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 2011  maggio 15 Domenica calendario

SVOLTA IN NOME DELLA REALPOLITIK

Settembre 2008. St.Paul, Minnesota. I repubblicani incoronano John McCain quale sfidante di Barack Obama e presentano al mondo la semi-sconosciuta Sarah Palin come candidata vicepresidente. Quella convention si ricorda anche per uno slogan populista coniato proprio da Palin, poi adottato a gran voce dai congressisti e infine irriso dagli avversari: «Drill, baby, drill», «trivella, baby, trivella».

Palin proponeva di sfruttare le enormi e ancora inesplorate ricchezze del territorio americano, in particolare della sua Alaska, invece di continuare a dipendere dal petrolio e dal gas straniero.

Quello slogan da stadio, più che da centro studi, era il punto centrale della politica energetica dei conservatori, ma per il mondo obamiano era anche la conferma di mancanza di serietà, di inadeguatezza politica, di inconsapevolezza ambientalista.

Anche Obama si poneva il problema dell’approvvigionamento energetico e della dipendenza da regimi mediorientali e sudamericani spesso ambigui, se non nemici, nei confronti di Washington. La sua risposta rientrava nei canoni della tradizionale retorica sull’energia pulita, sui carburanti alternativi, sui green jobs.

Una volta alla Casa Bianca, le cose sono cambiate, a conferma di quanto diceva il vecchio governatore di New York Mario Cuomo: fare il candidato è poesia, ma poi si governa con la prosa. Obama non ha mai smesso di parlare di combustibili rinnovabili, di efficienza energetica e spera di limitare le emissioni di carbonio e di tassarne l’eccedenza, ma contemporaneamente ha finanziato la costruzione di nuove centrali atomiche e ha autorizzato la trivellazione petrolifera al largo delle coste americane.

Il disastro ambientale della Bp nel Golfo del Messico ha fermato il progetto di trivellazioni obamiane annunciato un mese prima, ma non del tutto. Poco più di un anno dopo, infatti, Obama ha deciso di accelerare le procedure per trivellare non solo al largo delle coste, ma anche sulla terraferma, a cominciare dall’Alaska (anche se non ancora nella riserva Arctic National Wildlife Refuge). Il piano, scrivono New York Times e Wall Street Journal, è simile a quello presentato da George W. Bush nel discorso sullo stato dell’Unione 2006, quando promise di chiudere l’era della "America’s addiction to oil", della dipendenza americana dal petrolio.

L’accelerazione di Obama è politica. A un anno dalle presidenziali, vuole evitare che la maggioranza repubblicana alla Camera, assieme a non pochi democratici con seggio a rischio, possa imporre al Paese un «drill, baby, drill» ancora più radicale. Meglio prevenire e mettersi alla guida dell’insoddisfazione che si rinnova ogni qual volta un cittadino americano fa il pieno di benzina e vede il prezzo aumentare. Alla sua base elettorale, Obama promette maggiori tasse contro le compagnie petrolifere. Ma il «drill, Barack, drill» è un’etichetta paliniana particolarmente difficile da indossare.