Marco Cicala, il venerdì 20/5/2011, 20 maggio 2011
BILIARDINI, I GIOCHI EXTRALUSSO CHE SONO UN CALCETTO ALLA MISERIA - GALLARATE
(Varese). I filosofi
la chiamerebbero eterogenesi
dei fini. In sostanza,
la formula vuol dire che
voi fate qualcosa con l’intenzione
di ottenere un
certo scopo, ma poi ne raggiungete un
altro che non vi sareste immaginati e,
tutto sommato, è addirittura meglio.
È andata più o meno così a Gianfranco
e Gregg, architetti, designer. Anni fa
s’erano inventati degli strani oggetti: mobili
liquidi. Non pensate ad armadi o trumeau
che si versano da una bottiglia. Si
tratta, invece, di tavoli dove il liquido colorato
è contenuto nel ripiano. E, appena
vi ci appoggiate, ecco formarsi o scomporsi
curiose macchie ectoplasmatiche.
A Gianfranco e Gregg sembrava che
l’idea potesse funzionare. La misero in
commercio. Ma, per attirareclienti in fiere e saloni, pensarono di accompagnarla
con un altro oggetto di richiamo,
puramente ludico e non in vendita:
un calcio balilla futuribile, tutto trasparente.
Risultato: i mobili liquidi venivano
praticamente snobbati dal pubblico,
mentre il fanta-biliardino ipnotizzava
i curiosi. Oggi, il «giocattolone» è l’articolo
più richiesto della bLab Italia,
azienda laboratorio con sede a Gallarate.
La storia è piena di gente che scommette
su una cosa ma sfonda con un’altra.
In quei casi che fai? Buon viso a cattivo
gioco. E qui il gioco non è esattamente
da ragazzi. Perché il biliardino
marchiato bLab costa quanto la metà
degli italiani dichiara di guadagnare in
un anno: quindicimila euro. Insomma
non è roba da oratorio o dopolavoro.
Chissà che ne avrebbe pensato Alejandro
Finisterre, lo spagnolo (1919-2007)
che negli anni Trenta inventò il calcio
balilla come svago per i ragazzini mutilati
dalla Guerra civile.
La collezione Teckell produce biliardini,
disegnati dai fratelli Adriano, in «cristallo
extrachiaro temperato» o con «vasca
diamantata». Però è quello con stecche
e giocatori ricoperti d’oro ad andare
davvero «a ruba».
Gli acquirenti? «Non è gente particolarmente
ricca: ma ultraricca» spiega
Gregg Brodarick. Qualche nome? Innanzitutto
quel buontempone di Guy Laliberté,
magnate canadese, nababbo numero
261 al mondo nella classifica Forbes
2009. Uno che non gioca in borsa perché
le preferisce i pokeroni professionali. È
stato fra i primi turisti del cosmo. Nell’ottobre
di due anni fa, una scampagnata
sulla Stazione spaziale internazionale gli
costò 35 milioni di dollari. Volava a bordo
di una navicella arredata come una suite
dell’Hilton. Secondo le biografie più accreditate
sarebbe proprietario di quattro
Ferrari, due aerei privati e una barca a
vela Zodiac con eliporto incorporato,
non si sa mai. Un tizio del genere avrebbe
potuto forse resistere alla tentazione
del calcetto Goldfinger?
Epperò il pezzo fa strage di giocherelloni
soprattutto in un altro continente:
quello dei petroldollari. Lo scorso inverno
il re saudita Abdullah è andato per
qualche mese a New York a rimettersi a
posto la schiena ultraottuagenaria. E siccome
dopo una lunga assenza non puoi
non riportare a casa qualche sciocchezzuola
per parenti e amici, lui ha fatto uno
shopping da par suo. Oltre al biliardino
d’oro, ha comprato capriccetti «da riempirci
venti tir. Per recapitarli a destinazione
ci son voluti sette aerei» dice Brodarick. Che ha 42 anni e viene dal
Kentucky. Però il suo piccolo Klondike l’-
ha trovato nel Varesotto. Di concerto col
socio Gianfranco Barban, che discende
da una lunga stirpe, autoctona, di falegnami.
Gregg tifa Inter. E racconta che
l’ultimo calcio balilla è stato acquistato
dal mister nerazzurro Leonardo. Al termine
di un’asta i cui proventi sono stati
versati alla fondazione pro Africa di Samuel
Eto’o.
Un biliardino tradizionale (tra le
aziende di punta c’è l’italiana Garlando)
costa fra i tre e i cinquecento
euro, mentre per il modello
più proletario della collezione
Teckell ce ne vogliono 10.500
(5.500 la versione mini). È
tutta roba realizzata a mano,
che dà da lavorare a un microindotto
di una trentina di
artigiani operanti in un raggio
di venti chilometri attorno
a Gallarate. Al 95 per cento sono gioielli
da esportazione. Esposti da Harrods
a Londra e in altri epicentri dell’opulenza,
Saint-Tropez, Zurigo, Hong Kong...
Casomai voleste dare un’occhiatina, li
trovate in Concept Store, neoparola che
sta a indicare negozi nei quali non si vende
semplicemente una merce ma un’idea,
uno stile di vita, una Weltanschauung della
società, dove tutto è calma, lusso e voluttà.
Si dirà: in epoche di crisi il consumo
del superfluo non va a catafascio?
Forse. Ma qui siamo in un altro universo:
quello del totalmente inutile. Che non conosce
recessioni. Essendo destinato a un
iperuranio di oligarchi che col pianeta
Terra hanno tutt’al più rapporti saltuari.
Se non altro perché vivono in aereo. Sono
loro i lettori di Toys for Boys, una corposa
rivista che intravedi sui tavoli della bLab
e che è una sorta di catalogo Postal Market
per straricchi. Parure, panfili, jet e naturalmente
il biliardino Teckell. Che, tutto
artigianale, è uno schiaffo
all’elettronica dei videogiochi
ma pure un calcetto alla miseria.
Non ne troverete nelle,
pur accessoriatissime, tavernette
brianzole: per una partitella
bisogna farsi invitare come
minimo a corte da un emiro.
O magari capitare dalle
parti di Gallarate.
Due tiri? No, decliniamo l’invito per
paura di rovinare il prezioso. Materiali a
parte, l’unica differenza coi biliardini da
parrocchia sapete qual è? Che il rumore
del gol non è un pok! È un non-rumore.
Perché al posto della buca ci sono reti
autentiche. Che si gonfiano ma restano
afone. Appena un soffio. Nel silenzio cristallizzato
della ricchezza.