Varie, 23 maggio 2011
Appunti su indignados e elezioni amministrative spagnole del 22 maggio 2010 FRANCESCA PACI LA STAMPA 24/5/2011 A Puerta del Sol sembra il mattino dopo Capodanno
Appunti su indignados e elezioni amministrative spagnole del 22 maggio 2010 FRANCESCA PACI LA STAMPA 24/5/2011 A Puerta del Sol sembra il mattino dopo Capodanno. La festa, come l’attesa elettorale è finita; la maggior parte degli ospiti se n’è andata; il sole già estivo illumina gli irriducibili con il trucco sfatto e l’aria un po’ intontita. L’assemblea ha deciso in extremis di non levare le tende prima di domenica prossima ma molti «indignados» sono dovuti tornare in ufficio o all’università se non addirittura a cercare un lavoro. Tra le insegne del metrò e le fontane ci sono ancora una trentina di piccole igloo circondate dai sacchi a pelo e i mega teli azzurri sotto cui dal 15 maggio si organizza la vita collettiva, ma i negozianti iniziano pian piano a recuperare i marciapiedi e a staccare dalle vetrine i mille tazebao della rivoluzione spagnola. «Sapevamo che ci avremmo rimesso, seppure non fino al 40%, ma abbiamo tollerato, in fondo siamo tutti nella stessa barca... ora però basta» mormora il titolare di un bazar di souvenir. Come gli altri esercenti della piazza, dalla gelateria Palazzo al magazzino Corte de Inglés, non si aspettava di fare affari con i ribelli per cui, insiste, prova «sincera solidarietà». Perfino re Juan Carlos ha chiesto ieri un intervento urgente contro la disoccupazione giovanile, figurarsi lui che ha due figli maggiorenni. Però, ripete accartocciando l’adesivo «No es que somos much@s, somos tod@s», alla protesta «deve seguire una proposta». La «juventud sin futuro» sa che, al di là degli slogan, tutti gli spagnoli sono «indignados» ma gran parte non afferra l’alternativa suggerita da Puerta del Sol, ribattezzata Puerta Sol-ution. «Volevamo che Zapatero fosse punito ma non ci aspettavamo così tanto, anche perché ad avvantaggiarsene non sono state le formazioni minori, per cui ho votato io, ma il partito popolare, ossia la fotocopia dell’attuale governo» concede l’aspirante ingegnere Pablo mangiando «croquete de bacalo» al banco di Casa Labra, lo storico locale amato da García Lorca che il 2 maggio 1879 vide la nascita del Psoe. Ne è passato di tempo: «Il sistema parlamentare ha fallito, partecipo al collettivo politico e stiamo sperimentando la formula assembleare con le decisioni per alzata di mano». Pur non avendo letto Rousseau e i socialisti utopistici, capisce che la democrazia diretta non ha chance in un Paese di 47 milioni di abitanti. Eppure non molla, non ora che è arrivata addirittura la solidarietà dei ragazzi di Tunisi e di piazza Tahrir: «Corro a dare il cambio a mio fratello Carlos alla commissione informazione. Ha fatto lo scritto di medicina generale sabato e ci ha raggiunti, ma deve ancora preparare l’orale». Molti studenti in realtà sono tornati in ateneo. Basta fare un giro all’Universidad Complutense, una delle più attive politicamente, per respirare il pragmatismo di chi ha chiara la differenza tra la repubblica indipendente di Puerta del Sol e il mondo grande e terribile in cui gli toccherà comunque navigare. «Sono andata in piazza, è stata un’esperienza unica e continuerò a seguire le iniziative di Democracia Real Ya, ma devo evitare di ritrovarmi tra quei 5 milioni di disoccupati nel cui nome ho contestato il governo» spiega Consuelo Cruz all’ingresso della facoltà di biologia. Parecchie delle facce intorno a lei sono le stesse del movimento M-15, ragazzi e ragazze che rivendicano la paternità di numerose delle 570 mila schede bianche scrutinate e giurano di voler continuare la lotta seppur non rimanendo accampati. «La maggioranza della popolazione simpatizza con gli indignados ma non può adagiarsi, sa che l’85% del lavoro nasce dall’iniziativa privata anziché dall’intervento pubblico» nota l’analista Juan Pablo Colmenarejo sul quotidiano conservatore La Razòn. Puerta del Sol affronta oggi la sfida più insidiosa. Agevolerà una riforma del sistema magari in senso proporzionale o resterà la performance estemporanea e un po’ folkloristica che gli italiani Luca e Maura si sono precipitati a fotografare ieri direttamente dall’aeroporto prima ancora di mollare il trolley in hotel? «Prego per loro, sono bravi giovani e mi hanno offerto il caffè» dice nonna Maria Dolores Santos risalendo Calle del Carmen diretta alla chiesa di Nostra Signora e San Luigi per la Messa delle otto. Lo svuotamento della zona svela i mendicanti accasciati agli angoli delle strade. I commercianti dei vicoli laterali, da Calle Cadiz a Carrera de San Jeronimo, temono che in una settimana siano aumentati e adesso tocchi a loro allontanarli. La natura anarchica degli spagnoli li rende insofferenti alle decisioni prese dall’alto, anche se prese dall’alto della buona fede. Oggi più che i politici, svergognati da Puerta del Sol, è la gente comune a volere il ritorno alla normalità. «Sento aria di sgombero, credo il ministro dell’interno Rubalcaba lasci passare un paio di giorni e poi intervenga la Guardia Civil» ammette Raul della Commissione Infanzia. E’ già d’accordo con la polizia per agevolare l’evacuazione dei bimbi. Pazienza, si consola: andrà alla manifestazione nazionale del 15 giugno e poi chissà. Per ora è meglio che il Paese non s’indigni con gli «indignados». ADNKRONOS Madrid, 23 mag. (Adnkronos/Dpa) - I giovani "indignados" spagnoli che chiedono di riformare il sistema democratico del Paese continueranno le loro proteste anche dopo le elezioni regionali e locali di ieri, dalle quali i socialisti del primo ministro Jose Luis Rodriguez Zapatero sono usciti pesantemente sconfitti. I manifestanti, che ieri notte gridavano slogan contro gli attuali partiti politici, "non ci rappresentano!", hanno annunciato che continueranno a presidiare la centrale piazza di Puerta del Sol a Madrid, almeno per un’altra settimana. ELISABETTA ROSASPINA CORRIERE DELLA SERA 23/5/2011 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MADRID — Nessuna sorpresa: con oltre due milioni di voti di vantaggio, il Partito popolare si prende tutto (o quasi) in Spagna, anche le ultime roccaforti socialiste e le deboli speranze del capo di governo, José Luis Rodríguez Zapatero, ormai rassegnato a lasciare entro qualche mese la guida di un Partito socialista umiliato dalla destra e perfino dalla sinistra. A scrutinio completato, il Pp si è aggiudicato il 37,5%dei voti, il Psoe il 27,8%: erano rispettivamente al 34,92%e al 35,62%alla tornata del 2007. Dopo 28 anni di incontrastato monopolio il Psoe è costretto a cedere il timone della sua comunità autonoma più fedele, la Castiglia-La Mancia: è il trofeo della vittoria. E per strappargliela, Mariano Rajoy, leader del Pp, ha messo in campo la sua numero due, Maria Dolores de Cospedal. Cade anche Barcellona. Dopo 32 anni di egemonia, i socialisti catalani non la consegnano ai popolari, ma ai nazionalisti di centrodestra di Convergencia i Unió che, già sei