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 2011  maggio 19 Giovedì calendario

PERCHÉ UN NOBILE VULCANO NON È UN INCENERITORE

A proposito della lettera in cui si proponeva di utilizzare l’Etna per risolvere le varie crisi dei rifiuti, ritengo che Lei avrebbe ben ragione di sentire ripugnanza, nel caso lo si facesse. Non sono uno scienziato saputello, ma un vecchio vulcanologo in pensione dell’Osservatorio Vesuviano, il più antico osservatorio vulcanologico del mondo fondato dai Borbone nel 1841. Sono del parere che il solo porre una questione del genere sia il segno di una cultura che ha ormai irrimediabilmente e orrendamente dimenticato il valore simbolico di quegli straordinari elementi costitutivi del paesaggio che sono i vulcani, cui tra l’altro si ricollegano miti fondamentali dell’Umanità. Non a caso in America i vulcani sono definiti monumenti nazionali. Chi non sarebbe preso per pazzo se proponesse di gettare immondizia davanti al quadro della Gioconda al Louvre? E perché alcuni luoghi, faccio l’esempio delle Foreste Casentinesi, sono da considerare riserve integrali intoccabili e non, a maggior ragione, luoghi come i vulcani? Nel merito aggiungo solo che l’Etna, il Vesuvio o i Campi Flegrei, tutti, ricordo, parchi naturali, sono luoghi straordinari e attraggono cospicue masse di turisti, che non dovrebbero certo essere costretti a «orripilarsi». Ricordo infine, brevemente, che: 1) la spazzatura è molto meno densa del magma e quindi galleggerebbe su di esso e non ne verrebbe inglobata; 2) i gas che si sprigionerebbero dalla combustione, che non sarebbero certo gradevoli all’olfatto, altererebbero la natura ed il valore delle specie gassose che emanano dal cratere falsando i dati del monitoraggio geochimico, rendendolo inaffidabile e con ciò pregiudicando il fine stesso della sorveglianza vulcanica.
Antonio Nazzaro Avellino

Caro Nazzaro,
la proposta di fare dell’Etna un grande inceneritore naturale e la mia risposta hanno provocato una piccola cascata di lettere di cui alcune ironiche e altre serie o semiserie. Qualcuno sostiene che gli elicotteri per il trasporto dei rifiuti sarebbero molto costosi, ma qualcuno propone addirittura di inviarli nello spazio dove le spedizioni degli ultimi decenni hanno già accumulato una massa considerevole di spazzatura extraterrestre. Ho scelto la sua lettera, caro Nazzaro, perché lei ha almeno due buoni titoli per intervenire nella discussione con argomenti non soltanto pittoreschi e folcloristici. In primo luogo lei ha lavorato nell’Osservatorio Vesuviano, fondato da Ferdinando II di Borbone nel 1841 quando Napoli poteva vantare un primato europeo in alcune discipline fra cui la meteorologia e l’oceanografia. Come lei ricorda, l’Osservatorio fu il primo istituto del genere al mondo ed è dal 2001, aggiungo, la sezione napoletana dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. In secondo luogo, lei ha scritto recentemente un libro («Il rischio Vesuvio. Geodiversità di un Vulcano», pubblicato dall’editore Guida di Napoli) che Raffaele La Capria ha segnalato ai lettori del Corriere del Mezzogiorno in un articolo apparso il 28 marzo 2011. Fra l’Etna e il Vesuvio corre naturalmente una fondamentale differenza. Il primo è attivo, il secondo dorme dal 1944, ma potrebbe svegliarsi e minacciare le migliaia di case che sono state costruite sui suoi pendii. A questo rischio, per l’appunto, è dedicata una parte del suo libro. Per queste ragioni lascio a lei il compito di spiegare perché i vulcani vanno trattati con rispetto e onorati come monumenti nazionali.
Sergio Romano