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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

IL VOTO DEI SIGNORI CINESI DEL RATING. LONDRA BOCCIATA, ROMA CONTI «OK» —

Poca crescita, debito alto e Italia declassata? Per i cinesi, che detengono un settimo di tutti i titoli di Stato emessi dalla Repubblica Italiana sul mercato, non pare essere un problema. O meglio, non un problema così grave come quelli della finanza pubblica di Sua Maestà, la Regina d’Inghilterra. Fatto sta che ieri, mentre a Pechino gli analisti finanziari contestavano i giudizi di Standard and Poor’s sull’Italia, l’agenzia di rating cinese Dagong, senza tanti complimenti, ha deciso non di minacciare, ma di tagliare tout-court i voti della Gran Bretagna.
Declassamento secco, senza appello, da AA-ad A+. Il Regno Unito scende allo stesso livello del Belgio, decisamente più in basso rispetto alla Germania e alla stessa Cina (AA+), non molto lontano dall’Italia, che per Dagong merita comunque un voto bassino (A-), come il Brasile e Israele, ma stabile nel tempo, perché da agosto 2010 a oggi il nostro voto non è cambiato. La situazione italiana non è delle migliori, ma vista da Pechino, dove c’è comunque preoccupazione per la situazione dell’euro, non appare drammatica.
Così ieri, mentre sul quotidiano China Daily alcuni analisti come Dong Xian’an, capoeconomista della Peking First advisory, criticavano la decisione di Standard and Poor’s giudicandola «infondata» e sottolineando che «dal secondo trimestre l’economia italiana è in ripresa, mentre la crescita degli Usa e della Ue rallenta» , arrivava la bocciatura della Gran Bretagna. Con una crescita lenta e il debito pubblico in rapida ascesa all’ 82,5%, 20 punti in più di un anno fa, Dagong denota «un deterioramento della capacità di rimborso del Regno Unito e la difficoltà a migliorare la situazione del debito pubblico nel breve-medio periodo» .
Snobbata dai grandi media e dalle autorità, la decisione di Dagong, da quanto si capisce spulciando sui forum online della city londinese, avrebbe in realtà messo in agitazione numerose banche inglesi. Sembra infatti che i cinesi, forse perché oggi sono i maggiori prestatori di denaro del mondo, sui rating sovrani ci vedano lungo. Ne sa qualcosa il Portogallo, che fino a pochi mesi fa godeva di un giudizio analogo a quello italiano. A fine inverno, però, gli analisti di Pechino hanno sentito puzza di bruciato. E anche in quel caso senza pensarci troppo, hanno tagliato i voti al debito di Lisbona. Rompendo gli indugi molto prima delle agenzie americane: la decisione di Pechino è dell’ 11 marzo, il declassamento di Standard and Poor’s e Fitch arriva il 24, quello di Moody’s il 4 aprile.
Certo, i criteri usati da Dagong, una delle quattro principali agenzie di rating cinesi, fermamente decisa a rompere il monopolio delle "big three"ed in guerra aperta con gli Stati Uniti dopo che la commissione di controllo sui mercati gli ha rifiutato la licenza (per l’impossibilità di fare vigilanza oltreoceano), sono differenti da quelli di Standard and Poor’s, Moody’s e Fitch. E la loro classifica, che vede al primo posto per l’affidabilità la Norvegia, seguita da Danimarca, Lussemburgo e Singapore, lo dimostra. Come i voti assegnati ai singoli paesi.
Che sono migliori, rispetto a quelli affibbiati dagli americani, per paesi come Cina, Arabia saudita, Russia, Brasile, India, Indonesia, Nigeria ed Argentina. E che sono più bassi di quelli concessi dalle tre grandi agenzie, per quasi tutti i grandi paesi occidentali (Usa, Canada, Olanda, Germania, Regno Unito, Francia, Belgio, Spagna, Italia...). Fatto sta che, vista da Pechino, la crisi economica che sta attraversando il mondo, ha una prospettiva un po’ diversa.
Mario Sensini