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 2011  maggio 20 Venerdì calendario

Ho perso ma non cedo alla tv banale - Difficile situazione. Non posso non assumere tutta la responsabilità dell’insoddi­sfacente risultato della tra­smissione che fu Il mio can­to libero ed è stata Ci tocca anche Sgarbi

Ho perso ma non cedo alla tv banale - Difficile situazione. Non posso non assumere tutta la responsabilità dell’insoddi­sfacente risultato della tra­smissione che fu Il mio can­to libero ed è stata Ci tocca anche Sgarbi . In realtà è toc­cata a pochi. E quei pochi (due milioni) sono prevelen­temente apparsi soddisfatti se devo giudicarlo dalle con­gratulazioni verbali, dalle te­lefonate, dai messaggi telefo­nici dalle e-mail che hanno sommerso me e i miei colla­boratori, tutti unanimi nel ri­conoscere l’originalità e la novità della trasmissione dalle scenografie agli argo­menti, alle sigle, alla rico­struzione della mia storia te­levisiva con riferimenti a Fe­derico Zeri, a Francesco Cos­siga ed altri modelli come Buster Keaton nella sua re­surrezione televisiva. Devo riconoscere che, pur nella consapevolezza di al­cune sbavature e nel diffici­le rapporto con gli ospiti, dal vescovo di Noto a mio figlio Carlo (apprezzatissimo e premiato con il 14% di sha­re) Morgan, Carlo Vulpio, non avrei pensato a risultati così modesti per la naturale considerazione che ho di chi, come persona, guarda la televisione e per la convin­zione di persuadere all’at­tenzione con gli argomenti e la dialettica come ho dimo­strato in innumerevoli circo­stanze. E invece no. Non è basta­to. Raiuno, come molti mi avevano preannunciato, ha spettatori tradizionali abi­tuati a un’offerta facile di prevalente intrattenimento, in prima serata. Così è acca­duto, insistere su Raffaello e Michelangelo e poi, addirit­tura, deviare su Filippo Mar­tinez e Luigi Serafini, con­temporanei più intelligenti che provocatori, è troppo au­dace. Pretendere poi di parlare della bellezza dell’Italia, del paesaggio, del mondo agri­colo perduto con il conforto di Leo Longanesi, Guido Ce­ronetti, Pier Paolo Pasolini, Thomas Bernhard, Cesare Brandi, Carlo Petrini è un az­zardo intollerabile se su un’altra rete c’è una partita di calcio o Chi l’ha visto? . L’assassinio di Melania è molto più attraente che non la richiesta di riflettere sul­l’articolo 9 della Costituzio­ne o di ascoltare le parole struggenti di Antonio Delfi­ni sul padre. E poi i dirigenti della Rai richiamano i valo­ri, e indicano la necessità che il servizio pubblico con­tribuisca alla formazione e alla libertà delle coscienze. Tutte parole. Ieri ho letto soltanto una sconfortante serie di banali­tà a cui è impossibile rispon­dere perché non sono nep­pure in grado di ascoltare. Un giorno potremo aggiun­gere i loro nomi a quanti han­no deliberatamente contri­buito a distruggere l’Italia, a sfregiare il suo paesaggio. Non se ne accorgono, parla­no per luoghi comuni, chia­mano centrodestra tutto ciò che non corrisponde alla lo­ro, perfino ingenua, attrazio­ne per il pensiero unico. E il loro unico problema è «quanto è stato speso», «chi pagherà il conto». Una pre­occupazione che ossessio­na le loro menti ma non le attraversa quando riguarda i costi del cinema, del teatro, della lirica, per cui nessuno si chiede «quanto costa» e anzi si protesta se si minac­ciano tagli di fondi. Nella televisione dilagano soltanto voyeurismo e pette­golezzo, piccoli e grandi scandali, orride cucine e ti­nelli, consumismo e banali­tà. Ma questo è ciò che il pub­blico vuole, secondo i diri­genti Rai, e la televisione non ha responsabilità edu­cative, deve badare ai conti, nessuna riflessione sul fatto che nella tv si specchi la real­tà e si formino i modelli cul­turali e che non comprende­re la necessità di esprimere altri e diversi pensieri equi­vale a considerare che la scuola debba accomodarsi ai gusti e al piacere degli stu­denti rinunciando ad argo­menti difficili. Perché legge­re Leopardi, Guicciardini e Foscolo se agli studenti pia­ce Jovanotti o il Grande Fra­tello? Con questi principi ogni ipotesi di televisione legata al pensiero lascia il posto al­l’intrattenimento facile, alla pigrizia dell’ascolto. Così io non ho nulla da rivendicare e non ho alcuna intenzione di correggere, emendare o cambiare i miei argomenti che si esprime nella televi­sione che faccio in ogni situa­zione, anche nella contami­nazione; ma, tanto più, se io la devo costruire come for­ma del mio pensiero, sono anzi certo che se l’ascolto fosse stato più alto le mie idee non sarebbero state cri­ticate come se si potesse mi­surare la loro efficacia o il lo­ro peso nella quantità di per­sone che le ascoltano. Que­sto sembra volere la Rai, non una televisione che indica ed educa suggerendo lettu­re, stimolando suggestioni, curiosità. Per quelle pagine e per quei pensieri io ho immagi­nato uno studio meraviglio­so, derivato dalla «Scuola di Atene» di Raffaello, non l’avrei contaminato con levi­cende di Avetrana o le storie di Ruby; mi sarei astenuto dall’ossessione di occupar­mi in modo pressoché esclu­sivo (come «Annozero» o «Ballarò») del nostro presi­dente del Consiglio. Non so­no stato premiato ma non cambio idea, d’altra parte ri­cordavo ai miei severi criti­ci, che forse non hanno ascoltato le belle pagine di Antonio Delfini, che da mol­ti anni nei giornali la terza pagina è stata spostata verso la fine dei giornali, nei più piccoli fra pagina 19 e pagi­na 25, sul Corriere ad esem­pio dopo le Cronache regio­nali, intorno a pagina 50 (ie­ri a pagina 55). Cosa vuol di­re? Che si accetta che molti non ci arrivino, o non le leg­gano, in esatta corrispon­denza con il modello televisi­vo, per cui la cultura, i libri, le mostre vanno in terza sera­ta. Una scelta rassegnata e obbligatoria. Ma come si può sperare che un paese ri­nasca, che nuove idee si agi­tino se la televisione ha pau­ra della cultura perché fa in­sufficienti ascolti, e allora non bisogna insistere, tenta­re di affermare un altro mo­do di fare televisione che non siano dibattiti regolati e confezionati ma discorsi e ri­flessioni argomentate, di uno scrittore (l’altroieri Ga­vino Ledda) di un vescovo (il teologo Antonio Staglianò), di un giornalista appassiona­to come Carlo Vulpio, di un cantante colto e originale co­me Morgan? No. Bisogna rassegnarsi, rinunciare a una televisione diversa, accettare la legge dei numeri, chiudere tutto e lasciare spazio a pacchi, iso­le e caricature forzate di finti personaggi. Raiuno deve di­fendere la propria mediocri­tà e rinun­ciare ad ogni ambi­zione di mostrare forme, im­magini, idee nuove. Benissi­mo. Obbedisco.