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 2011  maggio 15 Domenica calendario

LE NOSTRE ORIGINI SCRITTE NEL DNA

Quando ha inizio la Storia? I professionisti delle "scienze storiche" si troverebbero in difficoltà a definire i confini tra storia, preistoria e protostoria di fronte all’emergere di concetti quali macrostoria e "Big History." Se anche il Big Bang fa parte della Storia, collegato a evoluzione umana e progresso sociale da una catena di eventi geologici, biologici, ed ecologici, l’ambito della Storia, pur restando risolutamente antropocentrico, diventa onnicomprensivo. L’ampliamento dell’orizzonte storico a zone situate oltre la linea d’ombra delle civiltà, e il conseguente indebolimento di tradizionali barriere epistemologiche tra un mondo illuminato da fonti scritte e uno materiale fatto di pietra, terracotta e rame, ha costretto storia e preistoria a coesistere in un rapporto non particolarmente amichevole. Lo sfocarsi delle linee di confine tra un passato umano che ci ha lasciato vivide testimonianze e uno che emerge dal fieldwork di archeologi e antropologi sta cambiando il presente e il futuro del mondo antico. Nuovi strumenti scientifici, analisi statistiche e test di laboratorio utilizzati per raccogliere dati sul passato umano e terrestre pongono allo storico tradizionale una domanda: cosa fare di tutti i dati tecnici oggi disponibili? Che fare della montagna di dati sfornati da laboratori specializzati in genetica, fotografia satellitare e Gis, datazione al carbonio, dendrocronologia, e analisi metallografiche? I ricercatori delle "archeoscienze" si pongono in una posizione del tutto indipendente rispetto agli storici nonostante affrontino questioni storiche. Un ambito importante è l’identificazione dei percorsi e dei modelli di diffusione e interazione di popolazioni umane, da tempo perseguito dai genetisti. La mappatura di migrazioni dalla remota antichità fino al medioevo può e dovrebbe diventare uno strumento d’indagine importante per lo storico.

È un fatto certo che le antiche popolazione nomadi dell’Asia centrale e orientale abbiano avuto un ruolo molto importante nella storia di varie civiltà, pur non avendo lasciato tracce scritte. Oggi è possibile trovare nelle riviste scientifiche di biologia, genetica umana e antropologia fisica una miniera di dati che, se propriamente contestualizzati, potrebbero svelare i misteri sulle origini di popoli nomadi, e sulle loro migrazioni, e conquiste. Nella storia del mondo i nomadi, costituiti come popoli, regni, confederazioni tribali e imperi hanno avuto un impatto innegabile. Chiedersi quindi quali siano le origini di una tradizione imperiale che, passando per Turchi, Uiguri e Mongoli arriva, con gli ottomani e i Manciù, fino alla nostra modernità, non è una domanda banale.

Il primo impero nomade riconosciuto storicamente come tale (e ritenuto già da Edward Gibbon un evento legato da nessi causali alle invasioni barbariche dell’impero romano) è quello creato nel 209 a.C. dagli Xiongnu ai confini della Cina settentrionale. Per capirne la genesi bisognerebbe quindi essere in grado di ricostruirne le interazioni con altre popolazioni attraverso commercio, guerra, fusioni e assimilazioni. Dati sulla composizione genetica dei "Xiongnu" potrebbero permetterci di stabilire connessioni più certe tra popolazioni diverse, che altrimenti verrebbero ricostruiti solo sulla base della loro cultura materiale. In breve, una mappa genetica delle popolazioni nomadi del primo millennio a.C. dagli Sciti del Mar Nero ai Xiongnu della Cina potrebbe darci informazioni cruciali su come il "mondo nomade" si sia evoluto, e di conseguenza sulla formazione di strutture e culture imperiali interne a quel mondo.

Come può uno storico, quindi, utilizzare dati genetici? La prima impressione è che questi studi ci diano al contempo troppo e troppo poco. Da un lato richiedono conoscenze scientifiche altamente specializzate (come è normale che sia) che naturalmente scoraggiano il profano. Allo stesso tempo si basano spesso su campioni molto ridotti (a volte solo uno o due individui), e i risultati vengono quindi proposti e recepiti con notevoli riserve. Ma per lo storico l’aspetto più complesso è un altro.

I dati ricavati dai genetisti vengono senza eccezione incastonati in una cornice storico-antropologica che in teoria dovrebbe aiutare a esplicarli ma di fatto ne falsa molto spesso il significato. La forma stessa dello studio scientifico richiede una premessa e una conclusione finale dei risultati che è pesantemente influenzata dalla discussione storica. In ultima istanza, infatti, l’identificazione genetica dei portatori del Dna ha senso solo se contribuisce a illuminare il contesto umano (storico, sociale, economico) in cui questi vissero. Ma le categorie stesse usate da storici e archeologi sono altamente problematiche. Prendiamo ad esempio dei siti funerari "Xiongnu" localizzati in Cina, Mongolia, Transbaikalia, o Siberia. La categoria "Xiongnu" si riferisce normalmente a un certo tipo di tombe, cultura materiale o semplicemente è un’etichetta attribuita a un determinato periodo di archeologia delle steppe, equivalente alla prima Età del Ferro. L’uso del termine "Xiongnu" di per sé non prova affatto che gli abitanti di quel particolare luogo fossero nomadi o guerrieri, che la loro identità etnica fosse "Xiongnu" o che facessero parte di un impero. L’impiego da parte di genetisti di categorie storiche altamente problematiche crea quindi non pochi problemi interpretativi. Ad esempio, un recente articolo ha stabilito che il Dna di un individuo sepolto in una tomba "d’elite" Xiongnu apparteneva a un aplogruppo "centroasiatico" o "europeo" che indicherebbe quindi la presenza, in Asia settentrionale, di popolazioni provenienti dal l’Asia occidentale. Ma, attivando categorie storiche improprie, i ricercatori giungono alla conclusione che la presenza di un "europeo" in tombe di una popolazione che si presume fosse esclusivamente asiatica sarebbe un segno di "tolleranza razziale" nel l’impero Xiongnu. Diversi studi peraltro attribuiscono al fatto che queste popolazioni, in quanto nomadi, fossero "mobili", determinati modelli di distribuzione genetica, nonostante non si sappia affatto se l’insediamento dal quale provengono i campioni di Dna fosse abitato da nomadi, sedentari o popolazioni transumanti.

Spesso le analisi scientifiche vengono correlate con teorie storiche o antropologiche antiquate o anacronistiche, impiegate in modo acritico. D’altra parte, gli storici vorrebbero poter avere a disposizione dei risultati che permettano di formulare nuove ipotesi, basate su conoscenze sofisticate e dati affidabili. Nonostante siano molto pochi gli storici e gli scienziati interessati a forme di collaborazione, i modi in cui ciò potrà avvenire resta oscuro. Ma è certo che qualsiasi progresso nella conoscenza del nostro passato dipende dalla convergenza dell’orizzonte storico con quello scientifico. Senza forme produttive di collaborazione, né genetisti, né storici, né archeologi potranno superare i limiti oggettivi delle proprie competenze.