Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 21/5/2011, 21 maggio 2011
IL FATTO
di ieri -
21 maggio 1973
“Le parole sono ancelle d’una Circe bagasciona e tramutano in bestia chi si lascia affascinare dal loro tintinnìo”. Così parlò Carlo Emilio Gadda e forse, già in questa citazione criptica e tranchant, c’è il senso della sua sfida ai comuni registri e alla povertà del linguaggio dominante, della sua trasgressiva inventività stilistica, ingarbugliata come una caotica nebulosa, barocca e musicale anche quando intrisa di dialetto, soprattutto quello lombardo, l’unico a produrgli una “gioia fonica assoluta”. Stravagante e vulcanico, rivoluzionario e conservatore, Gadda è caso letterario che divide ancora. Venerato autore del “Pasticcio” e lui stesso “pastiche”, come dirà di sé, compiaciuto dei suoi acrobatici virtuosismi lessicali e di un certo sadismo verbale, infallibile nel contemplare gli eventi minimi, nel rappresentare frammenti di esistenze, nel cogliere condizione fisica e metafisica dei suoi personaggi. Affascinato dall’intrico delle cose, ma anche carico di sguardi molli di malinconia, come nella “Cognizione del dolore” o nell’“Adalgisa”, tenero affresco sulla Milano scomparsa degli anni Dieci. Un solitario, morto in volontario esilio in una modesta casa della periferia romana il 21 maggio ‘73.