mesi fa, hanno sottratto al Psc il governo della Catalogna. I socialisti non riescono a salvare Siviglia e perdono la maggioranza nel Principato delle Asturie. Anche l’Estremadura, da sempre socialista, passa al Pp. A rendere ancora più dolce la rivincita di Rajoy, dopo due brucianti sconfitte consecutive contro Zapatero alle politiche, c’è il trionfo, anche se scontato, a Madrid, dove la maggioranza dell’elettorato ha confermato il suo sostegno al sindaco Alberto Ruiz-Gallardón e alla presidente regionale Esperanza Aguirre. Zapatero ieri notte si è felicitato con gli avversari, ammettendo di «aver chiaramente perso» , ma scartando l’ipotesi di elezioni politiche anticipate. Non conta che queste siano elezioni amministrative, celebrate per rinnovare 13 Parlamenti regionali (su 17), 8.116 Consigli municipali e i governi di due città autonome, Ceuta e Melilla: mancano solo nove mesi alle elezioni generali e questo risultato ha il categorico valore di un verdetto nazionale sugli ultimi sette anni di governo socialista. Nessuno dei due grandi avversari, popolari e socialisti, lo nega. È la prima chiamata generale alle urne di 35 milioni di elettori da quando la crisi economica, iniziata nel 2008, ha devastato le ambizioni e il recente benessere del Paese, lasciando quasi 5 milioni di disoccupati, tra i quali il 44%dei giovani sotto i 30 anni. È la prima consultazione a livello nazionale da quando Zapatero ha annunciato, il 2 aprile scorso, che non si candiderà per la prossima legislatura. Gli spagnoli non si sono affatto astenuti, anzi l’affluenza alle urne oltre il 66%è stata superiore a quella della scorsa occasione: l’invito a «non votarli!» lanciato almeno inizialmente dagli «indignados» non è stato ascoltato. Ma è anche possibile che l’irruzione dei ribelli alla Puerta del Sol di Madrid, e in un altro centi- naio di piazze spagnole, abbia ottenuto, al contrario, l’effetto di attizzare l’interesse politico per le consultazioni, proprio nel rush finale di una campagna elettorale tutto sommato piuttosto noiosa. A beneficiare di questa inaspettata politicizzazione è stata probabilmente la sinistra radicale, coalizzata in Iziquierda Unida e passata dal 5,4%al 6,3%. c’è stato anche un incremento, rispetto al 2007, di schede bianche (dall’ 1,9 al 2,5%) e nulle (dall’ 1,1 all’ 1,7%)): segno che il piccolo, pacifico esercito del «15 M» , costituitosi appunto il 15 maggio contro i partiti, le banche e i poteri forti, non ha granché influito sulle scelte elettorali degli spagnoli, ma ne interpreta qualche disillusione sul sistema politico. E. Ro. www.repubblica.it MADRID - Il voto del 22 maggio per le amministrative spagnole ha travolto il Psoe di Josè Luis Rodriguez Zapatero, che ottiene il peggior risultato della storia nelle elezioni municipali (il 27,8 per cento dei voti), quasi 10 punti e 2,2 milioni di voti in meno del Pp. I Popolari di Mariano Rajoy sono riusciti a raddoppiare la distanza conquistata nello storico 1995, preludio alla sconfitta socialista nelle elezioni generali dell’anno successivo che portò il Pp alla Moncloa nel 1996. Il Psoe, che ha pagato molto caro la gestione della crisi, ha perso 1,5 milioni di voti anche rispetto al 2007: Zapatero ha riconosciuto la "chiarissima" sconfitta ma ha escluso l’anticipo delle elezioni generali per poter portare a termine "le riforme imprescindibili per il recupero economico". A scrutinio concluso, il Pp ha ottenuto il 37,53% dei voti, il Psoe il 27,79. Anche nel 2007 aveva vinto il PP, ma allora la distanza era stata di appena 7 decimi: 35,62% contro 34,92%. Per i socialisti la sconfitta è storica anche perché travolge alcuni dei loro rincipali feudi, come la comunità di Castilla-La Mancha, il municipio di Barcellona e gli otto capoluoghi andalusi, compresa Siviglia. Di fatto, le elezioni lasciano una mappa politica in cui il Pp domina nei comuni e anche nelle principali comunità autonome. I socialisti conservano il governo dell’Andalusia e dei Paesi Baschi (in questo caso con l’appoggio del Pp). Il Partito Popolare ha vinto le elezioni per la prima volta anche in Extremadura, un altro grande bastione del Psoe, che però potrebbe mantenere il governo della regione se trova l’accordo con Ixquierda Unida. www.corriere.it MILANO - Il voto per le regionali e le amministrative in Spagna assegna una dura sconfitta al Partito socialista (Psoe) del premier José Luis Zapatero (che ha annunciato che non si ripresenterà alle politiche del 2012). Con il 53% dei seggi scrutinati a livello nazionale, il ministero dell’Interno conferma che i socialisti sono scesi al 28,22%, mentre il Partido Popular (Pp) di Mariano Rajoy è al 36,25%. I socialisti hanno perso inoltre il Comune di Barcellona, che controllavano dal 1979, nei confronti dei catalani di Convergencia i Unio che aumentano di 14-16 seggi i 41 che avevano, e quello di Siviglia dove vince il Pp. I sondaggi infatti davano il Psoe vicino al tracollo con la perdita di grandi feudi tradizionali, come le regioni di Castiglia-La Mancia ed Estremadura, e i Comuni di Barcellona e Siviglia. Sempre secondo i sondaggi si prevede lo tsunami azzurro del Pp e un’avanzata delle formazioni regionali. In Spagna si votava per le regionali in tredici regioni, con l’esclusione di Catalogna, Paesi Baschi, Galizia e Andalusia. DATI - Quasi 35 milioni di elettori sono chiamati al voto per il rinnovo di oltre 8 mila sindaci, 68.400 consiglieri municipali e 824 deputati regionali. Una consultazione locale stritolata fra crisi economica, disoccupazione e protesta degli «indignados», i giovani accampati a Puerta del Sol a Madrid e in altre piazze del Paese che denunciano il sistema politico dominato dai grandi partiti e reclamano una maggiore giustizia sociale. Decine di migliaia di manifestanti hanno nuovamente invaso sabato sera e nella notte le vie e le piazze della Spagna. A Madrid, una folla immensa si è radunata sulla Puerta del Sol, dove l’accampamento di tende dei giovani indignados è di fatto diventato il cuore della contestazione. FRANCESCA PACI, LA STAMPA 23/5/2011 Non ci sono maxischermi da cui seguire gli exit poll in Puerta del Sol. La batosta dei socialisti di Zapatero lascia gli «indignados» indifferenti quanto l’affermazione del Partido Popular. Alle 21,30 al centro della piazza gremita decine di persone alzano le braccia agitando le mani come si usa per approvare un’idea dell’assemblea. I risultati elettorali non c’entrano. Il Comitato Informazione annuncia il vincitore di questa domenica 22 maggio: il popolo spagnolo che ha fatto sentire la sua voce e continuerà. Evviva. «Ho votato scheda bianca e me ne vanto, tra i due litiganti il terzo gode» commenta Eduardo Ramirez, insegnante, 38 anni, un palloncino in mano con la scritta «Somos l@s invisibles», siamo gli invisibili. Il 15 maggio sono usciti dall’ombra e oggi celebrano la sconfitta dei politici che seppure ancora in sella dovranno fare i conti con la sfida popolare al bipartitismo. A onor di cronaca la web-tv autogestita Emitiendo 24 