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 2011  maggio 20 Venerdì calendario

Quel finto moderato infarcito di vendolismo - Non si è neppure lasciato andare a grandi euforie Giu­l­iano Pisapia dopo la sorpren­dente buona prova al primo turno milanese

Quel finto moderato infarcito di vendolismo - Non si è neppure lasciato andare a grandi euforie Giu­l­iano Pisapia dopo la sorpren­dente buona prova al primo turno milanese. Alla sua so­brietà ha fatto da contraltare la baldoria dei «compagni», a cominciare da Nichi Vendo­la, il leader. Dimostra la diffe­ren­za tra il malinconico vinci­tore e il suo frenetico entoura­ge. Pisapia è un rifondazioni­s­ta sui generis e si è sempre fat­to fatica a capire che ci faces­se lì. In questa campagna eletto­rale ha commesso un errore simmetrico a quello della Mo­ratti. Letizia lo ha ingiusta­mente accusato di un episo­dio degli anni di piombo: il furto di un furgone a scopo di sequestro nell’ambito di una faida tra estremisti di sini­stra. Preso atto della topica avrebbe dovuto scusarsi. Giu­liano, a sua volta, poteva co­gliere l’occasione per distan­ziarsi dal se stesso che fu e li­quidare quegli anni come un’insensatezza di cui arros­sire. L’uno e l’altro, invece, hanno insistito sullo sbaglio e messo in subbuglio le rispet­tive campagne elettorali. A Pi­sapia è andata meglio perché l’inciampo dell’avversaria era sotto gli occhi di tutti, fre­sco e patente. Ma su di lui è ricascato addosso - e può an­cora danneggiarlo- un passa­to odioso, che contraddice l’uomo che è poi diventato. Quarto di sette figli, Giulia­no è rampollo di una famiglia in vista della borghesia pro­fessionale. Il padre Giando­menico - morto 16 anni fa - è stato il penalista numero uno d’Italia e il principale artefice del nuovo processo penale (1989). Casertano, per anni nel Foro di Napoli, Pisapia se­ni­or si trasferì a Milano nel do­poguerra dove, 62 anni fa, è nato Giuliano. La madre, cre­dente, educò lui e i suoi fratel­li con severità e religione. La giovinezza di Pisapia jr è inquieta. Il ragazzo non sa che vuole, vive esperienze contraddittorie, non trova la strada. Debutta casa e chie­sa, scout in parrocchia, alun­no del liceo Berchet con don Giussani per insegnante. Se­gue una fase altruista: «ange­lo del fango» nella Firenze sommersa del ’66; barelliere della Cri; volontario, a 19 an­ni, al carcere minorile, Becca­ria. È un sor Tentenna anche negli studi. Parte in quarta con Medicina, preferita per ragioni umanitarie, ma, con­cluso il biennio, pianta lì. Si iscrive allora a Scienze politi­che e si laurea. Sente in ritar­do l’influsso paterno e si lau­rea anche in Legge. Poi, per infantile ribellione al padre e per distinguersi da lui, scarta il penale e si accinge a fare il civilista. È già sulla trentina ma, caratterialmente, uno sbarbatello. Pencolante co­m’è, si abbevera al clima di quegli anni e intrufola negli ambienti della sinistra rivolu­zionaria. Tra i vari figuri in ve­trina, sceglie quelli di Prima linea, che vantano già diversi delitti. Un giorno è arrestato il pluriomicida Roberto San­dalo che racconta la storia del furgone rubato e cita Pisa­pia tra i complici. È falso. Il fu­turo candidato sindaco urla e si dispera, ma non è creduto. Nonostante il padre sia una potenza, il procuratore Ar­mando Spataro lo sbatte in ga­lera. Ci resterà tre mesi tre. Al processo, i giudici applicano l’amnistia. Ma Giuliano la ri­fiuta e chiede di affrontare un giudizio vero. Con l’augusto papà alle spalle, è assolto in fretta per non avere commes­so il fatto. Era vincere facile, ma anche la pura verità. La faccenda,assai prima dell’ac­cenno di Moratti, era nota al­l’intera avvocatura di Milano perché Pisapia ne aveva par­lato con i colleghi in lungo e in largo.Com’è anche risapu­to che non riesce a perdonare Spataro e stenta a stringergli la mano. Dopo