Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 23/05/2011, 23 maggio 2011
Yemen, fuga in elicottero dall’ambasciata assediata Il presidente Saleh minaccia: guerra civile Un’evacuazione in elicottero dai tetti dell’ambasciata assediata, come nella celebre scena del film vincitore di Oscar Urla dal Silenzio
Yemen, fuga in elicottero dall’ambasciata assediata Il presidente Saleh minaccia: guerra civile Un’evacuazione in elicottero dai tetti dell’ambasciata assediata, come nella celebre scena del film vincitore di Oscar Urla dal Silenzio. Ma non è la Cambogia nel 1975, è lo Yemen del 2011: ieri dalla sede diplomatica degli Emirati Arabi Uniti a Sanaa sono stati salvati dall’aviazione militare gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea insieme ai colleghi di Arabia Saudita, Kuwait, Oman ed Emirati e al segretario del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), Abdellatif Zayani. Assediati per ore nell’edificio da una folla armata di fucili, spade e pugnali, miliziani del presidente Ali Abdullah Saleh che si rifiuta di seguire la sorte di Mubarak e Ben Ali, di dimettersi dopo quasi 33 anni al potere, quattro mesi di dure proteste e almeno 170 morti. Ieri Saleh avrebbe dovuto arrivare proprio in quell’ambasciata per firmare il piano proposto (per la terza volta) dai sei Paesi del Ccg, con l’appoggio di Usa e Europa, per un’uscita di scena «dignitosa» : entro 30 giorni le dimissioni con garanzia dell’immunità, tra 60 nuove elezioni presidenziali, nel frattempo formazione di un governo d’unità nazionale. Ma come era già successo, il raìs all’ultimo si è tirato indietro: ha prima chiesto di rimandare la firma per rispettare una «festa nazionale» , poi preteso che i leader dell’opposizione che già sabato avevano siglato l’intesa davanti a Zayani si ripresentassero per una nuova firma. Scuse evidenti per guadagnare tempo. «È un colpo di Stato, senza di me ci sarà Al Qaeda, la guerra civile» , ha infatti dichiarato il raìs in tv dopo che gli ambasciatori arabi e occidentali avevano finalmente raggiunto il palazzo presidenziale in elicottero. Lì il famoso accordo è stato firmato da vari esponenti del partito al governo, ma non da Saleh. Alleato e finanziato dall’Occidente nella lotta contro Al Qaeda che in Yemen ha una roccaforte, il presidente che già fu vicino all’Iraq di Saddam e ora lo è all’Iran di Khamenei è diventato però indifendibile con l’inizio della primavera araba, scoppiata nel piccolo e povero Stato a fine gennaio, mai sedata nonostante il pugno di ferro. Nel suo discorso all’Islam giovedì scorso perfino il presidente Obama gli aveva chiesto di «rispettare gli impegni e trasferire ad altri il potere» . In Yemen defezioni di massa hanno intanto colpito il governo e lo stesso partito di Saleh. Diplomatici, militari e magistrati sono passati all’opposizione che raccoglie ormai un ampissimo spettro di posizioni, dai religiosi alla sinistra laica o quasi. Fedeli a Saleh, in sostanza, sono rimasti i corpi scelti e meglio equipaggiati di esercito e polizia, guidati da membri della famiglia. E bande di miliziani, in borghese e magari armati alla buona (in Yemen è difficile trovare uomini che non lo siano, specie fuori dalla capitale), che ieri in sostegno del loro raìs hanno inscenato manifestazioni violente: almeno due morti accertati vicino a Sanaa tra l’opposizione, assalti a edifici e personalità, compreso l’ambasciatore cinese. Per gli analisti Saleh non potrà resistere a lungo, anche se l’accordo che insiste a non firmare non sarebbe necessariamente la fine del caos e della rivolta. L’opposizione, che ieri ha portato secondo le sue stesse stime 1,5 milioni di persone in piazza a Sanaa, è divisa nell’accettare l’intesa proposta dal Consiglio del Golfo. Molti la rifiutano perché «troppo morbida con il dittatore» che deve andarsene «subito» . Ma intanto la pazienza dei mediatori pare ormai esaurita: già il Qatar si era ritirato a fine aprile dal compito di convincere l’irriducibile dittatore. Ieri notte i Paesi del Ccg riuniti a Riad, sentiti gli ultimi eventi, hanno deciso di «sospendere ogni iniziativa per l’assenza di condizioni adatte a realizzarla» . Cecilia Zecchinelli