horas aggiorna i risultati dello spoglio. Nessuno però sembra particolarmente interessato alle percentuali di quelli che comunque governeranno. A differenza della Tahrir egiziana, la piazza madrilena non puntava alla caduta di un tiranno e non ha bisogno dell’urlo catartico della liberazione. «Tutti si aspettano che succeda qualcosa e invece non succederà niente perché sapevamo di non poter cambiare il sistema in una settimana», osserva l’educatore per l’infanzia José Ramon. La notte dorme qui e il mattino corre a timbrare il cartellino: «Resterò finché deciderà l’assemblea, è un sacrificio ma ne vale la pena». L’amica e collega Michela divide con lui la tenda e la certezza d’aver segnato un punto, pazienza se per il momento se ne avvantaggeranno i conservatori: la rivoluzione procede con metodo. «È una vittoria di Pirro per i popolari, hanno battuto i socialisti ma devono affrontare la piazza» osserva lo scrittore Lorenzo Silva che ambienta il suo nuovo romanzo La strategia dell’acqua (Guanda) nella Spagna contemporanea, tra cervelli in fuga dalla disoccupazione e sindaci beccati a nascondere centinaia di migliaia di euro nella spazzatura. Il finale della protesta è aperto, concede: «Certo non ci sono leader né obiettivi chiari, Puerta del Sol è energia pura un po’ come in Egitto». Ma finora tiene: «Temevo che la nostra gioventù fosse diventata apatica e invece ha sorpreso tutti. Oggi può esercitare una pressione e chissà, magari far ripensare la legge elettorale». Gli «indignados» non hanno fretta. Le scatole in cui raccolgono i desideri dei cittadini sono colme ma per organizzarli in forma di proposta politica ci vorrà tempo. «Ho votato perché non sono qualunquista ma per un partito piccolo», spiega Sara, responsabile dell’orto biologico in cui sono stati piantati pomodori, lattuga e il cartello «Yes we camp». Il messaggio è chiaro: cresceremo. Chi pensava che il movimento M-15 svanisse così, schiacciato tra l’avanzata dei popolari e lo smacco dello stesso Zapatero che a suo tempo aveva fatto sognare la riscossa ai socialisti europei oscurati dal neoliberismo, deve ricredersi. La contrapposizione destra-sinistra è roba passata, almeno oggi in Puerta del Sol. «Vogliamo un sistema proporzionale più rappresentativo», insiste il grafico Carlos Yanel. Gli «indignados» rivendicano partecipazione. Il diciottenne Ricardo ha disertato convinto il suo primo voto, l’impiegata Carmen si è tappata il naso mettendo la X sul partito socialista e il pensionato Juan Pablo ha fatto lo stesso con il Pp. Molti hanno optato per la scheda-protesta come il matematico trentanovenne José Riballa che, all’uscita dell’Instituto San Isidro, auspica una nuova stagione politica: «Ho scelto Isquierda Unida, ma l’importante è che la finta democrazia in cui viviamo sia stata smascherata. Spero che inizi un mutamento culturale tipo il ’68». Tra un anno tocca alle politiche, il tempo stringe. «Siamo un cantiere aperto che per ora non chiude, decidiamo cosa fare giorno per giorno ed è assai più onesto delle promesse bugiarde del governo» taglia corto Raul, uno dei «portavoz». La piazza Tahrir di Barcellona ha fatto sapere che non smobiliterà fino al 15 giugno, da Saragoza Radio Acampada rilancia sine die. Poi certo ci sono tutti gli altri. I soddisfatti dello status quo (pochi) e gli «indignandos» non accampati, la maggioranza silenziosa degli spagnoli che disprezza il malgoverno, lo stallo economico e l’arroganza della politica ma dubita dell’efficacia rivoluzionaria della repubblica indipendente di Puerta del Sol. Basta allontanarsi qualche metro dalla colorata tendopoli madrilena per ascoltare voci differenti, specie ora che la decisione «popolare» di restare qui fino a domenica prossima rischia di mettere a dura prova la compiacenza dei negozianti. «Cosa possono ottenere di più? È ora di tornare a lavorare» lamenta don Pedro, titolare d’uno degli storici caffè della piazza. Secondo il presidente dell’associazione commercianti di Madrid Hilario Alfaro il giro d’affari è già calato del 40 per cento. «Ci dispiace, serviva una scossa, in fondo protestiamo anche per loro» concede Angelica, avvocato, 25 anni, t-shirt con un punto di domanda sul petto. Lo dice anche Mafalda sul cartello affisso al banco della Commissione Legale dietro cui la ragazza raccoglie firme contro i politici inquisiti per corruzione: «Pare che se uno non s’impegni a cambiare il mondo, il mondo poi cambi lui». La «joventud sin futuro» ha messo mano al presente, domani si vedrà. GIA.ORI. LA STAMPA 22/5/2011 Una prova generale in vista del duello decisivo per conquistare la Moncloa, la residenza del premier. Le legislative sono fissate per il marzo 2012 ma l’appuntamento potrebbe essere anticipato. Di certo cambieranno i duellanti. Almeno sul fronte socialista, dove «l’allenatore» dei recenti fasti del Psoe, Zapatero, ha perso slancio, entusiasmo e da valore aggiunto si è trasformato in zavorra. L’effetto Indignados accelera la sostituzione del candidato della «Rosa»: a succedergli alla guida del partito e magari del Paese saranno il vicepremier, portavoce del governo e ministro degli Interni Alfredo Pérez Rubalcaba, e la ministra delle Difesa, Carmen Chacón. Il fronte popolare invece non cambia attori, le urne in fondo l’hanno premiato: toccherà a Mariano Rajoy e Maria Dolores de Cospedal e a Cayo Lara per il cartello comunista Iu battersi per la Moncloa. Che ormai Zapatero, 50 anni, al potere dal 2004, sia una sorta di titolo spazzatura, lo si è definitivamente capito sabato, quando si è riunito a sorpresa con il ministro dello Sviluppo, il potentissimo Pepe Blanco, per preparare la Commissione Federale che dovrà decidere quando celebrare le primarie. Ieri, l’uomo che nel 2004 a sorpresa scavalcò i popolari al fotofinish sorrideva depositando il suo voto nell’urna. Passo d’addio comunque, le amministrative sono state le sue ultime elezioni come «líder máximo» della Rosa. Il testimone socialista passerà a uno dei due sfidanti che già il 2 aprile avevano i motori ben caldi: quel giorno Zapatero annunciò che nel 2012 non avrebbe corso e Rubalcaba, 59 anni, ex ministro dell’Educazione, della Presidenza e portavoce del governo all’epoca del socialista González, sembra in pole position. In gioventù era un maoista, in questi giorni è stato lui, con Zapatero, a decidere di non sgomberare le piazze occupate. La sua frase «la polizia non è fatta per creare problemi, ma per risolverli», una sorta di via libera alle tendopoli cittadine, gli ha fatto conquistare la riconoscenza degli Indignados e della Spagna di sinistra. Carme Chacón, 40 anni, ministro della Difesa, era considerata la delfina di Zapatero. Grande comunicatrice, abituata alle manifestazioni fin da bimba, quando i genitori la portavano in piazza per protestare contro la dittatura franchista, si è quasi schierata con gli Indignados dichiarando: «Ci sono richieste che non solo sono ragionevoli, ma anche possibili. Esprimono un malessere profondo e io sto ascoltando». I «cavalli» in corsa