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 2011  maggio 20 Venerdì calendario

Coincidenze? E nel libro dell’anno era tutto previsto, ipocrisie incluse - Tra gli innumerevoli «prece­denti » di Dominique Strauss-Kahn c’è una storia di stupro (pre­sunto, fino a prova contraria) che stupisce per il modo in cui fu insab­biata

Coincidenze? E nel libro dell’anno era tutto previsto, ipocrisie incluse - Tra gli innumerevoli «prece­denti » di Dominique Strauss-Kahn c’è una storia di stupro (pre­sunto, fino a prova contraria) che stupisce per il modo in cui fu insab­biata. Siamo nel 2002. La giornali­sta Tristane Banon chiede un’in­tervista al potente uomo politico. Appuntamento in un apparta­mento semivuoto: ci sono solo let­to, televisione e videoregistratore. Lei inizia a parlare, lui le accarezza un braccio. Lei lo respinge, lui la butta a terra. Lei gli rifila una raffi­ca di calci, lui armeggia col reggise­no. Lei grida, lui non si impressio­na. Nel 2007, la vicenda diventa pubblica nel corso di una trasmis­sione­tv ma il nome di DSK è coper­to da un bip. Pochi giorni fa la ma­dre di Tristane annuncia che la fi­glia si rivolgerà a un avvocato. Ecco, la madre. Si chiama Anne Mansouret e ha fatto carriera nel Partito socialista, quello di DSK. Consigliera dell’Alta Normandia, è candidata alle primarie per le presidenziali 2012. È la Mansou­­ret, per sua stessa ammissione, ad aver convinto la figlia a stare zitta. Ora è afflitta dai rimorsi: «Rimpian­go di aver convinto Tristane a non presentare denuncia subito. Do­po che venne assalita, ne parlam­mo a lungo. Alla fine abbiamo con­cluso che era meglio non andare in tribunale». Impossibile (e inuti­le) giudicare le motivazioni che hanno spinto mamma Mansou­ret al silenzio. Era sicura che DSK fosse troppo importante per non farla franca mentre la reputazione della figlia ne sarebbe comunque uscita a pezzi? Aveva paura per sé e la propria carriera nel partito? Non sta a noi dirlo. Una cosa è sicu­ra. Nel recente romanzo di Jona­than Franzen, Libertà ( Einaudi), è raccontata una storia quasi identi­ca e nella finzione ogni risposta ai quesiti di cui sopra è lecita. Patty frequenta il college e viene violen­tata da un certo Ethan Post. Non segue denuncia: sono i genitori a dissuadere Patty. Ma chi sono mamma e papà? E chi è il vile ag­gressore? Joyce, la madre, è «una Democratica di professione». Nel 1960 sostiene JFK, poi vengono i di­­ritti civili, il Vietnam e Bobby Ken­nedy. Nel 1968 partecipa alla pri­ma convention nazionale, quindi diventa tesoriera e presidente del partito per la contea. Ray, il padre, è un avvocato di grido. Ma difende anche«la povera gente»,soprattut­to immigrati, a titolo gratuito. Chi ha notato certi suoi sguardi o risati­n­e in aula non risparmia commen­ti acidi: per Ray è «come se la mise­ria, lo sfregio e il carcere fossero un semplice spettacolino offerto dai ceti inferiori per ravvivare una giornata altrimenti noiosa». Inuti­le precisare che Ray e Joyce sono ricchi sfondati. Il futuro avvocato, per dire, è cresciuto in una magio­ne, progettata da Frank Lloyd Wri­ght, che svetta fra le colline del New Jersey nel mezzo di una gran­de proprietà avita. A Franzen piace ridere dell’ipo­crisia liberal. La stoccata finale arr­i­va con l’ingresso in scena di Ethan Post. Quando Joyce sente il nome dello stupratore decide di parlar­ne a lungo con la figlia Patty. Pro­prio come ha fatto nella realtà la Mansouret con Tristane. Il dottor Post, padre di Ethan, «aveva una di quelle case in cui Teddy Kenne­dy, Ed Muskie e Walter Mondale andavano in visita quando erano a corto di fondi». Per essere am­messi nel suo «giardino» (grosso come Central Park) bisogna esse­re parte dell’élite democratica. Joyce e Ray convincono Patty a la­sciar perdere. Perché in fondo «Chester Post non è un uomo faci­le ma fa un sacco di cose buone per la contea». Senza contare «le udienze preliminari» che danneg­g­erebbero soprattutto la querelan­te. Insomma,zitta e mosca:«Impa­ra a stare più attenta », «Devi dire a testessa: “Ho commesso un erro­re e ho avuto sfortuna”», «Accon­tentati delle scuse formali». Patty obbedisce. Ed è solo per ca­so, naturalmente, che quando il Partito democratico decide di can­didare alla Camera sua madre, i Post organizzano un raduno con raccolta fondi nel loro «giardino». Joyce, divenuta nel frattempo pa­ladina dei bambini poveri, viene eletta. La morale è semplice: un posto in prima fila al Congresso, da cui difendere i diritti civili, val bene lo stupro di una figlia.