al 100 per cento. Si tratta di circa 30 punti in più rispetto alla situazione precrisi ed è urgente riportare i conti verso l’equilibrio o comunque all’interno di limiti economicamente accettabili. Tanto più che la statistica dimostra come i Paesi a basso debito (inferiore al 60% del Pil) registrino un ritmo medio di crescita superiore a quelli a forte indebitamento.

L’Ocse segnala infine l’emergere di tensioni inflazionistiche (2,6% l’aumento dei prezzi 2011 previsto nell’Eurozona e 2,3% in media Ocse) che porteranno a decisioni restrittive di politica monetaria - peraltro auspicate nei Paesi emergenti - destinate a frenare la ripresa.