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 2011  maggio 19 Giovedì calendario

SCEGLIERE LA SCUOLA? ECCO LA FORMULA —

Può una formula matematica risolvere (alcuni dei) problemi che la scuola pubblica deve affrontare giorno dopo giorno — sovraffollamento, fondi distribuiti a casaccio, ghettizzazione degli alunni «difficili» — e che col tempo si sono ormai trasformati da contingenti a strutturali? Caroline Hoxby, economista a Stanford, crede di sì. A Milano per la seconda Bocconi Lecture, si presta volentieri a «tradurre» ai non addetti ai lavori l’algoritmo su cui si basa la sua teoria: i mercati possono risolvere i problemi chiave dell’investimento nell’istruzione.
Partendo da una considerazione di base: «Italia e Stati Uniti sono in una situazione simile. Entrambi abbiamo bisogno che le nostre scuole siano di qualità, in entrambi i casi non stiamo raccogliendo buone performance internazionali» . Detto questo, il mercato che c’entra con la scuola pubblica? La Hoxby rilancia con una domanda: «Perché non diciamo alle famiglie "andate a comprarvi l’educazione migliore"allo stesso modo in cui diciamo "andate a comprarvi il cibo migliore"? Per molte ragioni: le famiglie più povere potrebbero non mandare del tutto i bimbi a scuola, chi ha un figlio con gravi disabilità rischierebbe di non potersi permettere un’educazione adatta... Inoltre, che accadrebbe se una scuola fosse pessima, ma in pochi lo sapessero? Il laissez-faire, il mercato che si autogoverna, non funziona in ambito educativo» .
Ed ecco subentrare il modello proposto dalla Hoxby. L’idea di partenza è molto semplice: «Noi acquistiamo non solo in base a quello che sappiamo, bensì tenendo in considerazione le opinioni che altri hanno espresso sullo stesso prodotto» . E chi detiene informazioni rilevanti, nel momento in cui si tratta di «abbinare» un bambino a una potenziale scuola? Due attori, principalmente: i genitori, la scuola stessa. «L’idea è dunque di utilizzare i mercati per estrarre l’informazione in possesso delle famiglie e quella in possesso delle scuole, e di far sì che sia utilizzata per migliorare il sistema» . Come funziona? Presto detto: «Qui in Italia, in teoria è possibile scegliere tra istituti diversi nella propria area, ma di fatto alcuni saranno sovraffollati. Applicando questo sistema, invece, a ogni studente e a ogni scuola viene chiesto di elaborare una graduatoria, l’uno sugli istituti desiderati, l’altra sugli alunni che vorrebbe. L’algoritmo mappa entrambi, dando però la priorità alle "preferenze"degli studenti» . Conclusione: «I ragazzi otterranno sempre la "prima scelta", e gli unici a poterli scalzare saranno gli studenti che in più saranno stati indicati come preferiti dalla scuola stessa» .
Oltre a risolvere il problema delle liste d’attesa (e degli stratagemmi per aggirarle), il sistema avrebbe anche altri vantaggi. Il primo: «A oggi, nessuno usa i dati esistenti per capire come mai certe scuole siano più richieste di altre. Se la scuola A ha il doppio di aspiranti studenti della B, forse sta facendo qualcosa di giusto che l’altra non fa, e forse dovremmo espandere l’una e ridurre l’altra» . Il secondo: «Alcune tipologie di studenti sono più "costose"da educare— chi non parla l’italiano, un ragazzo disabile, ma anche chi viene da una famiglia priva di risorse —; dobbiamo evitare che le scuole li rifiutino. Oggi, il governo distribuisce fondi extra senza sapere se sono usati in maniera corretta. I mercati consentirebbero di determinare qual è la cifra giusta da investire» . Non solo: «Il mercato sarebbe anche in grado di offrire una stima su quanto un governo debba investire, a livello generale, nell’educazione» .
Irrealizzabile? Tutt’altro: la città di New York sta già applicando da tempo un modello simile, «i genitori compilano una scheda con la graduatoria delle scuole, l’algoritmo viene applicato al database. In 5 minuti è fatta. Nessun calcolo strategico su scuole di "seconda scelta"ma meno affollate: il mercato se ne prende cura, e lo studente otterrà sempre il meglio secondo le sue richieste» . In America, molti presidi sembrano interessati. E in Italia? «Serve una città che faccia da capofila, le altre seguiranno. Milano, in questo senso, mi sembrerebbe adatta per iniziare» .
Gabriela Jacomella