ROBERTO MANIA , Repubblica 25/5/2011, 25 maggio 2011
NOI RISPARMIAVAMO
C´era una volta l´italiano medio. Quello che risparmiava, risparmiava, risparmiava. Era la formica nell´Europa spendacciona e anche un po´ edonistica. Lui, prudente, metteva i soldi da parte. Diffidente nei confronti della Borsa, investiva nei Bot, premiato dagli alti tassi di interesse di un tempo, frutto del patto scellerato sottoscritto con lo Stato che, miope, aumentava il debito di tutti. Non era un sistema virtuoso, ma funzionava così. Guardava al futuro, l´italiano medio. Stringeva la cinghia e comprava "la" casa. Pensava alla famiglia, ai figli e ai nipoti. La favola però è finita male e non la racconta più nessuno. L´italiano medio non risparmia più. O non può più risparmiare. Consuma quello che ha. Mediamente sopravvive. E non è neanche una cicala. Siamo finiti sotto la media tra i paesi dell´euro zona quanto al tasso di propensione al risparmio. Non era mai successo.
E non era mai successo dal 1945, cioè da sessantasei anni, da più di due generazioni e mezzo, che il risparmio nazionale fosse negativo. Però è accaduto nel 2009, terzo anno della Grande Crisi, quella che ha cambiato definitivamente l´italiano medio, lui che non si è mai neppure sognato di sottoscrivere un mutuo subprime per comprare la casa. Oggi - dice l´Istat nel suo ultimo Rapporto annuale - «la propensione al risparmio si è attestata al 9,1 per cento, il valore più basso dal 1990, con una perdita di 1,4 punti percentuali rispetto all´anno precedente». Una progressiva discesa nel mondo del consumo immediato. Mentre fino all´inizio degli anni Novanta il Belpaese ha risparmiato tra il 20 e il 25 per cento del reddito disponibile. Secondo un´indagine della Confcommercio il risparmio reale di ciascuno di noi è sceso di quasi il 60 per cento rispetto ai primi anni Novanta. Una vertigine: da quattromila euro l´anno pro capite a millesettecento. Nel biennio 2009-2010 - sempre l´associazione dei commercianti - il risparmio si è ridotto al ritmo di dieci miliardi di euro l´anno.
L´aver più che dimezzato il risparmio nell´arco di un ventennio è «il sintomo del nostro declino», sostiene Luigi Guiso, professore allo European university institute di Firenze e all´Einaudi institute for economics and finances, finanziato dalla Banca d´Italia. Declino che però - spiega - ha altre cause: il basso tasso di innovazione e la produttività insufficiente di tutto il nostro sistema. Ma il crollo del risparmio è anche «un segnale allarmante - secondo Marco Revelli, politologo dell´Università del Piemonte Orientale - perché vuol dire che si è cominciato a "spendere il futuro", a intaccare i nostri cuscinetti di grasso».
Non siamo più noi. E infatti la crisi ha modificato l´italiano risparmioso, ne ha mutato i tratti antropologici, le sue abitudini, forse anche la sua cultura. Il ceto medio si è disintegrato. Tanto che durante la crisi mentre gli altri europei riducevano i consumi e aumentavano i risparmi, noi abbiamo azzerato i risparmi e mantenuto i livelli, per quanto sempre molto bassi, dei consumi. Enrico Giovannini, il presidente dell´Istat, ha scritto un saggio insieme a Andrea de Panizza, che uscirà nei prossimi giorni in un volume della FeBaf (l´associazione di Abi, Ania e Assogestioni), in cui parla effettivamente di un´«anomalia comportamentale» degli italiani. Ma prova a dare anche alcune risposte. Perché l´anomalia nasce da un forte calo del reddito disponibile delle famiglie: - 1,1 per cento nel 2008 e poi - 2,6 per cento nel 2009. Difficile poter risparmiare qualcosa in questo contesto. Diversa la situazione in Francia, in Germania ma anche in Gran Bretagna che non hanno conosciuto il nostro tracollo del reddito.
Ma c´è almeno un altro fattore che spiega la nostra mutazione: c´è il fatto che a reggere l´impatto violento della crisi è stata soprattutto la famiglia, il nostro principale ammortizzatore sociale. Al reddito del capofamiglia (in genere maschio) è stato affidato, da noi, il compito di compensare la perdita del lavoro (precario) delle giovani generazioni sulle quali la crisi ha colpito più duro. C´è stato un passaggio informale di reddito che ha, in qualche modo, oscurato gli effetti sociali della recessione. Improponibile allora - nel 2011, l´anno in cui nel mondo la ripresa si è diffusa un po´ dovunque - il binomio "giovani-risparmio". Mentre è stato proprio quello la molla decisiva della lunga cavalcata del nostro modello di sviluppo partita nel dopoguerra, impennatasi poi con il miracolo economico, e che, infine, ha garantito per decenni una sufficiente mobilità sociale, oltreché territoriale, e soprattutto un benessere diffuso. In quegli anni gli anziani non risparmiavano più, o risparmiavano meno, premiati, anche, da un sistema pensionistico generoso. Passavano il testimone del risparmio ai giovani, ai figli. Nel Nuovo Secolo pure questo aspetto del patto generazionale è saltato. I giovani non possono mettere nulla da parte perché in media il reddito degli under 40 basta a stento per sopravvivere. Il testimone resta in mano al capofamiglia che sta grattando il fondo del barile. Il circuito si è drammaticamente interrotto. E oltre il 30 per cento dei nostri nuclei famigliari sa di non poter fronteggiare una spesa imprevista intorno ai 750-800 euro. È questo il rischio di povertà di un italiano su quattro.
Il calo del risparmio, dunque, per leggere il nostro squilibrio sociale, le contraddizioni del mercato del lavoro, l´invecchiamento della popolazione. «Il tasso di risparmio che scompare - spiega Revelli - vuol dire anche che il ceto medio, quello che negli anni è stato il nostro baricentro stabile - è scivolato verso il basso. Mette da parte solo chi è più in alto nella stratificazione sociale». E, va detto, ci può essere pure chi rinuncia al risparmio al posto di consumi voluttuari, dal nuovo telefonino al fitness. Non è un paradosso. Sono consumi che funzionano da «veicoli relazionali», come li chiama Revelli. «Fanno in modo che si continui ad appartenere alla propria rete di relazioni sociali. Si resiste aggrappati ai simboli del proprio status sociale, sapendo che si rischia presto di precipitare».
Stiamo tutti peggio: non possiamo accantonare nulla e abbiamo più debiti. L´Istat: «Il 43,3 per cento delle famiglie dichiara di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all´anno precedente. La difficile situazione economica costringe infatti le famiglie a contrarre debiti o a fare ricorso alle proprie risorse patrimoniali (il 16,2 per cento contro il 15,1 del 2009) e a risparmiare meno dell´anno precedente (19,1 per cento)».
Senza risparmio si vive solo nel presente. Si accorcia la prospettiva. Senza accumulo di capitale, va da sé, l´economia non può crescere. Il risparmio che non c´è è il sintomo della nostra malattia. Anche negli Stati Uniti non si risparmia. Ma è la Cina che risparmia e che compra i treasury bond. Arriveranno anche da noi i cinesi?