Stefano Montefiori, Corriere della Sera 18/5/2011, 18 maggio 2011
A Parigi è l’ora dello sdegno: «Linciaggio» - «Giudice e procuratore americani si sono voluti prendere una soddisfazione con un francese
A Parigi è l’ora dello sdegno: «Linciaggio» - «Giudice e procuratore americani si sono voluti prendere una soddisfazione con un francese. Per giunta famoso, a capo di una grande istituzione internazionale. Io amo la democrazia americana, ma il loro sistema giudiziario è un inferno» . Lo storico ministro della Cultura (per quasi vent’anni) Jacques Lang era l’amico fraterno di François Mitterrand, unico e grande presidente socialista della V Repubblica ed è oggi, ancora, amico di Dominique Strauss-Kahn, l’uomo che avrebbe potuto rinnovare il miracolo mitterrandiano della sinistra all’Eliseo. Nella frase di Lang c’è tutta la rabbia di vedere un compagno alla sbarra, con la barba lunga e lo sguardo distrutto. E c’è anche, quasi inevitabile, il vecchio riflesso che fa di Stati Uniti e Francia nazioni destinate ad affascinarsi e a detestarsi. A Parigi è il momento dello sdegno. Più per le manette imposte dagli americani al francese DSK — presunto innocente — che per le violenze denunciate dalla vittima — anch’essa presunta — Nafissatou Diallo. In attesa del processo, che stabilirà chi dice il vero e chi mente, gli amici del direttore del Fmi denunciano la barbarie, il linciaggio, la violenza di una giustizia che mette un semplice accusato alla berlina. «I fatti ancora non sono stati accertati — protesta Lang — e già Strauss-Kahn viene trattato come un condannato. Nessun crimine al mondo giustificherebbe un tale disprezzo della dignità umana» . A disgustare Lang è soprattutto la disparità di trattamento tra l’accusa e la difesa. «Da 48 ore il mondo intero è bombardato dalle immagini di un uomo trattato come un animale, immagini che solleticano il piacere perverso di vedere il potente trascinato nella polvere. Ascoltiamo senza interruzione i capi d’accusa, vediamo Strauss-Kahn uscire dal commissariato affiancato dai poliziotti e stretto nelle manette, le telecamere lo inseguono persino davanti al giudice. Tutto questo è indecente, nel momento in cui non gli viene data la possibilità di parlare per difendersi, e la persona che lo accusa gode di tutte le protezioni, a partire da quella della sua identità. L’uguaglianza non è mettere al giogo i potenti come gli umili. L’uguaglianza, come noi francesi la conosciamo dal 1789, dalla Rivoluzione, è garantire pari diritti alle due parti in causa» . Invece, da una parte il viso fiero ma stanco, ripreso da ogni angolazione, di DSK. Dall’altra la fotografia in bianco in nero di un lenzuolo bianco, sotto il quale viene nascosta e protetta Nafissatou Diallo. In America lo chiamano il perp walk: è la camminata fuori dal commissariato di colui che avrebbe perpetrato il crimine. Non è un uso previsto dal codice, ma una pratica nella quale divenne maestro negli anni Ottanta Rudolph Giuliani, all’epoca procuratore generale di Manhattan. Il perp walk sotto i riflettori divenne la gogna riservata di preferenza agli squali di Wall Street, di recente applicata anche al governatore dell’Illinois Ron Blagojevich o a Ken Lay, il capo di Enron. «Giudici e procuratori sono cariche elettive— ricorda Lang —: dando uno schiaffo al ricco francese, i magistrati cercano il consenso popolare» . Robert Badinter, il ministro della Giustizia che nel 1981 realizzò l’impresa di mettere al bando la ghigliottina, parla di «condanna a morte mediatica» . «È una vergogna, questa è la parodia della giustizia uguale per tutti, è la distruzione deliberata di un uomo prima ancora che sia dimostrata la sua colpevolezza» . In Francia, in base alla legge Guigou, le riprese di DSK agli arresti non avrebbero potuto essere realizzate. E dopo la denuncia di Bernard Henri Lévy sul Corriere di ieri, un altro grande intellettuale di sinistra, Jean Daniel, alza i toni sul Nouvel Observateur: «La sorte inflitta a Strauss-Kahn dalla giustizia americana mi fa pensare che il popolo americano e noi non apparteniamo alla stessa civiltà» . Negli Stati Uniti, invece, ci si indigna per l’indignazione dei francesi. E senza andare a ripescare lo sbarco in Normandia e il «tradimento» di Chirac sulla guerra in Iraq, il precedente che pesa come un macigno è il caso Polanski. «La mia unica paura è che possa scappare» , ha detto di DSK la giudice Melissa Jackson, rifiutando la libertà su cauzione. La mancata estradizione di Polanski (che vive a Parigi) negli Stati Uniti per la violenza su una tredicenne nel 1977 non è mai andata giù agli americani. E lo scrittore Philip Gourevitch, sul New Yorker, ironizza su quel modo che hanno i francesi di sottolineare come Strauss-Kahn sia stato fatto uscire in manette «dal commissariato di Harlem, Harlem!» , ripetuto due volte, come se per un champagne socialist la vera pena fosse il finire nei bassifondi. Sembra il «Falò delle vanità» di Tom Wolfe, ma stavolta è una storia vera.