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 2011  maggio 23 Lunedì calendario

NON SOLO ELTON JOHN O RICKY MARTIN: SONO UN CENTINAIO LE COPPIE ITALIANE DI MASCHI GAY CHE DIVENTANO GENITORI VANNO ALL´ESTERO PER RICORRERE ALLA MATERNITÀ SURROGATA. COSÌ NASCONO E CRESCONO I BEBÈ DI QUESTE "NUOVE FAMIGLIE"

Dylan tira palloni che sembrano bombe nella porta segnata da due pini grandi e ombrosi. La partita si gioca ai rigori e Dylan, 9 anni, non ha rivali: tra cugini e amici la sua squadra vince con onore. Papà e papà, i suoi due genitori, applaudono convinti, Dylan sudato e orgoglioso li abbraccia e poi sguscia via, come fanno i bambini, la giornata è calda, c´è la piscina, il barbecue, i giochi. È veloce, bruno e scattante Dylan, così simile ai suoi due padri, Matteo e Anthony, se non fosse per quegli occhi verde scuro che in famiglia nessuno ha, frutto forse del triangolo procreativo da cui è venuto al mondo. Matteo, italiano, è ingegnere alla Fao, Anthony (Tony) italoamericano scrive sceneggiature. Da vent´anni vivono insieme, da dieci sono anche genitori.
«Quando nel 1995 ci siamo sposati a San Francisco eravamo ancora lontani dall´idea di un figlio, anche se negli Stati Uniti la "surrogacy" era già possibile per le coppie gay. Il desiderio è cresciuto via via che il nostro rapporto diventava adulto, maturo - racconta Matteo - io ho una famiglia forte e numerosa, Tony invece ha soltanto parenti lontani, la scelta è stata naturale, molti nostri amici della comunità omosessuale erano già diventati padri…». Dylan nasce a San Diego nel giugno del 2002 grazie all´agenzia "Conceptual Options", con il seme di Matteo, l´utero di una "portatrice", Patricia, e l´ovocita di una seconda donna, rimasta anonima per scelta dei padri. «Era un giorno di pioggia - ricorda Tony - tagliare il cordone ombelicale e ricevere Dylan tra le braccia è stata una tempesta di felicità, l´emozione più forte della mia vita, anzi della nostra vita».
Matteo, Anthony e Dylan. Ma ci sono anche Paolo e Moreno di Firenze con i gemelli Emma e Guido, Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti di Roma con Lia e Andrea, Walter e Mario di Livorno con David: sono ormai decine le coppie di maschi gay italiani che vanno all´estero per diventare padri con la maternità surrogata. C´è chi si racconta con nome e cognome, chi soltanto con il nome, ma il loro numero cresce di anno in anno, nella galassia delle nuove famiglie anche omosessuali quelle formate soltanto da padri sono di certo le più "diverse", le più particolari, le più "estreme". Famiglie dove la madre non c´è. Non il suo corpo, non la sua voce. Non c´è colei che da sempre mette al mondo, e dunque è "certa". Ci sono le nonne, le zie, le amiche, le tate, ma la madre no, c´è una figura femminile formata dalla "portatrice" (utero in affitto ha un suono sgradevole), con cui molti di questi bambini mantengono un rapporto a distanza, e poi c´è la "donatrice" che ha dato l´uovo da fecondare.
Dice Vittorio Lingiardi, docente di Psicologia Dinamica alla Sapienza di Roma: «È vero, il corpo della madre è assente, così come nelle coppie lesbiche è assente quello del padre: ma sappiamo anche che la biologia è un passaggio e genitore è colui che cresce e accudisce, così come accade nell´adozione. E se i due padri, o le due madri, rispondono ai bisogni affettivi ed educativi di un bambino la deprivazione non c´è».
Forse. Gli interrogativi restano aperti, ma il fenomeno cresce. Perché non si tratta solo di vip, star della canzone dichiaratamente gay e oggi felicemente padri, che sorridono con i loro neonati dalla copertina di "People": Elthon John, Ricky Martin Miguel Bosè. Storie di star system, ma le famiglie di soli padri sono invece una realtà quotidiana, in Italia i numeri sono piccoli, forse 100 i bimbi nati con la "surrogacy" ma molte storie restano nell´ombra, non è facile "dichiararsi" in un paese che vuole bocciare la legge contro l´omofobia, e dove la fecondazione eterologa e naturalmente la maternità surrogata sono puniti come reato.
Eppure. Eppure "i ragazzi stanno bene", almeno a giudicare dalle tante ricerche dell´American Academy of Pediatrics e parafrasando il titolo del film con Julianne Moore e Annette Bening, che racconta appunto di una famiglia lesbica. Spiega Tilde Giani Gallino, professore di Psicologia dello Sviluppo a Torino: «Tra qualche anno anche i figli delle coppie omosessuali verranno vissuti con normalità, così come è stato per i figli dei divorziati, gli adottati. C´è però un elemento più profondo, già presente nei bimbi nati con l´eterologa: una nostalgia delle origini, un´assenza di passato, un vuoto biologico purtroppo difficile da colmare».
Per questo è importante parlare con Dylan, che oggi vive vicino a Roma con i suoi due padri in un grande casale, dove ci sono anche la zia Margherita, la nonna Adele, e un bel po´ di cugini. Dylan è bilingue, tra i primi della classe, per niente timido. La sua stanza è tappezzata di disegni con "daddy and daddy". Se ci sono crepe non appaiono. Non per ora. «Vado alla scuola americana, e so di essere nato in modo speciale, diverso dai miei amici, dai miei cugini. A volte è difficile spiegare, dire chi è Patricia, non è mia madre però mi ha fatto nascere, se mi fanno troppe domande cambio discorso o aspetto che arrivino i miei papà, così sono loro a parlare. Alcuni miei amici hanno i genitori separati, altri sono adottati, siamo tutti diversi come dice la maestra. E poi io una quasi mamma ce l´ho, è Margherita, mia zia, lei mi adora e dice sempre che sono il suo quarto figlio…». Matteo, daddy, sorride: «Potenza delle famiglie allargate. Mi sento egoista per aver fatto nascere Dylan così? Un figlio è sempre un atto per sé, il resto viene dopo. E oggi Dylan è un ragazzino sereno, altruista. Arriverà l´adolescenza e le domande difficili, lo so. Le affronteremo, come tutti i genitori».