ALBERTO PAPUZZI, La Stampa 19/5/2011, 19 maggio 2011
E l’autista minacciò Einaudi: “Adesso se ne va a piedi” - Nessun grand’uomo è tale per il proprio cameriere, secondo un noto e maligno detto
E l’autista minacciò Einaudi: “Adesso se ne va a piedi” - Nessun grand’uomo è tale per il proprio cameriere, secondo un noto e maligno detto. Ma che succede se uno, invece, è visto dal suo autista? Il caso capita con Giulio Einaudi, il cui ultimo autista, Mimmo Fiorino, racconta quindici anni di viaggi con il Principe di via Biancamano in un divertente libriccino pubblicato da Mondadori: Alla guida dell’Einaudi (pp. 157, 10). In epigrafe un dialogo che fa capire al volo come andavano le cose. «Pronto?». «Sei tu?». «Sì, dottore, sono Mimmo, mi dica dottore». «Ti volevo dire di non prendere impegni per questo mese, perché dobbiamo fare ancora parecchi viaggi». «Va bene, dottore, arrivederci». «Arrivederci». Mimmo Fiorino non è uno qualsiasi. Tanto per cominciare è uno che non molla. Calabrese di Palmi, dov’era nato e si era sposato, arriva a Torino nel dicembre 1978, a ventisei anni, in cerca di lavoro, ospite all’inizio del fratello Rocco, finché non trova un alloggetto di ringhiera, con il gabinetto sul ballatoio in comune con gli altri inquilini. Fa di tutto, si danna l’anima per trovare un posto, finché gli capita l’occasione, grazie alla raccomandazione di un amico, di finire nel magazzino Einaudi di Beinasco. Dev’essere un tipo sveglio, perché otto mesi dopo gli offrono un posto come fattorino al settore rateale di Roberto Cerati (oggi presidente della casa editrice). Lì comincia a fare dei viaggi, tutti trovano che guidi benissimo, e una volta che Bechis, l’autista di Einaudi, è a casa ammalato gli offrono di sostituirlo. Resterà con il «capo», fino alla sua morte nel 1999. È anche uno che non si lascia mettere i piedi in testa. Nel ritorno del primo viaggio, dalle Langhe verso Torino, c’è un tratto tutto curve: lui cerca di andare piano, per non far venire la nausea all’editore e ai suoi ospiti. Ma non basta. Infatti Einaudi si spazientisce: «Stronzo! Vuoi rallentare in queste curve che mi viene da vomitare?». Fiorino mette la freccia a destra, accosta la macchina sul ciglio della strada, si gira verso l’editore, puntandogli un dito contro: «Lei stronzo a me non lo dice. Non lo permetto né a lei né a nessun altro. Se non le piace come guido, scende e se ne va a piedi». L’episodio fece subito il giro dei corridoi einaudiani. Non erano molti quelli che in casa editrice osavano fronteggiare l’editore. Il quale, peraltro, l’indomani si scusò. Era un tiranno, però apprezzava chi gli teneva testa. In realtà, l’Einaudi che viene fuori da queste pagine è molto lontano dal personaggio un po’ provocatore un po’ perfido, circondato di cortigiani, come veniva dipinto da tutta una iconografia tradizionale. Anzi, i ricordi di Mimmo Fiorino portano verso un risultato a sorpresa: un «capo», un «principe», molto più umano e rispettoso di quanto non ci si aspetti. Ciò potrebbe dipendere, innanzi tutto, dalle vicende personali che aveva dovuto sperimentare: la crisi della casa editrice alla metà degli Anni Ottanta, l’amministrazione controllata, il processo per bancarotta, la fine del sogno. Si può immaginare che, per quanto coriaceo, si sia trovato a fare un bilancio, abbia dovuto fare i conti con se stesso e con la sua immagine. Ma, in secondo luogo, bisogna ricordare che amava pesare il giusto. Né gli piaceva infierire. Prendi una gita ai Balzi Rossi, con Francesco Biamonti e Nico Orengo. Fiorino vede Einaudi entrare in acqua piano piano, «come se avesse paura di farsi male». Sta a mollo pochi minuti, poi si sdraia vicino all’autista. «Hai visto che bel tuffo ho fatto», gli dice. «Uh, fantastico! Uno slancio… mi sembrava di guardare uno squalo!». Einaudi: «Sfotti, eh?». Fiorino: «No, no, dico davvero, si è tuffato veramente bene. Proprio con classe!». E giù a ridere. Ci sono i viaggi, ci sono le gite, ci sono anche i giri per acquisti («Era un compratore rompiballe sempre…»). Ci sono gli einaudiani (Ernesto Ferrero, Paolo Fossati, Oreste Molina, Ernesto Franco, Walter Barberis, per dirne alcuni), ci sono le visite agli autori amici: Primo Levi, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Rigoni Stern, Daniele Del Giudice, Sebastiano Vassalli. Altri non ci sono(Giulio Bollati, Davico Bonino), forse perché non s’incrociano con l’autista. Certo, si tratta, in ogni caso, di Giulio Einaudi visto con gli occhi di Domenico Fiorino. Magari appare più sensibile proprio per questo: «Viaggiando, le persone le conosci in modo diverso. Cambiano molto quando le togli dalla vita di tutti i giorni. Hanno meno sicurezze, come se gli venissero a mancare i punti di appoggio». Pur dando conto del bello e del brutto, Fiorino sta dalla parte di Einaudi e quando gli arriva la notizia della morte non vuole crederci: «Mi sentivo malissimo. Einaudi morto, morto, morto… Scoppiai in un pianto dirotto, senza riuscire a dire niente». Poi, invece, e fortunatamente, ha scritto.