Andrea Malaguti, La Stampa 25/5/2011, 25 maggio 2011
Cinque secoli di raffinatezza in un banchetto - Non l’hanno portato a tavola. Gli hanno offerto il meglio del loro mondo
Cinque secoli di raffinatezza in un banchetto - Non l’hanno portato a tavola. Gli hanno offerto il meglio del loro mondo. L’hanno fatto sedere nel cuore di un Impero che non c’è più, dopo avergli riservato quarantadue salve di cannone sparate a Green Park e averlo cullato con il suono destinato allo stomaco della cornamusa scozzese. L’hanno ipnotizzato riempiendogli la testa di corone, di miti, di quadri e di storia, prima di farlo planare nell’ombelico di un Regno capace, attraverso la forma, di restituire un senso di sé eterno e innaturale. Benvenuto a Londra Mr President, sarai anche l’uomo più potente del pianeta, ma noi siamo l’Inghilterra. «Volevamo che a cena il presidente Obama e sua moglie Michelle avessero la sensazione di essere a teatro. Ma non in uno qualunque, all’Opera House» ha spiegato la responsabile del protocollo di Buckingham Palace Kathryn Jones, una donna certa da sempre che il gioviale capogiro della parata produca una forma di ammirazione infantile capace di far magicamente quadrare il cerchio delle emozioni. Come se il potere e la vita potessero veramente coincidere. «Ci teniamo ai nostri ospiti». Il banchetto di Stato, allora. Per prepararlo c’è voluto un mese. Tre settimane sono servite per pulire l’argenteria, tre giorni per organizzare il maestoso desco a ferro di cavallo che riempie la ballroom del Palazzo Reale. Mille addetti del personale impiegati, venti chef. Valletti in guanti bianche e camerieri con la livrea rossa e dorata per servire quattordici portate a commensali seduti a una distanza esatta di quarantacinque centimetri l’uno dall’altro. Tappeti rossi, sei lampadari ottocenteschi, candelabri a quattro bracci e un servizio da seicento pezzi. Ceramica cinese da sessantamila sterline ordinata da Giorgio IV duecento anni fa. Obama alla destra di Sua Maestà la Regina. Fiori di seta, arazzi con scene di caccia alle pareti e menù in francese. «Perché per il protocollo è questa la lingua del cibo». Sei bicchieri di cristallo a testa, poco vino, molto liquore. Acqua portata da Washington per Obama («ragioni di sicurezza, non vogliamo che gli si sconvolga lo stomaco», ha spiegato una fonte presidenziale al Daily Mail) e gin abbondante per Elisabetta, che ha gestito direttamente organizzazione e protocollo della serata. «C’è un intero staff che lavora per lei, ma senza il suo assenso non si muove un bicchiere». Discorsi ufficiali vistati dal Ministero degli Esteri, discorsi privati su cani e cavalli. Dolci serviti su un servizio della Regina Vittoria e una portata speciale offerta al Presidente degli Stati Uniti con un’alzata a forma di altare utilizzata durante l’incoronazione di Carlo II nel 1661. Uno sfarzo senza pari nel pianeta, l’ultimo sforzo del Regno Unito per sentirsi ancora una potenza vera. Un trucco forse, ma fatto alla grande. Niente a che vedere con le cene ufficiali della Casa Bianca, tavoli bianchi, rotondi, sobri, stretti, e servizio cinese di Eisenhower. Due ore di politica estetica, di diplomazia della tovaglia. Poi Sua Maestà la Regina si è alzata in piedi per chiudere la serata. «Vi mostro le stanze per la notte». Portava la tiara, Elisabetta, e uno di quei vestiti insensati che fanno venire alla memoria un profumo da prozie e che invece, alla fine, sono la fotografia di quel che resta del Regno.