MARCO SODANO, La Stampa 22/5/2011, 22 maggio 2011
La pesca ormai si fa nelle vasche - Pesca o allevamento? In economia di solito prevalgono le soluzioni razionali, e l’industria del pesce non ha fatto eccezione
La pesca ormai si fa nelle vasche - Pesca o allevamento? In economia di solito prevalgono le soluzioni razionali, e l’industria del pesce non ha fatto eccezione. Così, se nel 1950 l’acquacoltura mondiale valeva meno di un milione di tonnellate di pesci l’anno, oggi abbiamo abbondantemente superato i 50 milioni. Allestire una vasca è meno avventuroso e anche meno dispendioso che armare un peschereccio, e per le specie che si adattano a vivere in cattività l’industria ittica s’è attrezzata. Dagli allevamenti arriva circa il 46 % dei pesci e dei molluschi che finiscono sulle nostre tavole. Nel 2012 la quota dovrebbe arrivare al 50%: un pesce sì e uno no, insomma, non sarà nato in libertà. D’altra parte il mondo occidentale è abituato a trovare qualunque pesce - venduto per fresco - in qualunque momento dell’anno e ovunque si trovi. Il big del settore è naturalmente la Cina, che produce da sola 32,7 milioni di tonnellate e che invece sfrutta l’acquacoltura per sfamare milioni di persone. Da quelle parti ormai si mangia quasi solo pesce d’allevamento: copre circa l’80% del mercato. Molto più modesto il contributo della Vecchia Europa. L’Europa nel 2008 ha inciso sulla produzione mondiale di pesci e molluschi per il 2,4%: pesa molto la trota iridea (204 mila tonnellate), seguita dalla cozza atlantica (170), e dal salmone atlantico (140). Facendo il conto sulla produzione mondiale, invece, la specie più allevata è l’ostrica (4 milioni di tonnellate) e le carpe, consumatissime soprattutto nell’estremo Oriente. La mano dell’uomo non è però delicata come quella della natura. Così accade che un allevamento sbilanci gli equilibri dell’ambiente - per esempio - perché per alimentare i pesci allevati tocca andare a pescarne altri per farne mangime. Il presunto predatore sta in una vasca, la sua preda viene pescata a rastrello. In allevamento si usano medicinali che poi finiscono tra le acque di scarico. C’è un nuovo modello di acquicoltura per così dire «leggera». Il principio è quello di rispettare le risorse che mette a disposizione la natura senza forzar loro la mano. Recintare una laguna per allevare anguille non disturba l’ecosistema a patto che si permetta ai pesci di nutrirsi da soli e si eviti di inquinare l’acqua con massicce dosi di antibiotico. La crescita degli allevamenti impone una riflessione su come questi incidono sull’ambiente circostante. È uno dei temi proposti dallo Slow Fish di quest’anno al mondo della produzione ittica.