Enrico Predazzi, TuttoScienze - La Stampa 25/5/2011, 25 maggio 2011
I 100 ANNI DEL TEST DI RUTHERFORD
Il 2011 è un’importante ricorrenza nella fisica. Oltre al duecentenario dei lavori seminali di Avogadro, per i quali si preparano adeguate celebrazioni in Piemonte, a maggio si compiono i 100 anni dal celebre lavoro con cui Ernest Rutherford (Lord Nelson dal 1931) interpretava lo sconcertante risultato dell’esperimento che lui stesso aveva suggerito a due giovani collaboratori, Hans Geiger e Ernest Marsden.
L’esperimento consisteva nel bombardare con particelle alfa (nuclei di elio doppiamente ionizzato, a cui si erano tolti i due elettroni che rendono il sistema neutro) sottilissime foglioline d’oro. Perché oro? Probabilmente perché è molto plastico e si può rendere sottile quasi a piacere e, comunque, ideale per la tecnologia dell’ epoca. L’esperimento doveva rivelarsi fondamentale per molti motivi.
Era la prima volta che si effettuava questo tipo di analisi, che sarebbe diventata lo strumento più importante per studiare la struttura della materia e che tuttora, con particelle sempre più energetiche, si impiega nel campo della fisica delle particelle. Raccogliendo i risultati dell’eventuale deflessione subita dalle particelle urtanti, il fisico cerca di ricostruire la struttura del bersaglio. Un po’ come (ha spiegato il Nobel Abdus Salam) se, armati di un getto d’acqua, cercassimo di ricostruire in una stanza buia la statua che sappiamo esserci, ma di cui non conosciamo le fattezze.
Il secondo motivo, incidentale ma ugualmente importante, è che particelle cariche possono essere accelerate e si possono costruire fasci sempre più energetici e perciò sempre più penetranti: questo permette di studiare sempre meglio l’interno della materia.
Ma il motivo più importante è proprio il risultato stesso dell’esperimento di Geiger e Marsden che era stato sconcertante e in prima battuta incomprensibile. Mentre quasi tutte la particelle alfa passavano praticamente indisturbate oltre la fogliolina d’oro, alcune (circa una su 10 mila) venivano deviate fortemente a grandi angoli, quando non addirittura all’indietro. Come se, per parafrasare Rutherford, una palla di cannone fosse deviata o addirittura spostata all’indietro da un foglio di carta messo sulla sua traiettoria. Si deve pensare che, all’epoca, non si sapeva nulla di preciso sulla struttura dell’atomo, la cui immagine più accreditata era che fosse una distribuzione più o meno uniforme di carica positiva all’interno della quale (questo si sapeva da fine Ottocento) erano disseminate tante cariche elettriche negative (gli elettroni) quante servivano a renderlo neutro.
Il merito di Rutherford è stato non solo di interpretare cosa stava succedendo, ma di darne una dimostrazione matematica convincente, fornendo quello che tuttora è considerato il modello più realistico dell’atomo come un (micro) sistema planetario. Un nucleo centrale carico positivamente, praticamente puntiforme per la strumentazione dell’epoca, in cui è concentrata praticamente tutta la massa dell’atomo e intorno a cui ruotano tante particelle cariche negativamente, gli elettroni appunto, quanto sono necessarie per rendere il sistema elettricamente neutro. Ne consegue che l’atomo, la materia quindi, è principalmente fatto di vuoto, anche se a noi sembra che non sia così (basta provare a passare attraverso un muro per convircene).
La spiegazione dell’esperimento diventa semplice: nella stragrande maggioranza dei casi la particella alfa passa abbastanza lontana dal nucleo da non sentirne l’effetto (perché, ricordiamoci, l’atomo è quasi tutto vuoto), mentre quelle rare volte che gli passa vicino ne viene fortemente deflessa o addiritttura respinta all’indietro, se la collisione è frontale. Sto, come è ovvio, semplificando molto, troppo, forse, ma l’idea di fondo è corretta. Rutherford arrivò a stimare quanto piccolo dovesse essere il nucleo rispetto all’atomo e la stima sarebbe stata migliorata, fino alle precisioni fantastiche dei giorni nostri.
Come dicevo, la tecnica ebbe un tale successo che divenne universale e, oltre 60 anni dopo, sarebbe stata la stessa con cui (con fasci più energetici e penetranti) si sarebbero scoperti i costituenti fondamentali della materia che chiamiano quarks. Questo Rutherford non poteva prevederlo e neppure immaginarlo, ma valse tre Nobel ai fisici che guidavano le squadre che avrebbero fatto l’esperimento, e tuttavia non al teorico, James Bjorken, che ne avrebbe fornito l’interpretazione.