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 2011  maggio 21 Sabato calendario

In principio c’era la Kelly (come Grace), e poi la Birkin (come Jane), tutte e due di Hermès. Poi è arrivata la Jackie’O (ex Kennedy) di Gucci

In principio c’era la Kelly (come Grace), e poi la Birkin (come Jane), tutte e due di Hermès. Poi è arrivata la Jackie’O (ex Kennedy) di Gucci. Pensate per donne speciali, amate da molte altre. Nina Garcia, astuta compilatrice di guide modaiole come «One Hundred», spiega che «la borsetta è il primo segno dell’indipendenza femminile», con qualche eccezione (il primo esemplare risale a 4500 anni fa). Ma possiamo concordare sul fatto che nel ’900 le borse hanno sviluppato una personalità e un linguaggio. Quello che le donne non dicono, lo raccontano loro. Il libro «Fifty bags that changed the world», cioé «50 borse che hanno cambiato il mondo», di Robert Anderson, è un affascinante racconto, un’operazione psicanalitica, e sul lettino non ci sono le signore, ma le borse. Una per tutte: la «2.55» di Chanel, pochette inventata dalla geniale Coco. Un misto di rivalsa e vendetta. Il materiale ricorda le tenute delle cavallerizze inglesi, simbolo del potere maschile. Il colore, l’uniforme da orfanotrofio. La catenella intrecciata con un nastro di pelle evoca la rigida educazione in convento. Oggi che la moda vive di accessori, ogni borsa ha un nome e uno stile. La Carolyn di Marc Jacobs, la La Vie di Trussardi, (che rimanda a Lavinia Borromeo) la Edith di Chloè, la Brigitte, la Emmy, la Sofia di Ferragamo, la Carlalala di Roger Vivier (dedicata ovviamente a Carla Bruni), sono più che oggetti del desiderio, sono «amiche» sostiene Nina Garcia, e lo ripete Michael Tonello, il famoso «cacciatore (pentito) di Birkin», l’uomo che ha vissuto saccheggiando le boutique di mezzo mondo e rivendendo le mitiche borsette su eBay. Della Baguette di Fendi (ispirata al famoso pane francese) è stato celebrato persino il compleanno... E’ come se le donne si fossero ritirate nel silenzio, troppo occupate a lavorare, scalare, sedurre, a dimostrare che possono far tutto, come se avessero rinunciato a dichiarare le loro intenzioni facendo parlare le borse, dotate di nomi orgogliosi e simbolici: era così per le spade dei cavalieri, la Durlindana di Orlando nella «Chanson de Roland», la magica Excalibur di Artù, la fiammeggiante Narsil di Aragorn nel «Signore degli Anelli». Al posto delle lame infallibili, splendono la Lady Dior, la D.Bag, la Vanity bag, la Spy bag, la Muse Two (Yves Saint Laurent), la Spedy Monogram Watercolor o la Bowling Bag Joke (Louis Vuitton). La Neverfull bag è da combattimento, pesa 700 grammi, ma sopporta 210 chili: dentro possono trovare posto sia l’abito da sera che il computer e, se fossimo in un Bond-movie, anche un piccolo arsenale. La Warrior bag di Burberry, con le sue borchie, è statainterpretata come una dichiarazione di aggressività. La Falabella, fortunata borsa con le catene di Stella McCartney ha un nome onomatopeicamente confortante. La Antigona, di Riccardo Tisci per Givenchy, dà un’idea di inflessibilità (l’hanno voluta Zoe Saldana e Sharon Stone) che fa ritenere non casuale il richiamo alla tragedia greca. Insomma, la borsa è un’appendice del corpo femminile, e il suo comprensibile disordine è quello dell’anima. Ma in questo proliferare di nomi e definizioni, resta l’idea che clutch, pochette e tracolle messe in fila su uno scaffale dell’armadio, imbottite di carta velina per non essere sciupate da pieghe improprie, Carolyn o Carla, Kelly o Alexa, comprate a caro prezzo o affittate per l’occasione (su www.myluxury.biz/ ) siano le sole amiche che abbiamo. Da chiamare con il loro nome, come dice la spiritosa e sceneggiatrice scrittrice Nora Ephron, «per avere qualcuno da chiamare».