Maurizio Bono, la Repubblica 22/5/2011, 22 maggio 2011
WILBUR SMITH
Per le decine di milioni di persone che in quarantasette anni hanno comprato un suo libro (centoventi milioni di copie, venti milioni in Italia, trentatré i titoli, i conti tornano), Wilbur Smith è un vecchio compagno di avventure tra Africa, antico Egitto e tempeste del mare e del cuore. Per il mondo dell´editoria è una leggenda e una gallina dalle uova d´oro che tra tutti i record ne ha uno ghiottissimo: neppure un romanzo fuori catalogo, trentadue soldati sempre schierati sugli scaffali e l´ultimo, La legge del deserto, sul bancone e in classifica dal 24 febbraio in Italia, da fine marzo in Inghilterra (dove è tuttora al primo posto), in India, Australia e da qualche giorno in Argentina, Canada e Stati Uniti.
Di persona, invece, Mister Bestseller è un omone asciutto che dimostra quindici anni in meno dei settantotto compiuti a gennaio e ricorda volentieri come proprio in Italia un po´ più di trent´anni fa fece il salto decisivo. Il libro si chiamava Come il mare e il caso da allora è argomento fisso delle scuole di marketing librario: dopo due titoli andati così così da Garzanti e Mondadori, Mario Spagnol, appena arrivato alla Longanesi, comprò il terzo con un anticipo di due milioni di vecchie lire e ne investì circa altrettanti in duemila esemplari di un gadget che allora andava di moda, una scatola di plexiglass con dentro una resina blu a riprodurre, oscillando, un´onda marina. Regalò l´oggetto a tutti i librai d´Italia, che ci fecero in contemporanea duemila vetrine: fu il botto. Così sonoro da rilanciare Smith anche all´estero, facendo pentire un editore americano del giudizio affrettato dato qualche anno prima: «Uno che si chiama Smith non sembra proprio che abbia il nome giusto per diventare bestseller...».
«Tutto vero - ride Wilbur Smith - e in effetti quando un successo è così clamoroso fai fatica a spiegarti perché all´improvviso tutti vogliano leggere proprio quel libro. Prenda Stieg Larsson: quando l´ho finito mi sono detto: tutto qui? Si innesca un effetto contagioso come nella moda, all´improvviso la giacca che porti da anni non va più bene, devi a tutti i costi avere quella del momento». Un altro paio di maniche, comunque, è far riuscire il gioco più e più volte: «Quando sei già famoso in effetti è un po´ più facile, ma propriamente "facile" non lo è mai». Se va, certo, è divertente: «Tra un libro e l´altro, da tanti anni mi posso permettere una buona vita, viaggio, caccio in Africa, faccio il turista per il mondo seguendo la mia curiosità e il filo delle ricerche per il romanzo successivo. Però il viaggio migliore comincia quando ti dai una data d´inizio per scrivere e da allora ogni giorno ti alzi di buon mattino, ti fai la barba e ti siedi al tavolino. Ci vuole disciplina, ma soprattutto ci vogliono buoni personaggi e lo spunto giusto. Quando c´è tutto, poi, è un po´ come essere al cinema, stai seduto e davanti ai tuoi occhi la trama si sviluppa da sé».
Wilbur Smith non è il tipo di scrittore che si vanta di tormenti e battaglie con le parole: «Si dice che sono veloce, ma più che altro è questione di economia. Ci sono scrittori che tengono buono il sessanta per cento delle pagine che scrivono, io arrivo anche al novanta. E rileggendomi a prima stesura finita, di solito sorrido e mi dico evvai...». Per meritarsi i complimenti da solo, di sicuro non risparmia sulle idee, le svolte narrative, i colpi di scena, le astuzie da story teller consumato. Nel nuovo La legge del deserto schizza già nelle prime pagine due protagonisti vigorosi, il rude ex soldato Hector Cross, capo della sicurezza di un complesso petrolifero, e il suo azionista di riferimento, Hazel Bannock: bella, bionda oro, amministratore delegato, ex campionessa di tennis, vedova miliardaria di un anziano magnate, intelligente e dura quanto lui e oltretutto progressista ma capace di battere Cross al tiro al bersaglio con la pistola e nella corsa campestre tra le dune. La critica che ha sempre preso un po´ in giro Wilbur Smith per i suoi "maschi alfa" al centro delle trame non ha potuto non riconoscere la novità di una vera "femmina alfa". I fan smithiani (ce n´è anche uno che da anni tempesta il web proponendolo per il Nobel) si interrogano sui blog a proposito dell´effetto sullo sviluppo dei personaggi femminili della nuova compagna di Wilbur, vedovo dal 1999 della terza moglie Danielle (ventotto anni di matrimonio felice, sei anni di penosa malattia) e sposato dal 2000 con Mokhiniso Rakhimova (per tutti gli amici Niso): trentanove anni più giovane, di origine tagika, laureata in legge a Mosca, l´ha incontrata in una libreria di Londra mentre comprava il romanzo di un altro bestsellerista - «Come potevo resistere a darle un consiglio?». Lui conferma l´importanza di Niso nella sua vita («È la cosa migliore che mi è capitata») ma evita di alimentare interpretazioni riduttive: «Dopotutto Hazel non è esattamente la prima donna forte dei miei romanzi. La mia prima "femmina alfa" in realtà è stata la Centaine de Thiry di Spiaggia infuocata, quindici anni fa. In generale comunque è vero che nel corso degli anni le donne sono diventate sempre più importanti. Capaci di fare qualunque cosa come gli uomini e a volte meglio. Nei miei libri proprio come nella realtà».
