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 2011  maggio 22 Domenica calendario

Qui ci vorrebbe un nuovo New Deal - “Forse stavolta i giovani della primavera araba hanno anticipato i colleghi occidentali

Qui ci vorrebbe un nuovo New Deal - “Forse stavolta i giovani della primavera araba hanno anticipato i colleghi occidentali. Sono anni che aspetto da noi una rivoluzione, o qualcosa del genere, perché la situazione in America e in Europa è sempre più insostenibile. Eppure non ci sono segni: i nostri ragazzi restano immobili. Magari toccherà ai giovani mediorientali di aprire la porta e trascinarli». Come siamo finiti a parlare di primavere arabe con Paul Auster, uno che vive in simbiosi con New York? Eravamo partiti da Sunset Park , il suo ultimo romanzo, che presenterà in Italia il 28 maggio al Festival Collisioni. Nelle prime pagine il giovane protagonista, Miles Heller, si ritrova in Florida a pulire case perse dai loro proprietari per colpa della crisi economica. Se la crisi l’ha colpita al punto di aprirci un romanzo - gli avevamo chiesto - dovrà avere opinioni forti al riguardo. «È un disastro che ha molte cause. La prima è l’avidità, che ha fatto tornare in voga un vecchio capitalismo senza regole. Si poteva evitare, perché i segnali di avvertimento c’erano tutti, ma quando la gente si mette a fare soldi non ci vede più: si convince che andrà così per sempre e non guarda le lezioni del passato». Abbiamo imparato qualcosa, stavolta? «Non mi pare. Dicono che le cose stanno migliorando, ma questo forse vale per i banchieri che hanno ripreso a incassare bonus stratosferici. Milioni di americani invece restano senza lavoro, e molti di loro non lo ritroveranno più. C’è un effetto a valanga, che colpisce in maniera tremenda le famiglie e le comunità: gente che perde la casa, va a vivere con i parenti, poi diventa homeless , e finisce sopra un marciapiedi. È scioccante quanto poco se ne parla, e quanto poco si fa per riformare il sistema che ha creato questa situazione. Servirebbero Roosevelt e un nuovo New Deal, e invece i repubblicani, che hanno ripreso il controllo del Congresso, vogliono resuscitare Hoover, il presidente della Grande Depressione. Almeno a quei tempi c’era una sinistra liberale molto attiva, che poi avrebbe creato il sistema sociale in cui ancora oggi viviamo». Ma alla Casa Bianca c’è Obama: non le basta? «A volte sono in disaccordo con lui, vorrei che facesse di più per riformare l’America. Capisco che deve camminare su un sentiero molto stretto, se vuole essere rieletto nel 2012, e poi con i repubblicani in maggioranza alla Camera le sue proposte non passerebbero. Certe volte, però, bisogna combattere anche solo perché è giusto farlo». Quando nel romanzo Miles Heller torna dalla Florida a Brooklyn, va a stare con alcuni aspiranti artisti che vivono da squatters: è questa l’unica strada aperta per i giovani? «Certamente per chi sceglie di fare l’artista, ma anche gli altri non se la passano troppo bene. Chi ha meno velleità, punta al posto sicuro: si indebita per pagare gli studi, ma quando esce dall’università si ritrova lo stesso disoccupato. È assurdo che un paese come il nostro costringa i giovani a partire nella vita col peso di un grande debito sulle spalle: ti spaventa, ti impedisce di seguire le tue aspirazioni». Miles dice di volere «tanto poco quanto è umanamente possibile»: i ragazzi oggi sono così depressi e sfiduciati? «Il giovane Heller non è un simbolo, perché i suoi problemi hanno radici molto personali. Però se prendiamo in blocco tutti i suoi amici, loro rappresentano davvero lo spirito prevalente tra i giovani di oggi: sfiducia, incertezza. Ammetto che si tratta di una condizione molto più difficile di quella in cui era cresciuta la mia generazione». Miles si mette nei guai anche perché ha una relazione con una ragazzina minorenne. Questo forse è l’aspetto di Sunset Park che è stato più criticato: voleva resuscitare Lolita? «No, volevo solo dire che la gente trova l’amore dove può: non ci sono regole. Lo sapete che Susan Sontag si era sposata a diciassette anni? Una ragazza di quell’età può essere una bambina, ma può essere anche estremamente matura. Comunque non capisco lo scandalo: nel mio romanzo Invisible c’era una storia d’incesto, eppure non ha provocato tante polemiche, soprattutto da parte delle giornaliste donne. Forse è stato un eccesso di correttezza politica». O forse il problema è che nella realtà stiamo diventando più indulgenti verso queste rappresentazioni del sesso. «Io parlavo di amore. E poi c’è una bella differenza se ad andare con una diciassettenne è un ragazzo di vent’anni, o un uomo di settanta». A un certo punto, davanti al suicidio della figlia ventitreenne di un amico, due protagonisti di Sunset Park si ritrovano a discutere delle «vite non vissute». «Non parlano tanto dei giovani che non riescono più a realizzare i loro sogni, quanto delle cose accidentali che cambiano il corso delle nostre esistenze. È un tema filosofico che mi è sempre stato caro, quello delle guerre mai combattute». Alla fine, però, la sua generazione scelse di combattere la propria guerra: sta per scoppiarne un’altra anche adesso? «Lo spero. Però i segnali sono addirittura opposti: è la destra reazionaria che sta riprendendo forza, non solo negli Stati Uniti, ma anche in paesi europei di tradizione liberal come Danimarca e Olanda. Lo scopo è smantellare lo Stato sociale». Così eravamo arrivati a parlare della primavera araba, e così ci torniamo. «Mi ha colpito, perché i giovani nordafricani e mediorientali hanno posto problemi di cui dovremmo discutere anche noi. Sono ragazzi istruiti, senza lavoro, che vivono in paesi repressivi guidati da cattivi governi. Non avevano speranza e futuro, ma hanno dimostrato che queste situazioni ormai sono insostenibili. In Occidente non c’è la stessa violenza, ma per certi versi esistono situazioni di disoccupazione e immobilità sociale anche peggiori. Qualcosa dovrà succedere, prima o poi».