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 2011  maggio 17 Martedì calendario

IL SINDACO DI TORINO E LA PARTITA CON FIAT

Adesso Piero Fassino, il neosindaco di Torino, dovrà fare i conti con la Fiat. Il braccio di ferro con la famiglia Agnelli - o meglio, con il supermanager del Lingotto Sergio Marchionne - è già iniziato. Giorgio Airaudo, il responsabile auto della Fiom, commentando l’elezione del dirigente pd, ha invitato Fassino («che ha l’autorevolezza di un grande consenso»), ad affrontare «la questione della permanenza della Fiat a Torino, ancora tutta da acquisire». Quello a cui sarà chiamato Fassino va oltre la territorialità e al provincialismo. È un ruolo nazionale, considerando anche la totale assenza di politiche a favore dell’autoveicolo e dei lavoratori da parte del governo. Immediata la risposta ad Airaudo. Fassino ha spiegato che lavorerà affinché «la Fiat continui a stare a Torino in modo strategico».
In mancanza di un piano pragmatico da parte della casa automobilistica, le parole di Fassino suonano solo come un auspicio, la realtà è molto differente. Il rischio è che si vada al muro contro muro. Da un lato c’è il nuovo sindaco che esorta i vertici Fiat a confermare Torino come sede strategica del gruppo automobilistico. Dall’altro, invece, c’è l’asse Elkann-Marchionne che lavora per trasformare il Lingotto in una società globale (grazie alla fusione con Chrysler) con più teste: in Brasile, negli Stati Uniti, in Asia e - se le economie di Fiat lo permetteranno - anche in Italia.
Per il momento, la linea economico-politica di Fassino è nel segno della continuità con quella del suo predecessore Sergio Chiamparino. Ma a differenza di Chiamparino, Fassino è meno soggetto al ricatto morale di Sergio Marchionne (il ragionamento del Ceo italo-svizzero-canadese è chiaro e, con eccesso di sintesi, suona più o meno così: «Si fa come dico io, oppure la Fiat chiuderà le fabbriche italiane»). Lo dimostrerebbe la differente lettura - con lievi (ma simboliche) divergenze - sul referendum sindacale per lo stabilimento di Mirafiori. Era la fine di dicembre 2010, Chiamparino e Fassino invitavano i lavoratori della fabbrica torinese a votare “sì” al referendum sul nuovo contratto proposto da Marchionne. In quell’occasione l’ex sindaco si era limitato ad aggiungere: «Mi auguro, sollecito e auspico che i sindacati recuperino il tema della garanzia di rappresentanze per tutti, come ha detto Bonanni, e avviino un tavolo confederale». Fassino è andato oltre. Secondo l’ex segretario dei Ds, c’era un’altra ragione di perplessità sulla clausola che esclude dalla rappresentanza i sindacati che non hanno firmato l’accordo: «Nessuna fabbrica - spiegava Fassino - si governa solo con il comando, serve anche il consenso dei lavoratori, cosa che è più difficile nel caso una parte di essi e la loro organizzazione sindacale siano discriminati e umiliati».
Secondo alcuni osservatori molto vicini al Lingotto, Fassino avrebbe buoni rapporti con la famiglia Agnelli. Il problema è che al neosindaco non piace l’approccio autoritario con cui Marchionne ha affrontato i sindacati (Fiom in primis). E Mirafiori non è l’unica tegola, adesso si è aperta la battaglia anche sull’ex-Bertone. Soprattutto, prosegue la strategia di espansione internazionale di Elkann-Marchionne. Ieri l’agenzia di stampa Bloomberg ha diffuso l’indiscrezione secondo cui Chrysler aumenterebbe l’importo della prossima emissione obbligazionaria di un miliardo di dollari, portandola a 3,5 miliardi. In pratica, con l’aumento la controllata Fiat taglierebbe di un miliardo l’ammontare del prestito, attualmente fissato a 3,5 miliardi di dollari. Una mossa che ripianerebbe le perdite derivanti dal calo delle immatricolazioni scese del 4,1% ad aprile. Secondo l’Acea, l’associazione dei costruttori europei di automobili, lo scorso mese il gruppo Fiat ha immatricolato 80.978 auto, la quota è scesa al 7,4%. Per il gruppo dall’inizio dell’anno il calo è del 16,7%, con una quota di mercato scesa al 7,3% dall’8,5% di aprile 2010.
La partita tra Fassino e Fiat si è appena aperta.