l’avventura, il padre convoca il figlio, chiude la porta e dice: «Piantala di fare il civilista per distinguerti da me. Vieni a lavorare a studio, ma a un patto: non compro­metterne la reputazione con l’estremismo. In cambio, ri­spetterò le tue idee». Giulia­no, che è un bonaccione, ac­cettò l’offerta. Lui è sempre in balia dell’evento, più che mai dell’ultimo. Prendete la storia dell’appartamento a basso fitto della fidanzata, Cinzia Sasso, giornalista di Repubblica . Un polverone elettorale, in cui lui c’entrava niente perché non era casa sua. Però, pur di mettere una pezza sullo scandaletto, deci­de - dopo 20 anni di serena convivenza - di sposare Cin­zia per uscire di imbarazzo. Non c’e alcun rapporto tra fit­to basso e matrimonio, ma in­seguito dai fatti Giuliano ha reagito come gli veniva: alla carlona. L’uomo è confuso, ma gentiluomo. L’ho conosciuto anni fa per un’intervista,quando era de­putato di Rifondazione co­munista. Ha espresso una se­rie di opinioni scontate e uto­piche, di quelle che ti entra­no in un orecchio ed escono dall’altro (le medesime di cui è zeppo il suo programma elettorale), ma la prima cosa che ha detto è questa: «Io leg­go sempre il Giornale ». «Per masochismo?», ho fatto io. «Per me, è indispensabile. Ca­pisco come la pensa la destra e ho notizie che non trovo al­trove. Sulla giustizia in parti­colare ». Voi sapete quanto il Giornale sia garantista, bé Giuliano lo è di più. È il primo a essere offeso che il codice di procedura concepito dal pa­dre sia stato tradito dai magi­strati. «Era previsto Perry Ma­son, ci siamo ritrovati con Di Pietro»,è l’amara ironia degli avvocati dalle Alpi al Lilibeo. Pisapia è favorevole alla sepa­razione delle carriere, al di­vieto di appello in caso di as­soluzione, a cancellare il rea­to «inventato» di concorso esterno in associazione ma­fiosa, puro parto di fantasia toghesca. Difende la riserva­tezza contro gli spifferi delle procure e l’orgia delle inter­cettazioni. «È il processo che è pubblico, non le indagini», dice. Ha anche scritto un li­bro con Carlo Nordio, il pm veneziano agli antipodi dei Di Pietro e compagnia. È, in­somma, un estremista del ga­rantismo alla Berlusca. Tan­to che il commendator Trava­glio gli lancia la beffarda con­tumelia di «turbogarantista». Per queste posizioni, Giulia­no, che era il Guardasigilli in pectore di Prodi nel 2006, ha perso la poltrona, in favore del più gommoso Clemente Mastella. D’accordo,è un eco-comu­nista, gli piace Guevara, stra­vede per Castro, ci vuole tutti in bici e le sue idee in genere sono un casino. È ovviamen­te un fiero antiberlusconia­no, come tutta la famiglia. Per la lettura del Giornale , i fratelli gli fanno il muso. Pen­so che lo stesso faccia la mo­glie republiconas. Ma l’ante­marcia dell’anti Cav è stato il babbo, Giandomenico. Re­pubblicano vicino a Ugo La Malfa, per il quale fu candida­to (anni ’70) e di cui ha difeso il figlio, Giorgio, in Tangento­poli, si fece subito girare gli ze­bed­ei quando il Berlusca sce­se in politica. Di fronte alla no­vità, rimase sconcertato ed ebbe la tipica reazione del benpensante, alle soglie de­gli novanta: meglio la strada vecchia della nuova. Così si candidò con la sinistra - che nel 1994 significava Achille Occhetto - per il Senato. Non fu eletto e l’anno dopo morì. Ci è rimasto Giuliano che sarebbe un buon lascito, spe­cie come avvocato, se non fos­se, ahimè, infarcito di vendo­lismo. Come candidato ha fat­to tre promesse chiare: la nuo­va moschea; il leoncavallino Daniele Farina in consiglio comunale; stanze del buco per tossici sparse qua e là. E un profluvio di farlocche: re­spirare cultura; ossigeno per economia e lavoro; verde dif­fuso; verde partecipato; beni agricoli di prossimità; soste­nibilità qui; creatività là. Su queste panzane si gioca il se­condo turno. E lo spazio per il ribaltone c’è tutto.