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 2011  maggio 20 Venerdì calendario

FINANZA RAPACE

Ci sono troppi soldi in giro. Li hanno distribuiti banche centrali esageratamente generose nei loro sforzi di risollevare il mondo dalla crisi, li hanno incassati i soliti maghi della finanza (resi an­cora più arditi dal sortilegio dei salvataggi di Stato), li stanno puntando sul petrolio, sul cibo, sull’insolven­za degli Stati. Li stiamo pagando tutti: cittadini si­multaneamente finanziatori e vittime del grande gio­co della speculazione. «Sono tornati i bankers, la speculazione è a piede li­bero » aveva detto Giulio Tremonti a ottobre da New York, liquidando con un inglese dispregiativo i ma­nager e i banchieri d’affari che giravano attorno ai la­vori dell’assemblea del Fondo monetario internazio­nale come se non fossero stati proprio loro a scatenare la crisi. Da quel momento il ministro italiano è stato tra i più determinati nemici della nuova ondata di spe­culazione. Nell’interpretazione di Tremonti ci sono i giochi degli speculatori dietro quasi tutti i rischi che incombono sulla fragile ripresa globale: la corsa del greggio, quella dei prezzi alimentari, le scommesse sull’insolvenza degli Stati dell’euro. Non che la vola­ta dei prezzi sia tutta riconducibile alla speculazione, ma le scommesse dei bankers alimentano tendenze altrimenti più moderate. L’allarme è alto. Anche Be­nedetto XVI lo ha sottolineato, lunedì scorso, rice­vendo i partecipanti al Congresso del Pontificio Con­siglio Giustizia e Pace, che festeggiava il 50esimo an­niversario dell’Enciclica Mater et magistra. Sono preoccupanti, ha detto il Papa, «i fenomeni legati ad una finanza che, dopo la fase più acuta della crisi, è tornata a praticare con frenesia dei contratti di credi­to che spesso consentono una speculazione senza li­miti ». Non è solo un problema etico, ha chiarito Be­nedetto XVI, perché la speculazioni colpisce anche il cibo, l’acqua, la terra, «finendo per impoverire ancor di più coloro che già vivono in situazioni di grave pre­carietà ». Non tutti trovano pericolosa questa nuova vitalità del­la speculazione internazionale. La vedono diversa­mente – e da mesi lo scrivono – le più prestigiose te­state economiche internazionali: Wall Street Journal, Economist, Financial Times. Ma tra i ministri e i capi di Stato la visione tremontiana gode di ampio con­senso. Nicolas Sarkozy vuole che dalla presidenza fran­cese del G20 arrivi una tassa internazionale contro la speculazione sulle materie prime. Angela Merkel è pronta a dare il suo contributo. Barack Obama ha pro­messo una lotta agli «speculatori senza scrupoli». Ma­rio Draghi – da guida del Financial stability Board e pre­sidente in pectore della Bce – ha denunciato la neces­sità di frenare il ritorno «dell’azzardo morale», inteso come la convinzione di potere rischiare perché anche se le cose andassero male non se ne pagherebbero le conseguenze. «Capitalismo casinò» lo chiamava Key­nes negli anni Trenta, quando l’ingegneria finanziaria non aveva certo raggiunto la sofisticazione attuale.
Che la speculazione sia tornata lo dicono, inesorabili, i numeri. Proprio Tremonti, lo scorso ottobre, aveva mostrato le cifre della Banca dei regolamenti interna­zionali: erano gli ultimi dati disponibili e dicevano che il valore complessivo dei contratti derivati che si muo­vono fuori dalle piattaforme convenzionali era risali­to fino a 25 mila miliardi di dollari. Un valore perico­losamente vicino ai 30 mila miliardi del sistema ban­cario internazionale. Significa che per ogni dollaro scambiato nelle borse c’è un altro dollaro investito in derivati sul petrolio, sui tassi di cambio, sull’insolven­za degli Stati o su giochi sui tassi di interesse. Sono contratti che sfuggono ad ogni controllo – e infatti lo chiamano il «sistema bancario ombra» – ma che han­no il potere di orientare l’economia mondiale. Ave­vano toccato un picco di 35mila miliardi nel 2008, erano scesi fino a 20 miliardi nel 2009, ora stanno risalendo.
Le banche, poi, anche in Italia, hanno ricomin­ciato a cartolarizzare i mutui. A impacchettare cioè i prestiti concessi ai clienti e a rivenderli a investitori istituzionali attraverso i Cdo. Proprio quegli strumenti finanziari che hanno contri­buito a creare la bolla dei mutui subprime e ad amplificare gli effetti dello scoppio.
Ai numeri del sistema ombra si aggiunge u­na terza spia dell’arrembaggio speculativo: i profitti di Wall Street, comunicati a fine feb­braio da Thomas Di Napoli, il ’garante’ dei soldi dei contribuenti di New York. A 27,6 miliardi di dollari i guadagni della borsa america­na lo scorso anno sono stati i più alti di sempre, escluso solo il 2009 (il cui dato di 61 miliar­di, però, è altera­to dai salvataggi di Stato). E se il bonus medio pagato ai di­pendenti è di­minuito del 9% è solo perché i paga­menti sono stati riequilibrati per esse­re meglio celati agli occhi della pubbli­ca opinione: difatti il compenso totale medio è au­mentato del 6%. Eppure anche le cifre incassate dai principali mana­ger delle banche d’affari – Lloyd Blankfein, il più po­tente, quello di Goldman Sachs, ha avuto 12,6 milio­ni di dollari – impallidiscono davanti agli incassi de­gli speculatori ’seri’: i gestori degli hedge fund. John Paulson, del Paulson Investment, il fondo speculati­vo più grosso del mondo, nel 2010 ha guadagnato per­sonalmente 5 miliardi di dollari. Una cifra che l’in­gessato
Wall Street Journal ha definito «epocale». Tra i suoi colleghi non ci si sorprende: anche gli altri gran­di gestori sono riusciti a guadagnare i loro 2-3 miliar­di. Tutto merito della speculazione sui mercati non re­golati, quello che gli hedge fund sanno fare meglio. Oggi questi fondi gestiscono 1.920 miliardi di dollari, il 20% in più rispetto a un anno fa. È una cifra di poco inferiore al Pil italiano che, a seconda di dove viene in­dirizzata, segna la rotta economica del pianeta. Al­meno fino a quando glielo lasceranno fare.