Sergio Romano, Corriere della Sera 19/05/2011, 19 maggio 2011
LA POSSIBILITA’ DI UN DIVORZIO
Per Silvio Berlusconi le ultime dichiarazioni di Umberto Bossi sono solo parzialmente rassicuranti. Gli avrà fatto piacere apprendere che il leader della Lega non intende approfittare dei mediocri risultati di Milano e Bologna per mettere in discussione la sorte del governo. Ma avrà notato che certe parole («abbiamo sbagliato campagna elettorale… non ci faremo trascinare a fondo» ) esprimono amarezza e, implicitamente, un giudizio negativo sullo stile del presidente del Consiglio. Berlusconi non può ignorare che il matrimonio di convenienza fra la Lega e Forza Italia ha sempre nascosto una fondamentale differenza fra le strategie dei due leader. Bossi ha sempre pensato soprattutto alla conquista del Nord. A un certo punto, nella seconda metà degli anni Novanta, quando credette che l’Italia avrebbe fallito l’operazione euro, si spinse sino a prospettare l’ipotesi della secessione. Abbandonò l’idea non appena capì che il progetto, dopo il successo della politica di Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi, sarebbe stato poco realistico. Ma continuò a concentrare tutta la sua attenzione sul Nord e stipulò un patto di governo con Berlusconi per due ragioni. Perché sperava, in primo luogo, che la collaborazione gli avrebbe permesso di realizzare il suo progetto federalista e perché sapeva, in secondo luogo, di potere contare sull’amicizia vigilante di Giulio Tremonti. Berlusconi aveva altre ambizioni e strategie. Voleva essere un leader nazionale e sapeva che nessuno può governare l’Italia senza i voti del Sud: una esigenza che ha costretto quasi tutti i governi italiani ad accettare compromessi inconfessabili con i partiti clientelari del Meridione. Fra i due leader, quindi, vi è sempre stato un conflitto potenziale, acuito dal fatto che molti dei loro rispettivi elettori provengono dalle stesse regioni, hanno la stessa matrice sociale e possono passare senza troppe difficoltà da un partito all’altro. Non può sorprendere Berlusconi, quindi, il fatto che Bossi, in questo momento, s’interroghi sull’utilità del matrimonio. Perdere Milano, per il leader della Lega, sarebbe ancora più grave di quanto non sia per Berlusconi. Dimostrerebbe che le radici della Lega nel Nord, dopo tanti sforzi e tanto impegno, sono ancora fragili. Il secondo turno di Milano assume così una maggiore importanza nazionale. Non ci dirà soltanto il nome del sindaco scelto dai milanesi. Aprirà una nuova fase nei rapporti fra Bossi e Berlusconi, e forse, in prospettiva, la possibilità di un divorzio. La fase coincide con un periodo in cui i due leader dovrebbero anche chiedersi, nell’interesse del Paese, come intendono concludere la loro vita politica, quali ricordi desiderano lasciare del loro lavoro, chi debba ereditarne la parte incompiuta. In altri Paesi, più felici del nostro, questo avverrebbe grazie a meccanismi ben collaudati come quello che ha promosso il giovane Ed Miliband alla guida del partito laburista britannico dopo il ritiro di Gordon Brown. Ma in Italia esistono partiti personali creati e diretti da uomini che ne sono, per certi aspetti, proprietari. Ci piacerebbe che questi uomini pensassero seriamente alla loro successione e al futuro dei loro partiti. Anche per rispetto degli elettori, oggi un po’ smarriti.
Sergio Romano