Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 21/5/2011, 21 maggio 2011
IL PREZZO GIUSTO PER PARMALAT È FINO A 3,17 EURO
Il controllo di Parmalat può valere fino a 3,17 euro per azione. Parola di Goldman Sachs, advisor del gruppo di Collecchio, che, non ritenendo congruo il corrispettivo offerto dall’Opa di Lactalis, nega la fairness opinion.
Lo si legge nel documento del consiglio di amministrazione, nel quale si spiegano i motivi che hanno portato alla decisione già anticipata a inizio settimana, e che, ai sensi di legge, era dovuto prima dell’avvio dell’Opa, in partenza lunedì per concludersi l’8 luglio. Goldman ha seguito diverse metodologie per individuare tre forchette di prezzo: nelle prime due i 2,6 euro offerti da Lactalis si collocano nella parte bassa del range, nella terza il prezzo dell’Opa risulta inferiore al minimo.
La prima metodologia è quella del discounted cash-flow (l’attualizzazione dei flussi di cassa attesi). In questo caso si individua una forchetta di prezzo compresa tra 2,53 e 3,10 euro per azione. La seconda metodologia prende in considerazione i multipli impliciti in offerte analoghe del settore alimentare e in particolare del latte, arrivando a indicare un range di 2,56-3,17 euro per azione. La terza, infine, prende in considerazione i premi rispetto alle quotazioni di mercato impliciti in offerte pubbliche d’acquisto precedenti, pervenendo a un intervallo di prezzo compreso tra 2,71 e 3,14 euro. C’è da dire che però in quest’ultimo caso gli ultimi sei mesi sono stati influenzati dalla mossa dei tre fondi esteri che avevano riunito in un patto il loro 15,3% (poi ceduto ai francesi a 2,8 euro per azione), mentre nell’arco dei dodici mesi, secondo quando dichiarato nel prospetto dell’Opa, il premio espresso dall’offerta Lactalis sarebbe del 21,3% contro il 13,2% di analoghe operazioni d’acquisto.
Ma per tornare al documento del board, si segnala anche la rilevanza di contenziosi attivi tuttora pendenti che potrebbero portare altra cassa al gruppo, per avvalorare la tesi che Parmalat vale di più. Il fatto è che dall’altra parte non c’è vincolo né interesse ad alzare il prezzo dell’Opa, dal momento che Lactalis detiene già il 28,9% del capitale che le consentirebbe di gestire la ex public company senza caricarsi sulle spalle un debito troppo oneroso. Già così, nell’ipotesi di adesioni totalitarie il multiplo net debt/Ebitda del gruppo allargato a Parmalat arriverebbe a 4,1 volte, decisamente alto per un settore relativamente "povero" come quello del latte. Un rilancio, per evitare di sforare i covenants dei finanziamenti concordati con le banche per l’offerta tutta a debito, dovrebbe ragionevolmente essere alimentato da contanti. Ma perchè Lactalis dovrebbe alzare il prezzo, quando le basta la quota che ha già? Oltretutto, Collecchio precisa che non è in programma la convocazione di un’altra assemblea, oltre a quella di bilancio già fissata per il 28 giugno, dal che si evince che l’ad Enrico Bondi si ritiene vincolato alla passivity rule e non sta preparando qualche mossa a sorpresa per strappare Parmalat all’offerta francese «non sollecitata, né concordata».
In relazione al contratto di finanziamento stipulato nel 2004 da Parmalat Canada con il fondo pensione degli insegnanti dell’Ontario, viene poi precisato che la clausola di cambio del controllo che farebbe scattare l’obbligo di pagare il 10% dell’equity value della società al finanziatore (100-130 milioni di euro) si attiva per percentuali di possesso superiori al 40% del capitale: per i francesi un motivo in più per sperare di restare sotto.