sul fronte socialista, confermava una fonte, si esauriscono qui: Rubalcaba o Chacón, nessun nome nuovo, nessun colpo a sorpresa. I popolari invece si affidano all’ormai eterno Mariano Rajoy, 56 anni, ministro dell’ex premier Aznar, che lo scelse come suo successore nel 2003. Navigatissimo e spiritoso, non ha però la stoffa del leader ed è stato sconfitto due volte, nel 2004 e nel 2008, da Zapatero. Impersona benissimo i moderati, con la sua aria da notaio che rassicura. «Sinistra, votate per me, non per Zapatero», sparava agli ultimi comizi. Tranquillizza ma non esalta. E talvolta scivola. Perché uno scivolone alla voce gradimento potrebbe sicuramente risultare la richiesta di sgomberare le piazze dagli Indignados con la forza. Uscita a gamba tesa, che nel 2012 potrebbe pesare. Così sul carro popolare resta la sua vice, già segretaria generale del Partito, Maria Dolores De Cospedal, 45 anni, bella presenza, grinta, volto nuovo visto che alla ribalta della politica nazionale è arrivata appena nel 2008. Doti che ricordano molto la travolgente moglie di Aznar, Ana Botella. Nel 2006, quando era ancora una sconosciutasenatrice, ebbe il coraggio di sfidare la Chiesa e avere un figlio da single con l’inseminazione artificiale. Si è sposata solo nel 2009. Pure lei sta con gli Indignados: «È logico che ci sia tanta gente scontenta per i 5 milioni di disoccupati. Votateci, noi popolari riaggiusteranno le cose». Fuori dai due partiti c’è Cayo Lara, 58 anni, fronte comunista. Appoggia gli Indignados e sogna un futuro radioso. Ma non è stato capace di cavalcare la tigre e neppure di prevedere che sentiero avrebbe imboccato. FRANCESCA PACI LA STAMPA 22/5/2011 Alle nove del mattino Monica Lonzano dribbla le tende ancora mezze addormentate tenendo per mano Juan di 5 anni e raggiunge alla Commissione Infanzia l’asilo allestito vicino alla fontana di Puerta del Sol dalle mamme «indignados» come lei. «Sono single, ho 37 anni, guadagno 600 euro al mese con un lavoro part-time da responsabile marketing che ho ottenuto omettendo i master dal mio curriculum e non posso permettermi la baby-sitter», spiega segnando il suo nome sulla tabella dei turni appesa al telo che ripara i piccoli. Volontarie e volontari si danno il cambio ogni tre ore. Se serviva la prova delle intenzioni pacifiche dei rivoluzionari spagnoli eccola qua: una ventina di bambini che giocano con peluches donati dai madrileni nel bel mezzo della locale piazza Tahrir. «Revolución pacifica de valores colletivos» recita lo striscione accanto alla Commissione Infrastrutture, dove vengono distribuite coperte, cartoni e buste per la raccolta differenziata dei rifiuti. «Abito all’angolo, stamattina, quando ho capito che non c’erano rischi, sono scesa a vedere» racconta la settantacinquenne Dolores agitando il ventaglio mentre riposa su uno dei sofà addossati al Chilometro Zero, la targa che indica l’epicentro della rete stradale nazionale, il cuore geografico del Paese. «I primi giorni ho visto qualcuno aggirarsi con il casco da moto in testa ma dev’essere stato allontanato, la gente è cosciente che alla violenza seguirebbe lo sgombero della piazza», osserva Carlos Carabana, giornalista freelance per il periodico . Tra gli indignados s’incontrano giovani anarchici simpatizzati di gruppi antagonisti attivi specialmente a Barcellona, ma si perdono nell’arcobaleno di facce sorridenti, pesci fuori dall’acqua. Il movimento M-15, che sta per 15 maggio come la data d’inizio della protesta, non ha forse ben chiaro il futuro, ma per quanto riguarda il presente appare organizzatissimo. All’ombra di una grande canadese Miguel e Eudika Sala raccolgono le proposte della piazza e le archiviano sotto le voci economia, educazione, politica. Qualcuno chiede il salario minimo da 1200 euro, altri un calmiere ai prezzi delle case, molti la fine del bipartitismo a vantaggio di un sistema multipartitico più rappresentativo. «La storia si ripete - nota sul Mundo Pedro G. Cuartango -. Quanto accade oggi ricorda il 1854 quando il popolo occupò Puerta del Sol per contestare il governo corrotto del Conte di San Luis e attirò l’attenzione di Marx che ne scrisse sul New York Daily Tribune ». Spunterà prima o poi anche qui quella violenza levatrice della Storia descritta dall’autore del Capitale ? Per ora parrebbe di no. I negozi della piazza sono tutti aperti e i turisti si dividono tra le vetrine e l’accampamento degli «indignados». La metro funziona a pieno ritmo e davanti alle due uscite della fermata Sol incorniciate dagli slogan «La soluzione al 50% dei problemi del Paese è 20 anni di prigione per tutti i politici corrotti» e «La crisi non è il problema, la crisi è il sistema» due giovani marocchini distribuiscono volantini di una scuola d’informatica. «Gli spagnoli hanno ragione», butta là Mohammed. È arrivato nel 2008 insieme a flotte d’immigrati che sono ormai il 16% degli abitanti di Madrid, il doppio della media nazionale. Guadagna 10 euro al giorno ma i giorni buoni in un mese sono una decina. «Eravamo il miracolo europeo che cresceva del 7% l’anno e ci siamo ridotti a farci la guerra tra poveri», commenta Noemi, 37 anni. Suona la colonna sonora della juventud sin futuro: «Ho due lauree, una in scienze della comunicazione e l’altra all’Accademia. Lavoro come chitarrista di flamenco per 500 euro al mese di cui tre quarti se ne vanno per l’affitto condiviso con tre amici». La rabbia è tanta, la voglia di trarne energia positiva ancor di più. A vigilare ci pensa il servizio d’ordine. Li riconosci dal gilet catarifrangente arancione con scritto «Respeto». Alexandro, 22 anni, studente di antropologia ed ex elettore di Zapatero, è con loro dal primo giorno: «Teniamo lontano chi beve, controlliamo che non ci siano provocatori, la notte siamo circa 400 e formiamo un cordone intorno alla piazza. Non abbiamo mai avuto problemi, credo che la gente sia stanca del muro contro muro ideologico, destra e sinistra qui hanno la stessa dignità». Basta domandare cosa abbia votato l’ultima volta alla signora bionda che porta pane e acciughe alla mensa per capire lo spirito trasversale di Puerta del Sol. «Sono conservatrice» ammette María Adán. Al di là del banco sovrastato dal cartello «Lascia la birra, alza la voce» Xiana, 19 anni, aspirante avvocato, organizza la dispensa e i turni della distribuzione 8-10, 10-14, 16-21: «La gente porta cibo e bevande, ci offrono anche soldi ma rifiutiamo». Anche alla Commissione Sanitaria, aliasl’infermeria, le donazioni surclassano le richieste. «Per fortuna gli unici interventi richiesti sono colpi di sole o malesseri», rivela l’infermiera quarantaseienne Lola che ha preso una settimana di ferie dall’ospedale per far fronte a eventuali emergenze ritrovandosi invece a dispensare creme protettive e anticoncezionali. Quanto resterà in piedi questa comunità autogestita di 20 mila persone? I ragazzi che spazzano la piazza pianificano di smantellare domani, a elezioni passate. Ma dopo? Difficile dirlo. «Nel pieno di una crisi pagata da lavoratori