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 2011  maggio 21 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 101 - UN GENERALE POLACCO

In effetti poi andò proprio così. I russi, i tedeschi… Sì, sappiamo che poi, tragicamente, accadde proprio questo. Imperialismo di Berlino, imperialismo di Mosca, due guerre mondiali, il comunismo, i genocidi. Quello fu il primo, grande discorso del conte. A parte i fischi, Parlamento e opinione pubblica ne rimasero impressionati.

Riassumendo: Cavour non voleva la ripresa della guerra.

La ripresa della guerra era inevitabile. Cavour, pubblicamente, esortava ad aspettare e a non rinunciare alla mediazione. In privato qualche dubbio lo aveva, visti i problemi che l’Austria aveva in quel momento al suo interno. Secondo lui sarebbe bastato, rotto l’armistizio, conseguire anche una vittoria piccola, per dare un qualche strumento di pressione ai mediatori francesi e inglesi. Ma questa vittoria piccola era ipotizzabile? L’esercito era in condizioni penose. Lo stesso Vittorio Emanuele II, alla fine dell’anno, scrisse al generale Bava: «Il nostro esercito è in uno stato pessimo, colpa del ministero della guerra e dei generali in capo. Sempre più indisciplina, sempre cattive idee, complotti, ribellioni. Nonostante la vigilanza più severa non si combina niente di buono. Le malefatte, invece di reprimerle, si approvano e al contrario capita che se uno fa il suo dovere, se tiene fede ai giuramenti, se rispetta le leggi riceva poi certi complimenti da far arrossire tutto il ministero. Crediamo di avere un esercito, e invece no, non si lavora che a demolirlo, quando arriverà il momento una piccola frazione di soldati andrà a versare sui campi fino all’ultima goccia di sangue, mentre divisioni intere, interi corpi d’armata si dissolveranno ancora prima d’aver visto il nemico». Continuava prevedendo che «allora gli avvocati, essendosene rimasti a casa, scriveranno contro i generali, chiederanno vendetta, non gli verrà per niente in mente che è prima di tutto colpa loro». Parlava di ufficiali che non si sa da dove venivano, gente che non aveva la minima competenza militare e di cui i soldati si facevano beffe. «I soldati fanno quello che vogliono, dicono ad alta voce quello che pensano, applausi per chi non obbedisce...». Così parlava colui che tra poche settimane sarebbe diventato re di Sardegna. La cosa, del resto, era nota. E quando alla fine l’armistizio fu rotto, agli austriaci bastarono tre giorni per travolgere i piemontesi.

Come andò?

Dopo l’armistizio, s’erano scervellati per trovare all’estero un generalissimo che, con l’aria di affiancare il re (era praticamente impossibile esautorarlo del tutto), avrebbe di fatto comandato l’armata.

Perché all’estero?

E come ammettere pubblicamente che in patria ci fosse qualcuno più bravo del re?

Ma il re non si rendeva conto della propria pochezza?

Secondo Carlo Alberto « tous les maux nous sont arrivés parce que nous avons chassé les Jesuites ».

Diciamo: si trattava di una procedura tipo quella di adesso per ingaggiare gli allenatori di calcio?

Qualcosa del genere, purtroppo. Venne spedito a Parigi La Marmora, con l’incarico di chiedere in prestito Bugeaud oppure Charganier o anche Bedeau. Era estate. Il governo francese s’era appena liberato dell’incubo socialista e naturalmente pendeva sempre più a destra, anche per non allarmare gli austriaci e il resto d’Europa. I francesi risposero a La Marmora: un generale di prima grandezza, come quelli nominati, proprio no...Forse qualcuno di seconda fila...

Ma è davvero umiliante...

Cavour scrisse a un certo punto che ci voleva l’abdicazione. «Se Carlo Alberto non abdica, il paese è perduto». Carlo Alberto, che non voleva abdicare senza essersi prima coperto di gloria, alla fine fece arrivare un generale polacco dal nome impronunciabile, Wojciech Chrzanowski, di cui gli aveva parlato quasi per caso il conte Zamoyski... La Marmora stava ancora a Parigi e fece sapere: « l’Ambasciatore s’interessa particolarmente per un certo Kranoski polacco stabilito a Dresda. Io me ne schernisco seriamente ». Questo Kranoski, cioè appunto Chrzanowski, sbarcò a Torino e non parlava italiano. Un tizio piccolo, brutto, miopissimo, che mise di malumore lo stato maggiore.

Perdemmo per colpa sua?

No, poveraccio. Verso la fine dell’anno venne chiamato al governo Gioberti, il quale pretese che si rifacessero le elezioni, per avere una camera più spostata a sinistra. Cavour, che in pubblico ne riconosceva la grandezza di filosofo, in privato lo detestava. Arrivò a chiamarlo «prete rinnegato». Si fecero queste elezioni, risultò in effetti una Camera più democratica e infatti Cavour non venne eletto. Se la prese moltissimo, ci andò di mezzo tra gli altri anche il parroco di Leri.

Come mai?

Il parroco di Leri pendeva a sinistra. Il conte lo convocò e lo licenziò su due piedi. Si chiamava Gian Carlo Borghese e denunciò Cavour al ministro Sineo... « Trovai non un uomo ma un sultano. “Signor Teologo”, mi disse “i Preti di Torino sono democratici, rovinarono la mia elezione a deputato del primo circondario, conosco abbastanza la sua persona, i suoi sentimenti per intimarli che la licenzio dalla Cappellania e da questo sito sull’istante che gli impongo di lasciare senza darle verun tempo di trovarsi pane ”».