Arturo Zampaglione, Affari & Finanza 23/5/2011, 23 maggio 2011
FACEBOOK E TWITTER SI INCHINANO AL MIRACOLO DRUDGEREPORT
Non c’è da stupirsi se nelle ore più calde dell’affaire DSK (Dominique StraussKahn), quando le confessioni di escort uscite dal nulla si intrecciavano con il disorientamento nel mondo delle valute, il sito www.drudgereport.org fosse uno dei più cliccati. Fondato 14 anni fa da un giovane semidisoccupato ma genialoide, Matt Drudge, il sito venne alla ribalta con lo scandalo Lewinsky, rivelando per primo agli americani la tresca di Bill Clinton, e da allora è un punto di riferimento per produttori e consumatori di informazioni, per politici e giornalisti. Drudge, ora quarantaquattrenne, continua a dirigerlo in modo artigianale in una villa sotto il sole della Florida e a guadagnarci milioni di dollari. Ma la vera sorpresa è venuta la settimana scorsa. In una ricerca condotta dal centro Pew sulla base di elaborazioni di dati Nielsen, il "nano" Drudgereport è finito addirittura alle spalle del "colosso"Google per la capacità di canalizzare il traffico di internet sui siti di informazione. E ha facilmente superato altri giganti come Twitter o Facebook.
E’ un successo significativo, anche per il trend che delinea, ma merita una breve spiegazione: il 60 per cento (cioè la maggioranza) degli utenti che seguono le news sul web va direttamente alle pagine online di giornali, agenzie e network televisivi, digitando ad esempio www.repubblica.it o www.cnn.com. Il resto passa attraverso i motori di ricerca (di qui il peso di Google che controlla un terzo del traffico), attraverso siti di social networking (3,3 per cento degli accessi viene da Facebook) e poi da alcuni "aggregatori" come Drudgereport, che offrono elenchi di notizie con un link agli articoli veri e propri pubblicati in altri angoli del web.
In tutto Drudge domina il 7 per cento del traffico indiretto verso i siti di informazione e ha dai 12 ai 14 milioni di visitatori unici al mese, con vantaggi pubblicitari evidenti. Secondo i calcoli del Pew, controlla il 15 per cento dei flussi sulle pagine online del Washington Post, il quotidiano della capitale. "Quando seguivo la Casa Bianca di Bill Clinton non avrei mai creduto che Drudge sarebbe rimasto sulla breccia così a lungo", ha confessato al New York Times John Harris, cofondatore di Politico. Il suo segreto? E’ ancora difficile spiegarlo: la veste grafica del Drudgereport, rimasta sempre invariata, poco attraente, senza video né molte foto, sembra quasi una pagina dattiloscritta. Lui, Drudge, è un conservatorepopulista, ma non un personaggio pubblico famoso e tanto meno simpatico. Anche gli scoop sono rari. E allora come fa ad attrarre tanti utenti e disseminare tanto traffico?
L’unica certezza è che con l’aiuto di due collaboratori, Joseph Curl e Charles Hurt, sceglie gli articoli con grande fiuto giornalistico e titola i link in modo sexy. In un mondo inflazionato da notizie riesce a fare una cernita intelligente. E mostra che, accanto alle multinazionali dell’informazione, c’è uno spazio economico per nuovi modelli di "artigianato online".