e famiglie, sindacati e partiti non sanno più attrarre le masse», ragiona l’opinionista del settimanale Cambio 16 Ricardo Lenoir. Le masse fan da sole, sintetizza lo slogan: «Solo i pesci morti seguono la corrente». Dove vanno quelli vivi è ignoto: per ora sono in Puerta del Sol. GAO LA STAMPA 22/5/2011 Gli Indignados hanno un padre, una madre e una data di nascita: Fabio Gandára, avvocato con master in Diritto urbanistico, 26 anni, ovviamente disoccupato e adesso uno dei portavoce di Democracia real ahora (Dra), su Facebook, decollato il 15 febbraio di quest’anno. Si aspettava che il Movimento crescesse così in fretta? «No, è stata una grande sorpresa, anche se sapevo che c’era molta indignazione latente. Quattro mesi fa ho creato su Facebook la Plataforma de coordinación de grupos pro mobilitacion ciudadana . Poi la partecipazione è aumentata sempre di più ed è nata Dra, gestita da molti, trasversale. Poi è arrivata la manifestazione di domenica scorsa». Il premier Zapatero dice che la ragione principale delle proteste è l’alta disoccupazione giovanile: 43%. «Sì, ma bisogna aggiungere i suoi tagli, le stangate e il ruolo dei politici, incapaci di rappresentare la cittadinanza». I sindacati non si pronunciano sugli Indignati. Siete voi i nuovi rappresentanti dei giovani senza lavoro? «I sindacati non sono stati capaci di esprimere gli interessi dei lavoratori. E ora la società civile si sta auto-organizzando, assumendo il ruolo che doveva essere loro». C’è un cervello politico o operativo degli Indignados? «No. Stiamo funzionando in modo assolutamente aperto e trasparente, usando le assemblee. Non c’è un nucleo duro. C’è gente che non riesce a capire che ci sono cittadini capaci di organizzarsi senza un leader o direttive chiare, utilizzando i social network e Internet». Solo l’idea delle tende è copiata dalle rivolte arabe? « No, anche se l’idea è simbolica perché la Spagna non è una dittatura del Nord Africa. Gli arabi ci hanno insegnato a usare Facebook e Twitter». Gli Indignados si espanderanno nella Ue? «Credo di sì, siamo in contatto con molti attivisti di Islanda, Inghilterra, Francia, Portogallo e Italia. Adesso stiamo cercando di coordinarci a livello europeo». Dopo le amministrative di oggi, come vi muoverete? «Bisogna differenziare le manifestazioni più spontanee come quelle di questi giorni e la Plataforma, che vuole andare avanti». Un nuovo partito? «No. Un foro cittadino per prospettare ai poteri pubblici, ai partiti, le nostre esigenze». Domani vota? «Sì, per un partito piccolo, anche se non le dirò quale». E se dopo le elezioni non cambierà nulla? «Continueremo con le proteste. Credo che i partiti ci ascolteranno, altrimenti la situazione diventerà insostenibile». LA STAMPA 22/5/2011 Gli Indignados contagiano l’Italia. A Roma, l’appuntamento ieri era in piazza di Spagna, alle 20: un bis, dopo una iniziativa analoga di venerdì: «Vamos Italia, Uniamoci!». L’idea viene, appunto, dalle piazze delle rivoluzioni nordafricane. Dalla egiziana Tahrir. Se gli Erasmus spagnoli sostengono a distanza la «revolution» avviata in madrepatria nella piazza del Sol di Madrid, gli studenti italiani si affacciano ai sit-in, per tastare il terreno di una nuova possibile intesa, nella rumorosa rete degli «scontenti». I raduni romani saranno un banco di prova per possibili alleanze. E tutto, del resto, accade sul Web, laboratorio accessibile di questa «rivoluzione spagnola». MAURIZIO FERRERA, CORRIERE DELLA SERA 21/5/2011 F ra il 2004 e il 2008 il «modello Zapatero» si era affermato come punto di riferimento obbligato del riformismo lib-lab europeo. Diritti civili (incluso il matrimonio gay), parità di genere, nuove politiche per promuovere il lavoro femminile, l’ autonomia dei giovani, la tutela dei più deboli: soprattutto se visto dall’ Italia, il sentiero imboccato dalla Spagna sembrava pieno di promesse in termini di modernizzazione sociale. La scossa data alla stagnante società iberica avrebbe prodotto molti frutti - si pensava - anche sul piano della crescita economica. E questa profezia sembrò avverarsi quando il Pil pro capite spagnolo superò la media Ue, portandosi davanti a quello italiano nel 2007. All’ inizio del suo secondo mandato, Zapatero annunciò trionfalmente che il nuovo traguardo della corsa spagnola sarebbero stati i Pil pro capite francese e persino tedesco. Contando sui dividendi della crescita, promise anche nuovi investimenti nel sociale per 22 miliardi di euro. Già pochi mesi dopo le elezioni, l’ economia spagnola entrava però nella recessione più acuta del suo ultimo cinquantennio. Una crisi legata non solo alle vicende di Wall Street, ma ad un’ enorme bolla edilizia (già scoppiata nel 2007) e più in generale alle mancate riforme strutturali: liberalizzazioni, abbattimento della pressione fiscale, amministrazione pubblica più efficiente, mercato del lavoro. Il modello Zapatero mostrava così i suoi veri limiti: l’ incapacità di essere «lib» anche in economia e non solo nella società; l’ eccesso di ambizione e un vistoso deficit di realismo e pragmatismo. Gli elettori spagnoli se ne sono accorti e, con un indice di sfiducia pari all’ 80%, Zapatero è diventato oggi il leader meno popolare dalla morte di Franco, avvenuta nel 1975. Il governo del Psoe ha in particolare fallito su uno dei suoi obiettivi più qualificanti e rilevanti: il lavoro e l’ autonomia dei giovani. Fra gli under 35 la disoccupazione supera ormai il 40%, un tasso più alto di quello tunisino o egiziano. Non c’ è da stupirsi se gli indignados sono soprattutto ragazzi e ragazze sotto i trent’ anni e se i bersagli principali della loro protesta sono i posti di lavoro che mancano, i contratti precari, i compensi da fame. E non sorprendono neppure i toni anti politici dei discorsi che si sentono alla Puerta del Sol, gli slogan che accusano istituzioni e partiti di essere incompetenti, incapaci di gestire la crisi e ammortizzare i suoi effetti. Fino all’ autunno del 2008 Zapatero rifiutava addirittura di menzionare la parola crisi («inelegante e poco patriottica», disse al Pais) e preferiva imputare tutti i problemi dell’ economia spagnola ad un «complotto conservatore del mondo anglo-sassone». Convinto che si trattasse di una congiuntura passeggera, il governo rafforzò a fine 2009 le indennità di disoccupazione anche per i giovani precari, ritirando però il provvedimento solo dodici mesi dopo per mancanza di fondi: una marcia indietro che ha esasperato gli animi, considerati i sussidi pubblici che le grandi banche hanno invece continuato a ricevere. Come quello italiano, il mercato del lavoro spagnolo è diventato un vero e proprio calvario per i giovani: tre su quattro hanno contratti temporanei e, quel che è peggio, hanno probabilità crescenti di restare precari per la maggior parte della vita attiva. Le misure del governo socialista non sono state in grado di arginare questo scivolamento, anche per le forti resistenze dei sindacati a modificare le regole vigenti sui contratti a tempo