Massimo Gaggi, Corriere della Sera 20/5/2011, 20 maggio 2011
IL «CONTROMANIFESTO» SULL’ACQUA LIBERA
«L’acqua gratis è un disastro silenzioso». Charles Fishman, giornalista americano in questi giorni in Italia, racconta a platee sparute la sua verità: «Siamo viziati dal successo degli acquedotti costruiti cento anni fa. Per noi sono invisibili: questa è la misura del loro successo. Che, però, ci fa pensare che l’acqua ci sarà sempre. Invece quel sistema invecchiato ormai perde molto di ciò che trasporta mente i consumi esplodono» .
La soluzione? Dare un prezzo realistico all’acqua per rendere il suo uso efficiente, dice Fishman. Il messaggio di un emissario delle multinazionali spedito in Italia a fare campagna alla vigilia del referendum sui servizi idrici? Non esattamente. Fishman è un saggista celebre, attento ai problemi sociali, osannato dalla sinistra americana per il suo Wal-Mart, il costo nascosto della convenienza, un libro sugli eccessi del gigante del commercio Usa, scelto nel 2006 dall’Economist come saggio dell’anno.
Qualche settimana fa Fishman ha pubblicato negli Stati Uniti La grande sete: un bilancio di come l’umanità usa, spesso spreca, talvolta impara a risparmiare, quella cosa preziosa che è l’acqua. L’era in cui questa risorsa era illimitata, a buon mercato e pulita è finita, dice Fishman che ora sta presentando l’edizione italiana (Egea Editore). Parole che, per alcuni, possono avere il sapore di un «contromanifesto» politico. Chi lo sente parlare della necessità di imporre un prezzo significativo non solo alle industrie che consumano enormi volumi d’acqua, ma pure alle famiglie (anche povere) oggi non invogliate a risparmiare e riciclare, tende a contrapporre le sue parole a quelle di alcuni missionari che incitano a un risveglio delle coscienze: raccontano storie della compravendita della terra e dell’acqua in America Latina, parlano di nuovo colonialismo idrico, avvertono che privatizzare ciò che fin qui è stato libero come l’aria aumenterà la sofferenza dei poveri e cambierà la vita di tutti.
Anche Fishman parla di abusi delle imprese e di sofferenze, ma i poveri che lui ha incontrato sono quelli dei villaggi indiani che, stremati dal trasporto della poca acqua gratuita che esce a singhiozzo da acquedotti lontani, ha preferito tassarsi e scavare pozzi. Gente che ora spende buona parte del suo reddito per l’acqua, ma evita epidemie, le donne non trascinano più serbatoi per miglia, i ragazzi finalmente tornano a scuola.
Non è detto che l’esperienza indiana sia esportabile ovunque o che col privato le risorse siano sempre distribuite al meglio. Dove la spazzatura diventa business criminale anche l’acqua rischia. Ma quello di Fishman è un potente invito a ragionare in termini di efficienza e senza pregiudizi: i campi da golf di Las Vegas, il verde nel deserto, sembrano una follia. Dietro, dice Fishman, c’è invece la capacità di quella città di riciclare il 93% dell’acqua consumata. Nessuno in America riesce a fare altrettanto.
Massimo Gaggi