Raffaele La Capria, Corriere della Sera 24/5/2011, 24 maggio 2011
TROPPE PAROLE NESSUN DIALOGO
Non c’entra più l’antipolitica, non c’entra più il governo o l’opposizione, l’appartenenza a questo o quel partito: la questione è fisiologica. Parlo della quantità di chiacchiera politica, di discorso politico, soprattutto di televisione politica, del dibattito, scontro, battibecco politico-televisivo quotidiano che siamo costretti a ingurgitare; e dico che la questione è fisiologica perché la mente, il cervello, la fantasia non ce la fanno più a fronteggiare la caterva di opinioni, spiegazioni, concioni, che ci vengono propinate senza pietà, e c’è un limite a tutto. Dopo la sovrabbondanza viene il rigetto. Rigetto fisiologico, rigetto del fisico che non regge, del metabolismo che non funziona. Troppo cibo forzatamente ingerito non ce la fai a digerirlo, provoca maldistomaco, maldipancia, vomito. Se la situazione è questa, l’unico rimedio è la dieta. Una dieta ferrea da osservare con poche semplici regole che ti devi imporre per un certo periodo di tempo, quello necessario a riportarti a una situazione di più sopportabile normalità. Prima regola: divieto di ascoltare ogni trasmissione televisiva dove vengono discusse, analizzate, spiegate le ragioni dell’uno e dell’altro, basate su sondaggi, percentuali numeri e numeretti, e via dicendo: tanto non se ne ricava gran che, oltre il fastidio. Divieto di ascoltare quelle sottili analisi proustiane, raffinate e avvolgenti, su una materia vile che non lo consente; quelle analisi dedicate al nulla e con esito nullo, per esempio sulla battuta di un politico, su un suo malaccorto comportamento e relativo arrière pensée, su quel che ha detto e su quel che intendeva dire e su quel che invece gli vogliono far dire, su quel che ha dichiarato davvero o per finta. Divieto di ascoltare il nome di Berlusconi pronunciato da una parte o dall’altra, con buone o cattive intenzioni quante volte è stato pronunciato in questi anni? Facciamo il conto: un miliardo di volte? Due miliardi? Fino a vanificarlo in un flatus vocis. Non basta? Dobbiamo continuare a ripeterlo? Fino a quando? Divieto di accettare l’invito a partecipare al famoso dibattito settimanale su questa o quella questione politicamente rilevante scelta da un qualsiasi conduttore per sua insindacabile volontà: accettare l’invito sarebbe un’arma offerta al nemico, quello che strumentalizzerà a proprio favore qualunque cosa si dica, perché qualunque cosa si dica, a favore o contro, servirà a teatralizzare la trasmissione con vantaggio della televisione e del conduttore. Faccio presente che quanto ho detto non vale e non sarebbe nemmeno democraticamente proponibile se le due parti si parlassero ed istaurassero un vero dialogo. Ma siccome non si parlano e danno solo spettacolo di sé, a chi giova il loro furore o il loro cicaleccio se non alla tv? Non si parlano, e perciò si sa sempre come va a finire. La lingua batte dove il dente duole: quando si sa già tutto prima, quando si sa già dove va a finire il discorso, la trama, qualsiasi racconto, non regge, e non appare interessante. Perché questo avvenga è necessaria la cosiddetta «sospensione d’incredulità» che deve dare a chi legge o ascolta l’impressione che tutto sia credibile anche se non vero. Deve apparire vero. Il fatto è che a tutti quelli che ascoltano la tv così non appare. Ultima regola della dieta (e vale soprattutto per i partecipanti alle trasmissioni) sarebbe non sorridere in queste occasioni, non sorridere di soddisfazione, di compiacenza, di superiorità o d’altro come se si stesse parlando in un salotto qualsiasi. Meglio mostrarsi severi e gravi come la situazione richiede. Siamo o no, un Paese in guerra? Qualcuno se n’è accorto? Chi è che applaude? Zitti, per favore. Non c’è niente da applaudire. Non ci sono guai dovunque intorno a noi? E morti, e feriti, e dolore, e barconi carichi di disperati. Non c’è dunque da sorridere. Non sta bene sorridere a un funerale, mi verrebbe da dire, perché è un funerale quello cui assistiamo, con un sentimento doloroso, diffuso, che nell’inconscio dovrebbe accomunare tutti: «Capitani, banchieri, eminenti letterati, mecenati, governanti e governati, insigni servitori dello Stato, presidenti di molti comitati, magnati dell’industria, operai e piccoli industriali, tutti affondano nel buio, tutti andiamo con loro nel silenzioso funerale, funerale di tutti e di nessuno... Dissi all’anima mia sta quieta, e lascia che il buio ti copra, perché in quel buio c’è Dio» . Sono versi dei Quattro Quartetti di Eliot che traducevo da ragazzo, e che mi tornano a mente mentre scrivo per giustificare l’osservanza della dieta proposta. O almeno per richiedere un minuto di silenzio. Un minuto di raccoglimento. Di buio sullo schermo. Un minuto. Perché poi sia luce e la vita riprenda.