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 2011  maggio 22 Domenica calendario

CHI SCEGLIE, NOI O IL CERVELLO?

Il neuroscienziato cognitivo Wolf Singer ritiene che le neuroscienze stiano «svuotando il cielo». Gli attributi dello Spirito, dell’Anima, dell’Io, sono trasferiti ai meccanismi della materia del cervello. Nel 2002 l’editoriale di un fascicolo di Nature-Neuroscience era intitolato Sorry, your Soul just died (Spiacente, la vostra anima è appena morta). La materializzazione dell’Io, iniziata a partire dal XIX secolo, ha portato, in realtà, alla sua eliminazione. Nel cervello non si trova alcun centro coordinatore dei meccanismi della coscienza con gli attributi dell’Io. Uno di questi era la volontà di agire. La libertà della scelta implica la responsabilità come fondamento dell’etica. Se il cervello decide con algoritmi deterministici, la responsabilità non esiste. Di tutti i problemi sollevati dall’approccio scientifico alla natura umana questo è il più carico di conseguenze, uno «shock», ha scritto un filosofo, anche se concezioni deterministiche del mondo e dell’uomo non sono nuove. Basti pensare al II canto del De Rerum Natura di Lucrezio. La differenza col passato è che la visione dell’agire umano non è più una speculazione, ma una teoria corroborata da dati sperimentali, che si lasciano riassumere nel detto «Non facciamo quello che vogliamo, ma vogliamo quello che facciamo». Tre libri, di uno psicologo (Holton), di un filosofo (Mele) e di uno studente in biologia (Sternberg), forniscono un update delle obiezioni ai dati della ricerca naturalistica della volontà. Secondo loro, nonostante la materializzazione della mente, l’arbitrio mantiene un margine di libertà.

Lo psicologo R. Holton e il filosofo A. Mele affrontano il problema con riflessioni di grande interesse, specie quelle di Holton sulla fenomenologia della scelta. La sua analisi d’eventi mentali e situazioni concrete è sagace. L’argomento principale di R. Holton a favore della libertà dell’arbitrio è che il determinismo del cervello indebolirebbe il senso morale. Esperimenti di neuropsicologia dimostrerebbero che già la conoscenza (ancor prima della condivisione) dell’ipotesi deterministica affievolirebbe le convinzioni morali. E pertanto le convinzioni morali sarebbero di natura non deterministica. L’argomento è suggestivo, ma astratto. L’uomo agisce con i meccanismi nervosi della coscienza. Con essi, non con speculazioni (per quanto intelligenti), va spiegato l’agire umano. Nel loro funzionamento andrebbe dimostrato il margine di libertà. Il filosofo A.R. Mele riporta l’appello di una persona turbata per aver sentito che le neuroscienze avrebbero demolito la libera volontà. Mele le garantisce che questo scetticismo è assurdo. La fenomenologia degli atti volontari escluderebbe che essi siano causati da stati mentali prodotti dai meccanismi nervosi della coscienza. In sei capitoli, con maestria d’argomenti e padronanza di conoscenze neuropsicologiche, Mele discute prevalentemente gli esperimenti di Benjamin Libet, sostenendo che ciò che Libet chiama atto volontario illusorio in realtà sarebbe solo un «urge», un impulso. Dedica molto spazio al «vetoing» di Libet, che, paradossalmente, sostiene che l’unico margine di libertà è la capacità di vietare quel che il cervello ha deciso. Mele non si chiede (come non se lo chiedeva Libet) da dove venga una volontà tanto potente, se non da un meccanismo nervoso egualmente deterministico. Libet è stato il pioniere degli studi della volontà con metodologia sperimentale, in un’epoca in cui l’unica spia dell’attività cerebrale era l’elettroencefalografia. Oggi, con la visualizzazione delle aree cerebrali attive e con registrazioni elettriche molto raffinate, il problema è un altro. Come interpretare, ad esempio, aree corticali motorie del cervello e del cervelletto attive da 6 a 10 secondi prima della consapevolezza che si vuol fare un movimento? Come interpretare l’attivazione inconscia di muscoli della mano destra già nell’attimo in cui si vede un oggetto (ad esempio una tazza) che si può prendere in mano perché è a una distanza accessibile, mentre se si vede un oggetto imprendibile come un albero o una tazza fuori portata i muscoli rimangono tranquilli? (Lavori recenti di C. Sinigaglia e coll.)

Tutto ciò, e molto altro, avviene senza consapevolezza. E.J. Sternberg attacca, lancia in resta, il determinismo con l’argomento che il tutto è più delle parti che lo compongono, e che in quel tutto del meccanismo cerebrale c’è posto per la libertà. L’argomento è arcaico e solo speculativo, ma corrisponde al pensiero comune: dal momento che sentiamo che la volontà è libera, alla fine si dimostrerà che le cose stanno così. Tutti questi ragionamenti si basano sul presupposto che noi siamo un Io separato dal cervello. Che cosa sia, dove sia e come funzioni l’Io non si dice e non lo si chiede. In realtà, nel bene, nel male e nel peggio noi siamo il nostro cervello. Quando i suoi meccanismi cognitivi studiano – come nel caso del libero arbitrio – se stessi, arrivano a un limite conoscitivo insuperabile perché i meccanismi nervosi della coscienza non sono in grado di capirsi fino in fondo. Collegato al libero arbitrio è il problema dell’origine della moralità, tema del lavoro di Patricia Churchland, che intende rispondere alla "domanda fondamentale", sul perché i nostri neuroni si prendano cura di qualcosa. All’obiezione che se fosse vero che la legge morale è un effetto collaterale dell’evoluzione allora bene e male non esisterebbero, la Churchiland, in analogia a Michael Gazzaniga, obietta che la moralità è un comportamento sociale a partire dai primati. I valori morali sono emersi nella evoluzione come espressione della neurobiologia della vita sociale, di cui traccia una storia convincente. Nel libro della Chuarchland non c’è nulla di particolarmente nuovo, se non la felice e convincente spiegazione che la legge morale è basata su una piattaforma biofisica emersa con l’evoluzione. Ciò non toglie che il problema della libertà dell’arbitrio vada affrontato con saggezza pragmatica senza pretese d’assoluto.