L´ideologia di Smith resta comunque oggetto di un po´ di diffidenza critica. Una ragione è antica, il suo primo libro in Sudafrica fu messo al bando dal governo come succedeva a moltissimi in pieno apartheid, ma lo fu per il motivo sbagliato: «linguaggio troppo esplicito». Del resto Smith, a chiederglielo anche adesso, si considera «uno scrittore britannico, britannico coloniale, i miei venivano dall´Inghilterra. È una questione di radici», peraltro esplorate in lungo e in largo nelle sue saghe con protagonisti anglo-africani dal ´600 al ´900, e incastonate di cacce nel bush, esperienze virili di frontiera, pugilato di strada e uomini veri in mezzo al mare. Non rinnega niente, naturalmente, però precisa: «Non bisogna fare l´errore di scambiare quello che penso io con quello che dicono i miei personaggi». Che anche in Spiaggia infuocata ne dicono di tutti i colori. Cross, in uno scontro verbale con Hazel: «Non mi piacciono gli stronzi, che siano bianco latte o color cioccolato. E invece stravedo per i ragazzi in gamba, che siano bianco latte o bravi negretti». Hazel in compenso «ha votato per Clinton e Gore», è un´obamiana convinta, difende i diritti umani, perfino quelli dei cattivi soggetti. I due si riavvicinano capendo le reciproche ragioni quando pirati-terroristi islamici ferocissimi rapiscono (e molto peggio) la figlia di lei, e Cross si batterà come un leone per riprendersela. Poi si avvicinano ben di più finché Hazel gli fa una proposta di lavoro da antologia del politically incorrect: «Vicepresidente esecutivo alla Bannock Oil». Lui: «A stretto contatto con l´amministratore delegato?» Lei: «Direttamente sotto di lei di giorno, e direttamente sopra di lei di notte». Si può arrossire o dirsi evvai.... Cross non batte ciglio, accetta con entusiasmo l´orario lungo e si fa onore in tutte le mansioni.
Smith lo trova naturale: «Sono sempre gli sviluppi dei rapporti tra i personaggi a portare avanti un romanzo. Loro due sono molto decisi perché sono dei leader, ma per tutti quanti i comportamenti si aggiornano col tempo». Come anche le tecnologie: «Le trovo comode nella vita quotidiana, ma soprattutto nei romanzi. Velocizzano tutto: con uno scambio di email, una telefonata o una microspia satellitare puoi creare una contemporaneità di azioni ai due capi del mondo. In un romanzo ottocentesco invece bisognerebbe aspettare dei giorni che arrivi la posta a cavallo». Di tecnologia navale, militare, petrolifera e aeronautica fa grande sfoggio il gran finale del romanzo: «Una logica proiezione delle ultime ricerche ingegneristiche, mi tengo informato e sono anche un lettore di fantascienza (tranne quella catastrofica e disperata), oltre che di storia e biografie. E sa perché mio padre mi ha chiamato Wilbur? Oltre che per bilanciare con un nome inconsueto il cognome, lo ha fatto in onore di uno dei fratelli Wright, i transvolatori. Lui aveva il volo nel sangue, e lo ha trasmesso anche a me».
Ancora a proposito di tecnologie, La legge del deserto è uscito insieme in versione cartacea ed e-book: «Anche questo mi sembra logico, pur restando molto affezionato all´idea del libro di carta. Se c´è un pubblico di venti e trentenni che si può conquistare così, mi sembra un´opportunità per qualunque scrittore serio». Però c´è di più: l´e-book di La legge del deserto è enhanced, fornisce mappe dei territori del Somaliland, dettagli delle armi in azione, schemi di navi, cronache di pirateria moderna. «No, guardi, quella roba mi va bene, ma non è farina del mio sacco. Io faccio il mio piatto, e credo che mi riesca saporito come la carne al barbecue. Se poi uno vuole aggiungerci il ketchup o il gelato, sono fatti suoi». Per apprezzare appieno la battuta bisogna sapere che Wilbur Smith si considera il miglior cuoco di barbecue del Sudafrica. Quindi del mondo.