indeterminato: una sindrome che ricorda molto quella del nostro paese. Nati come movimento spontaneo, senza legami con organizzazioni politiche, gli indignados esprimono un disagio sociale profondo e «oggettivo», ma non hanno per ora una piattaforma di richieste precise e coerenti né un profilo ideologico definito (si riconoscono solo nel ni, ni, no al Psoe e no al Pp). La sinistra li sta corteggiando ed è possibile che il movimento si saldi almeno in parte con il radicalismo no global. Così come è possibile che l’ indignazione si sgonfi, che non si inneschi alcun processo di organizzazione e istituzionalizzazione di massa, un po’ come è successo in Italia con le proteste anti-Gelmini. Rispetto a queste ultime, il movimento spagnolo sembra avere un’ agenda più ampia, che comprende lavoro, welfare, ambiente, opportunità e forme di partecipazione politica. Ma, proprio come nel caso degli studenti che manifestarono a Roma prima di Natale, gli indignados chiedono soprattutto di essere ascoltati, reclamano riconoscimento, rispetto, prospettive per il domani. In ciò non sono poi così diversi dai giovani che protestano nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Sul piano dei contenuti, le risposte che si devono dare a questi giovani variano da paese a paese, a seconda delle circostanze economiche e istituzionali. In termini politici, la sfida è però la stessa: ascoltare, dialogare, proporre e infine includere. Nessun sistema politico può funzionare e persino tenersi insieme se i suoi giovani si sentono «fuori» e si mobilitano perché sono convinti di non avere un futuro. LORENZO SALVIA, LA STAMPA 21/5/2011 ROMA - «Yo te voto, yo te pago, yo decido». Scritta rossa su fondo bianco, il cartello che apre il sit in vicino a piazza di Spagna sembra romanesco ma è castigliano purissimo. Perché è vero che è arrivata in Italia la protesta degli indignados, i giovani che a Madrid occupano da una settimana Puerta del Sol per protestare contro una politica che li ignora e chiedere una democrazia diretta. Ma, almeno per il momento, non c’ è nessun effetto a catena, nessuna macchia d’ olio che si allarga come in Tunisia ed Egitto. A protestare in piazza sono gli spagnoli che vivono in Italia, quasi tutti studenti Erasmus. È così a Roma e Milano, ma anche a Firenze, Bologna, Napoli e in tutte le città coinvolte, ieri sera, dopo un tam tam su Internet e Twitter. Su Facebook la pagina «Italian revolution: democrazia reale ora» ha superato le 10 mila adesioni. E anche sul fratello minore, Twitter, quello degli indignados italiani è stato fra i temi più popolari. Molti avevano pensato a una costola nostrana del movimento, visto che precari e studenti senza futuro abbondano anche da noi, come pure il malessere verso la politica e le sue caste. Ma per il momento in piazza scendono solo gli spagnoli, a casa loro e negli altri Paesi dove vivono. Tra i pochi italiani che partecipano al sit in di Roma c’ è il «barbuto» Marco Ferrando, l’ ex candidato di Rifondazione espulso da Bertinotti dopo le sue dichiarazioni su Israele. Oggi guida il Partito dei comunisti lavoratori e tiene sotto braccio il suo appello di due mesi fa, quando invitava gli italiani a imitare la protesta dal basso del Maghreb. Non poteva mancare. «Se la protesta regge in Spagna - dice - vedrete che andrà avanti anche da noi. E ne vedremo delle belle». In piazza un centinaio di ragazzi ripete, in spagnolo, gli slogan che conosciamo anche in Italia, «Noi la crisi non la paghiamo». Dura un’ ora poi tutti a casa. Scrive su Facebook Francesco Silenzi, solidarizzando con chi manifesta: «Anche in Spagna il primo giorno non ne parlava nessuno. Ora è la prima notizia di giornali e tv». Vero, ma l’ arrivo degli indignados in Italia è solo un fuoco di paglia, acceso dalla velocità dei soliti Facebook e Twitter? Oppure il movimento crescerà come in Spagna e alla fine anche la politica dovrà farci conti? Il programma è quello originale del movimento spagnolo, gira sulla rete e viene distribuito in piazza con volantini in due lingue. Gli indignados chiedono una «rivoluzione etica», vogliono eliminare la «dittatura dei partiti» per arrivare alla democrazia diretta, «facilitando la partecipazione dei cittadini attraverso i canali diretti». Un’ idea molto simile a quella che da tempo sostiene Beppe Grillo. In questi giorni il comico genovese è a Barcellona. Un giornale spagnolo, Pùblico, ha accostato gli indignados proprio al suo Movimento 5 stelle che alle ultime elezioni è cresciuto ancora. E Grillo ne è ben contento, del paragone: «La rivoluzione dal basso ha superato Gibilterra - scrive sul suo blog - ed è arrivata in Spagna dai Paesi del Maghreb. Il contagio potrebbe espandersi in tutta Europa. Il 2011 potrebbe diventare come il 1848, quando le vecchie istituzioni vennero travolte. Un mondo nuovo sta nascendo, l’ indignazione è il suo carburante». La protesta è appoggiata anche dal Popolo viola, il movimento nato due anni fa con il no Berlusconi Day. Dai partiti ufficiali, invece, per ora non è arrivato nessun segnale. Tranne Ferrando, che si guarda intorno e sbotta trattenendo un sorriso: «Ma la sinistra, dov’ è?». Lorenzo Salvia FRANCESCA PACI LA STAMPA 21/5/2011 È il primo giorno che vengo qui a Puerta de Sol, non immaginavo che saremmo stati così tanti» esclama la ventenne Sara Quiroga tirando fuori dallo zainetto il lenzuolo bianco su cui ha scritto col pennarello «The Times they are @-changing», i tempi stanno cambiando. T-shirt con il simbolo della pace sul petto, la ciocca rosso fuoco sui capelli corvini corti, un lavoretto da McDonald’s da 500 euro al mese e poche speranze di trovarne in seguito uno migliore, Sara ha aggiunto la chiocciola simbolo di Internet al titolo della canzone di Bob Dylan imparata dai genitori e si è unita alle migliaia di spagnoli che dal 15 maggio occupano Puerta del Sol, la centralissima piazza madrilena dove la notte di San Silvestro i tradizionalisti celebrano la mezzanotte cercando d’inghiottire un chicco d’uva ogni rintocco. Oggi l’orologio del cambiamento è muto, sommerso dalle voci dei manifestanti che intonano a rotazione l’antico tam-tam della rivoluzione «el pueblo unido jamas sera vencido» e nuovissimi jingle cantilenati tipo «Se non ci lasciano sognare non li faremo dormire». Per il sesto giorno consecutivo gli «indignados», come Sara e gli altri si sono autobattezzati, protestano contro le riforme «antisociali» adottate dal premier socialista José Luis Zapatero per fronteggiare la crisi e ripetono che la Spagna non è un Paese per giovani. Sono passati solo quattro anni dal miracolo iberico, quando sul Paese prodigio d’Europa sembrava splendere eternamente il sole. Eppure, spiega il restauratore quarantunenne Manuel Bajatierra, l’orizzonte si è allontanato vertiginosamente: «Io, come quelli della mia età, riesco ancora a campare. Guadagno poco più di mille euro al mese e ne spendo la metà per cinquanta metri quadrati nel quartiere periferico di Bajen, ma tiro avanti. Le nuove generazioni invece non