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 2011  maggio 22 Domenica calendario

«TOGLIERE A ROMA». L’ETERNA TENTAZIONE DELLA POLITICA AL NORD —

Per spiegare il risveglio di celodurismo padano alla vigilia del ballottaggio milanese, che si è concretizzato nell’offensiva di Umberto Bossi sul trasferimento di pezzi di governo al Nord, aiuterebbe rispondere alla domanda: quanti voti porta spostare un ministero? Davvero un bel rebus. Da quando i ministeri erano al Nord, all’indomani dell’Unità d’Italia, ne è passata di acqua sotto i ponti. Nel 1865, al momento del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, tutta l’amministrazione centrale contava 4.396 impiegati. Ora siamo a 180.756: quarantuno volte di più. E parlando di voti, oltre agli stipendi bisogna calcolare i cappuccini della mattina, i panini della pausa pranzo, i negozietti interni, insomma l’indotto. A conti fatti, e al netto dei disagi, qualche consenso si porta a casa. Altrimenti la reazione del sindaco di Roma Gianni Alemanno non sarebbe stata così stizzita. Se però pensate che ci sia un banale calcolo di questo tipo dietro l’ultima mossa del Senatur, siete fuori strada. Vi immaginate che cosa potrebbe significare portare a Milano, per esempio, il ministero dell’Economia? A parte le questioni strettamente logistiche e i costi, ci sarebbero insormontabili questioni contrattuali e sindacali. A meno di non decidere di licenziare tutti gli impiegati romani e assumere al posto loro altrettanti milanesi. Impossibile. I leghisti per primi sanno perfettamente che, per bene che vada, ci vorrebbero molti anni per portare a termine una cosa del genere. Ma la politica si fa anche così; con le dichiarazioni e gli strappi. Quando si tratta di toccare le corde dei suoi elettori, con un’iniezione di orgoglio nordista contro «Roma ladrona» Bossi non ha rivali. E può contare su ottimi discepoli. Portare via qualcosa, qualunque cosa, a Roma, identificata come la capitale non di un Paese ma del parassitismo sprecone, è sempre stata per il Carroccio una chiave di formidabile rivendicazione politica. E non è detto che la destinazione debba essere per forza Milano. L’importante è portar via, verso Nord. Tre anni fa il segretario provinciale fiorentino della Lega, Marco Cordone, ha chiesto di passare a Firenze il ministero dei Beni Culturali. L’anno scorso il segretario della Lega Nord Emilia, Angelo Alessandri, ha accolto il figlio di Bossi, Renzo, alla festa bolognese dei giovani padani con la proposta di spostare a Bologna il ministero dell’Istruzione. Pazienza se poi tutte (o quasi) queste offensive mediatiche leghiste sono finite come bolle di sapone. Tutti i partiti, di destra o di sinistra, sono stati costretti a rincorrere. Il trasferimento dei ministeri al Nord è un tormentone che va avanti da vent’anni. Con il contorno di meravigliose provocazioni. Nel febbraio del 2003 il senatore leghista Donato Manfroi presentò un’interrogazione parlamentare al ministro del Tesoro chiedendo di abolire i centralini dei ministeri e licenziare tutti i telefonisti. Per quale motivo? «In base a ripetute personali esperienze» , argomentò l’onorevole del Carroccio, «risulta estremamente difficile contattare i centralini dei vari ministeri. E nei rari casi in cui ciò avviene, il telefono squilla inesorabilmente a vuoto» . Un anno più tardi, al governo, Bossi intimò: «Entro l’autunno faremo il ministero delle Autonomie» . Ma l’autunno passò senza che di quel dicastero se ne vedesse neppure l’ombra. Stesso destino per un’altra suggestione cara ai leghisti, sbocciata pochi anni dopo: il trasferimento di una rete della tivù pubblica, nella fattispecie Raidue, a Milano. Per anni il Carroccio ha battuto e ribattuto su quel tasto, ma senza risultati. Ed è sfumato anche il progetto di spostare da Roma al Nord l’hub, cioè la base operativa, dell’Alitalia. Un piano in grande spolvero durante gli anni del centrosinistra, sul quale si era modellata l’alleanza con l’olandese Klm. Ma poi tristemente tramontato, insieme a quella fusione, fra la rabbia dei leghisti, che sul fatto di vedere entrare l’Alitalia nella loro sfera territoriale d’influenza (Malpensa è vicino Varese, storica roccaforte del Carroccio) ci avevano già fatto la bocca. E tramontato, beffardamente, due volte: la seconda nel 2008, dopo che Berlusconi sull’Alitalia ci aveva addirittura fatto la campagna elettorale. Non per questo Bossi e i suoi si sono perduti d’animo. Chiusa la partita Alitalia, sono tornati alla carica chiedendo di portare a Milano nientemeno che l’Antitrust. È finita come al solito, respinti con perdite. Allora hanno ripiegato sulla Consob. Uno dei pochi obiettivi sul quale non erano isolati. Perché c’è da dire che da tempo il trasloco a Milano dell’organismo che controlla la Borsa non è solo un pallino leghista. Nel 1992 Alessandra Arachi ricordò sul Corriere che a favore del trasferimento della Consob si era espresso nientemeno che Mario Monti. Il quale aveva ipotizzato anche altri traslochi: Isvap, Abi, Confindustria. Chissà che in questo mucchio non si trovi una bella alternativa, nel caso in cui anche stavolta con i ministeri si facesse un buco nell’acqua...
Sergio Rizzo