Giorgio Dell’Arti, La Stampa 22/5/2011, PAGINA 86, 22 maggio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 102 - L’ORA DI VITTORIO EMANUELE
Dunque fu Gioberti, forte di una Camera democratica, a rompere l’armistizio.
Gioberti aveva fatto l’estremista per tutto l’anno, andando in giro a infiammare i patrioti contro il governo. Giunto al potere si moderò fino al punto di voler dichiarare guerra alla Toscana per rimettere in trono Leopoldo II. Dopo poche settimane dovette dimettersi. Il gabinetto successivo, Chiodo-Rattazzi, ruppe l’armistizio, spinto anche da un sovrano ormai fuori di sé. Cavour era d’accordo: «Insomma, bisogna farla finita. Se perdiamo, Carlo Alberto abdicherà e pagheremo le spese di guerra. Se vinciamo... beh, guadagneremo in ogni caso».
Lei ha detto che fu una catastrofe.
La mattina del 20 Carlo Alberto e il generale Chrzanowsky si presentarono al ponte della Boffalora. Volevano invadere la Lombardia, ma dovettero subito tornare indietro. Gli austriaci avevano a loro volta passato il confine e marciavano lungo la strada Mortara-Novara. Potevano arrivare a Torino. Il generale Ramorino, che avrebbe dovuto fermarli a Cava, s’era spostato da un’altra parte, dove credeva di essere più utile.
Non aveva obbedito agli ordini?
Alla fine della guerra lo fucilarono. Si combattè un solo giorno, intorno all’avamposto della Bicocca, preso e lasciato varie volte da tutt’e due le parti. Verso le sette e mezza di sera era in mano ai piemontesi. Ma dalla strada di Vercelli apparve all’improvviso un nuovo corpo di austriaci. Andavano da tutt’altra parte, ma avevano sentito le cannonate e cambiarono direzione. Radetzky si riprese la Bicocca. E fine. Questa è la famosa battaglia di Novara, la cosiddetta «fatal Novara», che era poi la «brumal Novara» di Carducci. 23 marzo 1849. Carlo Alberto abdicò.
Quella notte stessa?
Montò su una carrozza e, col nome di conte di Barge, fuggì in esilio verso il Portogallo. Ci sono lettere disperate della moglie, che voleva partire con lui. Il re aveva un’altra, la Maria Waldbourg-Truchsess, sposata al conte di Robilant. Non permise di raggiungerlo neanche all’amante.
È arrivata l’ora di Vittorio Emanuele II.
Aveva appena compiuto 29 anni. Sposato con la cugina, l’austriaca Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, figlia della sorella di Carlo Alberto, quella che stava a Milano. Avevano cinque figli. Il re era già matto per la Rosina e si vedeva di nascosto da qualche anno con l’attrice Laura Bon. Sono cose di cui avremo modo di parlare in seguito. Adesso contentiamoci di questo ritrattino di Romeo: «Giovane, di gusti grossolani, vanitoso e scarsamente istruito, possedeva tuttavia certe doti di intuito politico e qualche destrezza manovriera: e soprattutto offriva, con la sua prorompente vitalità e con il suo piglio guerriero, elementi che la classe politica liberale avrebbe saputo trasfigurare in mito». Aggiungiamo che aveva già i grandi mustacchi, amava la caccia e la vita all’aria aperta, si stufava ai pranzi, alla diplomazia, ai discorsi. Ho come l’impressione che il padre lo detestasse.
Prima mossa?
Negoziare la resa con Radetzky. Capì subito che doveva ingraziarsi il nemico, e del resto il feldmaresciallo, quando lo ricevette sotto la sua tenda, lo prese in simpatia. Vittorio disse a voce alta, per farsi sentir bene (Radetzky aveva 83 anni), che gli sarebbe piaciuto farla finita con i democratici. L’austriaco lo guardava contento, pieno di meraviglia. In un primo tempo aveva dettato condizioni durissime. Davanti al nuovo sovrano le mitigò. Per loro era indispensabile che, fatta la pace, il Regno di Sardegna gli tornasse amico. E che il paese non pencolasse a sinistra. Questo giovanotto basso e baffuto sarebbe stato manovrabile? Purtroppo per il Piemonte, le vere condizioni per stipulare la pace non sarebbero state decise da Radetzky, ma da qualcun altro. Un qualche diplomatico, un qualche politico. Anche a Vienna c’era un nuovo re, di appena 19 anni. Era Francesco Giuseppe.
Chi è l’austriaco a cui furono affidate le trattative?
Bruck, Karl Ludwig von Bruck. Uomo di rara abilità. Da semplice impiegato di commercio era arrivato a fondare il Lloyd austriaco. Le trattative per la pace si svolsero a Milano. Nella delegazione piemontese c’erano Dabormida e Bon Compagni. A Torino, quando sentirono il nome di Bruck, mandarono messaggeri a Cavour perché gli desse una mano. Il conte chiese: «Al momento decisivo chi di noi tre sceglierà la linea?». Gli era arrivata una risposta vaga. Era deciso a rifiutare, ma non fece neanche in tempo. Bruck aveva sparato una cifra enorme e i piemontesi abbandonarono il tavolo.
Quanto voleva?
Duecento milioni. Gli austriaci, per stringere la controparte, occuparono Alessandria. Si sparse la voce che avrebbero potuto invadere Genova. Per calmare la città, La Marmora andò a bombardarla. Non c’era più un governo e pareva che l’unico modo di venire a capo di quell’intrico fosse chiamare alla presidenza dei ministri una personalità di assoluto prestigio.
Cavour?
No, ci voleva uno che col suo nome fosse capace di metter tutti d’accordo. Massimo d’Azeglio, naturalmente. Che accettò e in pochi giorni preparò la lista dei ministri. Neanche stavolta Cavour era stato preso in considerazione.