Miska Ruggeri, Libero 22/05/2011, 22 maggio 2011
«L’UOMO VA IN GUERRA PER LE DONNE E L’ISLAM REPRESSO È UNA BOMBA»
Nato a Haifa nel 1959, Azar Gat è cresciuto in mezzo ai conflitti. Dalla Guerra dei sei giorni a quella del Kippur. E forse anche per questo la guerra è diventata il centro dei suoi studi, a Tel Aviv e Oxford, come del suo insegnamento, a Yale e Stanford, e dei suoi libri, dal monumentale (822 pagine) War in Human Civilization (2006) aVictorious and Vulnerable: Why Democracy Won in the 20th Century and How it is still Imperilled (2010). Qui a Gorizia, per la VII edizione del Festival internazionale della Storia, il politologo israeliano è stato protagonista della conversazione con lo storico Andrea Zannini su “L’origine della guerra”, spiegando che, tra le posizioni classiche di Hobbes, homo homini lupus, e Rousseau, il mito del buon selvaggio, il più vicino alla realtà nel descrivere lo stato umano di natura si è rivelato il filosofo inglese. «All’inizio delle mie ricerche», spiega, «stavo con Rousseau. Ma poi le tante testimonianze contrarie, biologiche, antropologiche, storiche e archeologiche, mi hanno convinto. Gli aborigeni australiani, per esempio, combattevano incessantemente tra di loro. E circa il 25 per cento dei maschi adulti delle varie società preagricole e prestatali moriva di morte violenta».
Però in alcune società primitive, ovviamente “chiuse”, mi pare che la guerra venga sostituita dall’esilio.
«Vero. Ci sono eccezioni allo schema generale. Però sono rarissime, dovute a circostanze del tutto particolari. La guerra non è un istinto primordiale o un impulso primario, ma uno strumento, un’opzione naturale da utilizzare quando serve. E serve spesso per raggiungere gli obiettivi desiderati: risorse, donne, onore».
Insomma, la guerra è sempre esistita. Ma esisterà sempre? Oppure le utopie pacifiste, prima o poi, si avvereranno?
«Beh, non ha senso fare previsioni: un conto è analizzare il passato e un altro predire il futuro. Comunque direi che le prospettive sono promettenti. La modernizzazione e la crescente democratizzazione (anche nel mondo arabo, sembrerebbe) stanno producendo cambiamenti positivi, aumentando il campo del dibattito a discapito delle armi. Mi aspetterei, quindi, una progressiva pacificazione. Anche se resta, non dimentichiamolo, il pericolo costituito dai terroristi, che potrebbero usare armi atomiche o, cosa più probabile, biologiche».
È indubitabile che ci sono, contingenze storiche a parte, popoli più bellicosi di altri. Pensiamo ai francesi, anche oggi in prima fila nel bombardare la Libia. Come mai?
«Parlerei piuttosto di Paesi bellicosi. Che, almeno per quanto riguarda l’Ottocento e il Novecento, sono stati di due tipi: le grandi potenze, a causa dei tanti interessi sparpagliati per il mondo; e i Paesi “incastrati”, come Israele che è circondato da nemici».
Ormai comunque l’Europa è disabituata alla guerra, perlomeno sul proprio territorio. Non c’è il rischio di trovarsi impreparati in caso di un’aggressione?
«Sì, in teoria potrebbe essere un pericolo. Ma la ricchezza ormai va di pari passo con il potere.Oggi i Paesi poco sviluppati sono meno minacciosi: non sono certo come i barbari per l’Impero romano. Di contro c’è sicuramente una certa assuefazione dell’Europa a contare sugli Usa per la difesa. Il problema è che l’Ue non ha un vero centro che possa condurla in guerra. E la bellicosa Germania è stata così distrutta durante la Seconda guerra mondiale che ora è diventata super-pacifista».
Questa debolezza ci lascia in balia degli Usa.
«Molto meno oggi che durante la Guerra fredda. Adesso non c’è nessun nemico alle porte. Al limite, solo gli immigrati».
A proposito. Lei sostiene che una delle motivazioni principali della guerra è quella sessuale. Se è così, allora l’islam, sessualmente represso, rappresenta una bomba.
«Le “bombe” islamiche sono due. Non solo la rigidità delle norme sessuali, ma anche la demografia. La società islamica è costituita da tantissimi giovani maschi».
La guerra è diventata post-eroica. Ma si può ancora definire tale un conflitto combattuto premendo bottoni a migliaia di km di distanza?
«Formalmente la guerra è ogni scontro letale tra gruppi organizzati e resta tale indipendentemente dalla tecnologia. In ogni caso, mica tutte le guerre oggi sono asimmetriche e fatte con i droni...».
Combattono persino le donne...
«Con lo sviluppo tecnologico la forza fisica conta sempre di meno. Ecco perché molti eserciti hanno aperto alle donne. Ma resto convinto che le donne non hanno propensione alla violenza, non sono psicologicamente adatte al combattimento. Perciò il loro ruolo resterà marginale, sia in termini di numeri che di compiti».
Miska Ruggeri