hanno prospettive, zero, proprio come quei ragazzi egiziani e tunisini, cui non a caso s’ispirano, che a un certo punto hanno preso a calci i tiranni». Alle sue spalle svolazza un grappolo di palloncini azzurri con scritto sopra «Nosotros la joventud sin futuro». Com’è successo che da un giorno all’altro la Spagna si ritrovasse in casa una, dieci, cento piazza Tahrir, una spontanea protesta popolare che da Madrid a Siviglia, da Granada a Salamanca, da Valencia a Barcellona, dilaga in strada sul modello della primavera araba? Se lo chiedi a Abrham M., 23 anni, neolaureato in architettura, afferri una chiave, una delle mille: «Non sappiamo neanche noi cosa è successo, ci siamo ritrovati qui, fortissimi. L’unica cosa certa è che in quattro anni tutto è cambiato, a cominciare da un bicchiere di birra che costava 1,5 euro e ora ne costa tre». Suo fratello Jaime, racconta, ha quarant’anni e vive in una casa con la ragazza e altri due amici, troppo orgoglioso per tornare da mamma ma nell’impossibilità di affrontare un affitto per un bilocale nella capitale del boom edilizio. Anche in Egitto, nei mesi precedenti alla rivoluzione, i ragazzi confessavano la frustrazione di non poter neppure immaginare di sposarsi. Puerta del Sol non è piazza Tahrir, le ragazze in canotta e short succinti avrebbero destato a dir poco diffidenza al Cairo, ma la stanchezza per l’immobilismo della politica e la corruzione dei politici, la percezione d’aver poco da perdere, la determinazione a voltar pagina è la stessa. Identica. «Ricordo la crisi del ‘92, fu dura, ma almeno noi andavamo a Dublino, a Londra, invece adesso gli studenti non trovano lavoro neanche lì» ammette il grafico quarantaduenne José Arias, mentre dalle impalcature del cantiere «Sanjose Construcioro» un paio di dimostrantiequilibristi srotolano lo striscione «Nosotros al sol», noi al sole. Sembra un secolo fa. Secondo uno studio della think tank italiana Vision, gli spagnoli sono passati dal primato di popolo europeo più fiducioso nel proprio governo (oltre il 50%) a quello di leader dei delusi (meno del 20%). «Questo governo pretende di fronteggiare una crisi che non ha creato ma sembra fuori dalla realtà» nota l’economista Fernando Gutiérrez Rizaldos snocciolando i dati di marzo: 4.910.200 disoccupati, il 20,7% della popolazione di cui il 90% sotto i 35 anni. E pensare che nel 2007 la percentuale era intorno all’8,1%, la stessa della Francia, oggi ferma alla metà. Cosa ha abbattuto l’astro Zapatero? Gli esperti citano la bolla immobiliare, l’accanimento dei mercati, le banche avarissime nel concedere prestiti. Eppure qui a Puerta del Sol, la piazza della «gente in movimento» che a suo tempo stregò Edmondo de Amicis, la sensazione è che le colpe non siano astratte, congiunturali. «Non vogliamo che torni la destra liberista ma siamo stanchi di questa sinistra che non ci rappresenta» afferma Ana, 26 anni, precaria in uno studio commerciale, la bandiera egiziana comprata in piazza Tahrir due mesi fa avvolta sulla testa a mo’ di turbante. Gli «indignados» promettono di restare a Puerta del Sol almeno fino a domani, giorno delle elezioni amministrative e regionali. Lei ci sarà: «Non dormiamo in massa qui come al Cairo ma un presidio resta sempre, poi tutti a votare scheda bianca per dire basta al finto bipartitismo». Dal lampione pende un cartellone «No les votes» (non li votate), il suggerimento del «parti juventud sin futuro» ai tanti stanchi del presente: boicottare tanto il Psoe di Zapatero, dato per spacciato, quanto il temutissimo Partido Popular, la destra liberista. Risultato? Ana alza le spalle: «Vogliamo un’uscita sociale dal capitalismo». Come dire, una via d’uscita, qualsiasi. Qualcuno ripensa adesso ai segnali intercettati nei mesi scorsi. Il boom editoriale del saggio di Stéphane Hessel «Indignatevi!», primo nelle classifiche spagnole. L’affluenza massiccia di giovani al convegno sulla primavera araba «Le rivoluzioni della dignità» organizzato a Madrid il 3 maggio, all’indomani d’un fallimentare primo maggio. La fioritura di vignette e volantini che ora campeggiano sui muri di Puerta del Sol proprio come a piazza Tahrir: «No tenemos casa, nos quedamos en la plaza» (non abbiamo casa, restiamo in piazza); «Non siamo antisistema è il sistema che è antinoi»; «La Spagna non cambierà se resta seduta sul sofà»; «Il sole sorge per tutti». Poi, di colpo, il risveglio, alimentato da Internet e da Twitter attraverso la piattaforma politica Democracia Real Ya (democrazia reale ora). Alle dieci di sera la piazza madrilena che deve il suo nome alla rivolta scoppiata all’inizio del XVI secolo contro Carlo I è ancora gremita. Timidamente si avvicina una coppia di sessantenni con il cane. Rivoluzionari? I Caravaca sorridono: «Nostro figlio è in piazza, ha 34 anni, è laureato in fisica e ha due Phd, siamo venuti a vedere che succede». La Guardia Civil vigila in assetto bellicoso ma l’atmosfera è tranquilla. Uno studio recente rivela che oltre il 70% degli spagnoli over 55 ritiene che la situazione non sia mai stata tanto drammatica per i giovani. Il vento mediterraneo non si placa pare, se è primavera fiorirà. GIAN ANTONIO ORIGHI 21/5/2011 Gli Indignados hanno già vinto la loro seconda battaglia. A sette giorni dal loro primo grande successo - una mobilitazione di massa con le tende estesa a ben 67 piazze di Spagna - ieri l’inatteso movimento ha registrato il secondo successo: la polizia non li sloggerà né oggi né domani dalle agorà della Tendopolilandia d’Europa, come invece chiedeva la Commissione Elettorale Centrale, per non turbare la giornata di riflessione e il voto delle amministrative di domenica. Le forze dell’ordine interverranno solo se si registreranno atti violenti. Ma finora gli Indignados sono più pacifici di Gandhi. E a Madrid ieri a mezzanotte in 25 mila hanno accolto l’inizio della prima giornata del divieto con un «grido silenzioso» sulla emblematica Puerta del Sol. Già nel primo pomeriggio di ieri, ultimo giorno della campagna elettorale per rinnovare tutti i comuni e i governi di 13 delle 17 regioni spagnole, giungeva la buona novella, diramata ai giornali online da fonti governative. La partita si era annunciata difficile, dopo la decisione della Commissione Elettorale Centrale che, in nome della legge, intendeva proibire le concentrazioni di persone in spazi pubblici, subito respinta dagli Indignados. Il principale partito dell’opposizione, i popolari (centro-destra), invocava il rispetto delle regole della democrazia. Ma il callido Zapatero si è inventato un escamotage. Ufficioso, ma che rasserena il Paese. Prima si è mosso il ministro degli Interni, Alfredo Perez Rubalcaba, che per seguire la situazione potenzialmente esplosiva ha rinunciato al suo ultimo comizio: «Le forze di sicurezza non sono sul campo per creare due o tre problemi dove ce n’è uno solo, e si atterranno alla legge». Alludeva alle cariche della polizia, che avrebbero significato un massacro su scala nazionale e una sconfitta ancor più bruciante di