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 2011  maggio 25 Mercoledì calendario

ORA UN ATTO SIMBOLICO ANCHE IN ITALIA

È visibile una forte ricerca di significati simbolici nella cerimonia con cui ieri la Chrysler ha celebrato la restituzione dei capitali ottenuti dal Tesoro americano nel momento più cupo e difficile della crisi di Detroit. Anzitutto, per la scelta del luogo, lo stabilimento di Sterling Heights (e non la sede monumentale della società a Auburn Hills, voluta da Lee Incocca) a significare il valore delle radici ben affondate nel terreno della produzione.

E poi, i partecipanti: accanto a Sergio Marchionne, due protagonisti del salvataggio della Chrysler, Ron Bloom, che aveva giocato un ruolo decisivo all’interno della task force dell’auto nominata dal presidente Obama, e General Holiefield, il vicepresidente della United Auto Workers of America dalla mole imponente, reso popolare dalla foto che lo ritrae nell’abbraccio in fabbrica col manager italo-canadese, a testimoniare della solidità della partnership fra impresa e sindacato.

Bloom e Holiefield devono aver entrambi tratto un sospiro di sollievo, perché quando due anni fa iniziò l’avventura dell’alleanza con la Fiat il risultato era tutt’altro che garantito. Due personaggi molto diversi tra di loro - l’uno, Bloom, un ex banchiere d’investimento diventato consulente di un mondo del lavoro incalzato dalle ristrutturazioni; l’altro, Holiefield, un classico militante per i diritti civili, figlio di una madre single e cresciuto negli slums -, uniti dall’intento di non lasciare che la rust belt (l’area dominata dalla ruggine della deindustrializzazione) invadesse definitivamente Detroit. Ad oggi si direbbe che ci siano riusciti: hanno salvaguardato il nucleo forte dell’industria e del movimento sindacale, che i repubblicani come il senatore Corker avrebbe voluto cancellare al momento in cui esplose la crisi in tutta la sua gravità nell’autunno del 2008, senza che i costi si siano riversati sui contribuenti americani, tutt’altro che disposti ad avallare una politica di aiuti a fondo perduto.

Bloom è stato abile nell’accreditare il suo metodo di gestione delle ristrutturazioni industriali, concepite come un processo in cui le parti devono accettare un sacrificio dei loro interessi, badando a non umiliare la controparte. Per Holiefield, si è trattato invece di far riconoscere nel sindacato un partner credibile delle imprese, così da consolidare una presenza organizzativa nell’industria da cui domani la Uaw cercherà di ripartire. E Marchionne ha fatto finora in modo di corrispondere alle attese di tutt’e due, senza peraltro mollare sulle prerogative della responsabilità e dell’autonomia manageriali.

Questo per quanto riguarda la lettura della cerimonia di ieri nel Michigan sul versante americano. Ora però essa attende di essere corroborata da qualcosa di equivalente anche su quest’altra sponda dell’Atlantico, qui da noi. La presentazione che è avvenuta, nella stessa giornata di ieri, al Museo dell’Automobile di Torino, della nuova Lancia Ypsilon può far sperare che vi siano delle avvisaglie in questo senso.

Si era detto spesso che gli Usa sarebbero stati per Marchionne il teatro d’azione determinante di quest’anno. E così è stato, con tempi più rapidi del previsto, poiché a Sterling Heights si è capito che la prossima celebrazione sarà dedicata al passaggio del controllo di Chrysler da parte della Fiat. Ma se l’operazione è ormai in procinto di compiersi, è bene allora che l’attenzione torni a focalizzarsi anche sulla componente italiana del nuovo gruppo dell’automobile.

Non c’è dubbio che il confronto che è avvenuto in Italia sulla riorganizzazione degli stabilimenti sia stato inasprito dall’erosione delle quote di mercato subìto dalla Fiat in Europa. L’obiezione che con più frequenza è stata mossa a Marchionne ha riguardato la credibilità del suo programma produttivo alla luce di un andamento declinante delle vendite dei prodotti Fiat. A questa critica si è sempre risposto che le perdite erano poco preoccupanti in un mercato stagnante come quello del nostro continente, tale da offrire margini esigui. E tuttavia la fusione tra Fiat e Chrysler aspetta di essere convalidata anche da risultati di vendita che giustifichino, in prospettiva, l’impegno richiesto ai lavoratori nella nuova organizzazione di fabbrica. D’altronde, l’Europa e ancor più il mercato domestico italiano sono un orizzonte naturale per un gruppo che non può non consolidare qui le sue basi naturali. Per questo, ci vorrebbe un gesto simbolico pari a quello di Sterling Heights anche in Italia.