La Stampa 21/5/2011, 21 maggio 2011
“Così plasmeremo il cervello artificiale” - Avete presente quei cagnolini robotizzati che grazie a microscopici sensori sono capaci di rispondere a ordini tipo «cuccia» e «vieni qui»? Bene, quello che ieri è stato presentato dal Politecnico di Torino nelle spettacolari stanze settecentesche del castello del Valentino è tutta un’altra storia
“Così plasmeremo il cervello artificiale” - Avete presente quei cagnolini robotizzati che grazie a microscopici sensori sono capaci di rispondere a ordini tipo «cuccia» e «vieni qui»? Bene, quello che ieri è stato presentato dal Politecnico di Torino nelle spettacolari stanze settecentesche del castello del Valentino è tutta un’altra storia. Assai più seria, affascinante e inquietante di un «bau» che esce dalla voce di un animale con l’anima di cavi e plastica. Primo: il progetto che s’intende realizzare, lo «Human brain project» – il nome non lascia dubbi – ha l’obiettivo di simulare il cervello degli esseri umani. Secondo: si tratta del primo vero passo verso l’intelligenza artificiale, cioè la capacità di interagire tra persone in carne ed ossa e robot, su cui sceneggiatori e romanzieri hanno costruito una fortuna. Terzo: è prevista una collaborazione europea (presto mondiale) tra le più grandi università, aziende e centri di ricerca. Quarto: il polo scientifico che nei Paesi partecipanti al progetto – tra cui l’Italia - si distinguerà per attività, portata e competenza, riceverà un finanziamento di un miliardo di euro, fondi europei che garantiranno il proseguimento dei lavori per i prossimi dieci anni. Entro il 2023 – parola di Henry Markram del «Brain mind Institute» dell’Ecole Polytechnique federale di Losanna, promotore dell’iniziativa – l’umanità avrà infatti raccolto sufficienti dati e informazioni sulla materia cerebrale, le sinapsi, il rapporto tra noi e il mondo, il senso della memoria, ogni altro mistero che avvolge la mente umana. E a quel punto il cervello umano-elettronico non sarà più fantascienza. «Ma soprattutto – ha detto Markram non sarà più impensabile sconfiggere patologie gravi, dal Parkinson all’Alzheimer, dalla schizofrenia alle nevrosi, frutto di un cattivo funzionamento delle connessioni o di difetti nelle membrane cerebrali». Il gruppo di ricerca italiano è costituito dal Politecnico di Torino, dall’università di Firenze e dal Lens (il Laboratorio europeo di spettroscopie non lineari), assieme all’ateneo di Pavia, all’istituto di Biofisica di Palermo, a quello di Scienze e tecnologie della cognizione di Roma e a quello di Ricerche su popolazione e politiche sociali, sempre nella capitale. Ognuno ha aderito per le sue specificità. E per riprodurre il cervello umano, a quanto pare, ne occorrono davvero molte. Torino si adopererà per realizzare strutture a basso consumo energetico e alcuni modelli in grado di simulare l’azione del cervello umano, Firenze si occuperà delle immagini e di connettomica, Pavia svilupperà le sue conoscenze sulle funzioni del cervelletto, Palermo sugli effetti delle anomalie nel cervello, Roma affronterà i problemi relativi all’etica: i cui principi, in relazione all’argomento, dovrebbero essere scolpiti nella pietra. L’obiettivo è partire dall’osservazione delle molecole «vive», arrivare a simulare i circuiti neurologici e dar vita, ma vita elettronica, agli stessi comportamenti. Per farlo occorrono calcolatori maxi che rielaborino le informazioni, una banca dati planetaria che possa incamerare, ad esempio, i dati sui malati e sulle risposte a eventuali cure, microchip sofisticati per registrare microvariazioni nei neuroni, e un super-cervellone per articolare le possibili variazioni nei comportamenti. «Dobbiamo far sì che una mente artificiale – ha ribadito il portavoce Richard Walzer – sia in grado di riprodurre le stesse reazioni di una mente umana, come girare in un labirinto senza perdersi, rispondere a un saluto, scappare da un pericolo. È un miracolo che oggi ci fa sognare, ma che domani potrebbe essere realtà». Già, ma dal momento che gli effetti del cervello hanno bisogno prima di tutto di osservazione, il «miracolo» avrà bisogno della sperimentazione sugli esseri viventi. «È impossibile la ricerca senza l’aiuto degli animali - è il parere, netto, di Walzer e anche sugli umani non verrà fatto nulla di invasivo». Non c’è dubbio che l’argomento spaventi un po’: si parla di robot pensanti e la mente va al malvagio computer Hal 9000 di «2001 Odissea nello spazio» o all’uso malsano delle informazioni per il controllo delle menti. Ma c’è chi, con un sorriso, rassicura: «Non vorrei che i neuroscienziati trascurassero aspetti basilari come l’emotività e l’istinto che agiscono nel cervello – spiega Tilde Giani Gallino, professore ordinario di psicologia all’Università di Torino -. Quelli sì, sarebbero davvero molto difficili da riprodurre». ELENA LISA *** IL SOGNO «FORTE» COSTRUIRE LA RAGIONE - Il sogno dell’intelligenza artificiale è antico e ritorna ciclicamente. Risale a Charles Babbages, che progettò nel 1830 la prima macchina programmabile, e alla sua amica Ada Lovelace, figlia del poeta Byron, che scrisse i primi software, salvo poi rovinarsi scommettendo alle corse di cavalli. Ma se dobbiamo fissare una data, l’Intelligenza Artificiale nasce nel 1950 con un famoso articolo di Turing sulla rivista «Mind». Turing e il filosofo Searle sostennero che avremo l’intelligenza artificiale quando una persona umana potrà conversare con una entità chiusa in una stanza senza capire se si tratta di una macchina o di un’altra persona. Poiché questa concezione «forte» si rivelò troppo ardita per la tecnologia di metà 900, si svilupparono poi varie versioni «deboli». Alla macchina non si chiese più di simulare il cervello umano in tutte le sue facoltà ma solo in campi ben definiti. Sono nati così i «sistemi esperti», capaci di surrogare le conoscenze di uno specialista, per esempio un medico; computer in grado di giocare a scacchi (e anche battere il campione del mondo), computer per tradurre testi e così via. Il progetto «Human Brain» presentato ieri è di straordinario interesse perché riapre il discorso filosofico dell’Intelligenza Artificiale forte, e nello stesso tempo punta a obiettivi pratici e utili, come la ricerca sulle malattie di Alzheimer e di Parkinson. Passare da una rete che simula 10 mila cellule cerebrali del topo a una rete che imiti un cervello umano con i suoi 100 miliardi di neuroni è un salto di quantità che comporta anche un salto di qualità. È probabile però che - sostiene per esempio Mario Rasetti del Politecnico di Torino - il salto decisivo sia abbandonare il modello elettronico classico per un modello quantistico. In ogni caso, anche fermandoci alla quantità, non basta simulare i 100 miliardi di neuroni. Poiché ognuno di essi ha 10 mila sinapsi, le connessioni sono un milione di miliardi. Non solo: proprio in questi anni si sta scoprendo che le cellule gliali, 10 volte più numerose dei neuroni, oltre a svolgere funzioni nutritive, agiscono in molti modi, ancora misteriosi. Ancora: da qualche decennio sappiamo che il cervello è plastico, si evolve in continuazione: e la plasticità è ancora preclusa ai microprocessori. Infine, un computer consuma energia come un treno, il cervello si accontenta di 20 watt. Insomma, la strada è lunga. Ma proprio per questo ancora più affascinante. PIERO BIANUCCI