quella annunciata (i popolari dovrebbero stravincere dappertutto)? No, evocava l’applicazione della Legge sulla Sicurezza Cittadina. L’articolo 16 rimanda a un legge del 1983, approvata dall’ex premier socialista González, che dice: «La polizia può dissolvere riunioni e manifestazioni quando viene scardinato l’ordine pubblico, con pericolo per le persone o le cose, o quando si indossano uniformi paramilitari». Non è questo il caso del movimento degli Indignados, che vuole solo «Democrazia Reale Adesso». Utopica certo, come la richiesta di cambiare la riforma elettorale che premia i partito maggioritari, socialisti e popolari, ma con l’immenso pregio della non violenza. Aiutata solo dalla colossale forza di Internet e dalla solidarietà e simpatia di gran parte del Paese. In una Spagna che ha riconquistato la democrazia nel ‘77 dopo 38 anni di dittatura franchista e repressione sanguinaria, in cui i carri armati e le cariche fanno parte di un passato sepolto, Zapatero ha fatto capire che la Spagna non è la Libia. «La polizia agirà bene, correttamente. Il governo garantirà i diritti di tutti - ha esordito alla radio filo-socialista Ser -. Provo grande comprensione per le rivendicazioni degli Indignados, sono il principale interpellato. La ragione delle proteste è la grave crisi economica, con il suo riflesso sull’occupazione e soprattutto sulla disoccupazione giovanile al 43%». I popolari, che non dovrebbero essere penalizzati dal possibile aumento dell’astensionismo (36% alle amministrative 2007) che terremoterebbe invece i socialisti, scherzano sulle «Piazze Tahir». «Convochiamo un campeggio davanti alle sede della Rosa madrilena di calle Ferraz fino a quando Zapatero non se ne va», irrideva Aguirre, presidente della regione madrilena. Prova che la tensione si sta allentando. I giovani violenti e organizzati sono forti solo nei Paesi Baschi e a Barcellona. Una mappatura che fa sperare bene. La Spagna sarà Tendopolilandia, ma è pur sempre Europa, non il Nord Africa. E si permette di insegnare che persino le proteste clamorose degli Indignados, se non violente, sono permesse. LA STAMPA 21/5/2011 Il manifesto Chi siamo? Siamo persone venute liberamente e volontariamente e, dopo la manifestazione, abbiamo deciso di riunirci per continuare a rivendicare la dignità e la coscienza politica e sociale. Non rappresentiamo nessun partito né associazione. Ci unisce una vocazione al cambiamento. Perché siamo qui? Perché crediamo in una società nuova che dia la priorità alla vita prima che agli interessi economici. Invochiamo un cambiamento nella società e nella coscienza sociale. Vogliamo mostrare che la società non si è addormentata e che continueremo a lottare in maniera pacifica. Lo vogliamo tutti, lo vogliamo ora, unisciti a noi! CORRIERE DELLA SERA, ELISABETTA ROSASPINA 19/5/2011 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MADRID - Le ambizioni sono realistiche: tenere duro fino a domenica prossima, giorno di elezioni amministrative anche in Spagna. Ma il movimento «15M», cioè 15 maggio, la data del corteo di «indignados», indignati anti-sistema che l’ ha partorito, ha già superato le sue stesse aspettative, guadagnandosi tutta l’ attenzione nelle ultime, cruciali giornate della campagna elettorale. Oltre alla stupefatta preoccupazione dei partiti in gara, ormai consapevoli che sarebbe più astuto adottarlo che castigarlo. Se fosse possibile. Ma il neonato è figlio solamente di Internet e di una ribellione che s’ ispira liberamente all’ ira dei sacri venerdì arabi: silenziosamente convocati dalla rete, via Twitter, Facebook o email, migliaia di manifestanti si concentrano ogni sera, da domenica scorsa, alla Puerta del Sol di Madrid, il «chilometro zero» che abitualmente segna l’ ombelico della Spagna e che in queste ore pilota a distanza raduni analoghi a Barcellona, a Granada, a Saragozza e in un’ altra quarantina di città iberiche. Il tiranno da combattere non ha un volto, né un nome: è in questo caso un elenco di misfatti attribuiti ai partiti, alle banche, alla legge elettorale e al bipolarismo che ne scaturisce al governo, escludendo tutti gli altri dal ping pong. Neanche il leader della protesta ha un volto e, al momento, sembra proprio non esserci: «Decidiamo giorno per giorno, in modo assembleare - spiegano al banchetto delegato alla comunicazione - è soltanto la piazza che comanda qui». All’ alba di lunedì la polizia l’ ha sgomberata, ma la sera stessa si è formata una folla ancora più numerosa che ha sconsigliato alle autorità di ricorrere alle maniere dure. Tanto è bastato perché venissero piantate le prime tende per la prima di varie notti e che cominciassero a organizzarsi gli spazi: qui il centro stampa, là lo studio volante dell’ avvocato di guardia, nella fattispecie Ignacio Trillo, per tutela legale, qui il laboratorio di manifesti e cartelloni, là l’ ufficio turni per le pulizie. Non mancano nemmeno l’ infermeria e il deposito di oggetti smarriti. Manca invece un’ idea definitiva sul nome del movimento, nato come «Democracia real ya», democrazia vera ora, dal nome di una piattaforma di associazioni e ong. E adesso identificato con la sigla di una data, il 15 maggio. «È una protesta pacifica, non politica», viene ripetuto a spettatori e partecipanti, ma senza che ciò riesca a rassicurare la giunta elettorale provinciale di Madrid che ha bocciato ieri pomeriggio la manifestazione fissata per le otto di sera e tutte quelle a venire, fino a domenica: secondo gli arbitri elettorali, questo tipo di concentrazioni pregiudica il regolare svolgimento della campagna e finirebbe per violare il diritto dei cittadini alla libertà di voto e la pausa di riflessione precedente l’ apertura delle urne. La risposta, prevedibile, è stata: «Di qui non ci muoviamo». Inclassificabili, e fieri di esserlo, gli occupanti evitano bandiere e distintivi, sanno che è il modo migliore per coagulare il malcontento trasversale della popolazione, a prescindere dall’ età, dal ceto, dalle ideologie. Negano anche di propugnare l’ astensionismo, ma se la prendono indistintamente con il potere: «Siamo anti-sistema, sì, è evidente - riconosce Cristina, 46 anni, intervenendo in un dibattito alla radio nazionale e sintetizzando il comune denominatore in piazza -. I giovani sono contro il sistema, perché il sistema li ha lasciati fuori. I politici e i banchieri, che ora stanno tagliando i diritti costati sangue e lacrime ai nostri padri e nonni, sono quelli che stanno convertendo i nostri figli in antisistema. Ma i giovani non sono soli, siamo in tanti a rivendicare un mondo migliore e più equo». A 140 caratteri alla volta, messaggi e istruzioni rimbalzano in tutte le regioni spagnole, come telegrammi istantanei, alimentati dal timore di un intervento della polizia: a Madrid, gli agenti si limitano a controllare il contenuto di zaini e borse, ma senza impedire l’ accesso alla Puerta del Sol. Non c’ è comizio in Spagna più illuminato dai riflettori di questo. Elisabetta Rosaspina RIPRODUZIONE RISERVATA