GIANNI CLERICI , Repubblica 17/5/2011, 17 maggio 2011
DJOKOVIC, IL VERO NUMERO UNO CHE VOLEVA DIVENTARE ITALIANO
Novak Djokovic, ormai tanto noto da esser chiamato Nole dagli inneggianti spettatori romani, era quasi un ragazzo quando lo incontrai a casa di Riccardo Piatti che, come me, abitava allora nella natia Como. Poiché per diletto, e per la stima concessami dagli americani, ho insegnato tennis, Riccardo è stato un mio allievo. Non meno modesto di me quale agonista, è divenuto uno dei migliori coach del mondo, secondo il proverbio "campione fallito, coach riuscito".
Nel bel giardino di Villa Piatti era quel giorno convocato il fior fiore del tennis, per il compleanno di Rocco, il bambino dell´allenatore. Tra gli assistiti del coach, il più noto era il croato di Banja Luka Ivan Ljubicic, in seguito n.3 del mondo, e fu lui a presentarmi un suo, diciamo così, connazionale, un serbo che veniva da Belgrado. Il ragazzo era ben educato, masticava qualche parola di italiano e - mi disse Ivan - «Potrebbe magari diventare vostro concittadino, come non sono riuscito a fare io, per la mancanza di un documento».
Da quel giorno non dimenticai di gettare un´occhiata al giovane serbo, e ne seguii i progressi, anche se il mio amico coach aveva deciso di non occuparsene. Non certo perché non ne intuisse il sicuro talento, ma perché «ha una famiglia un po´ troppo numerosa», mi disse un giorno.
La stessa famiglia, composta da mamma Dijana, papà Sdrjan , allenatore Vajda, fisio Amanovic, medico personale e grande nutrizionista Cetajevic, è stata ammirata in tutto il suo impetuoso fulgore sulle gradinate del Foro Italico: accuratamente abbigliato con i colori nazionali, il gruppo brandiva i pugni e lanciava slogan all´indirizzo di Nole che, invece, sul campo, si comportava con l´aplomb di un tennista inglese del passato.
Ieri mattina, nella hall del Rome Cavalieri dove mi trovavo con l´amico Felix Terruzzi, magna pars dell´hotel, la felice brigata, della quale faceva parte il Ministro degli Esteri Jeremic, (oh, yes) stava riunito nell´attesa di involarsi con un paio di aerei personali, per un riposino di qualche giorno nello splendido club che i Djokovic, già proprietari di una pensione montana, hanno aperto a Belgrado insieme a tre ristoranti dopo aver acquistato, qualche anno fa, i diritti per trapiantarvi il povero vecchio Torneo di Milano.
Con simili, pur modeste, informazioni, spero di avere schizzato un accenno utile a rendersi conto dell´aura che circonda l´eroe sportivo di un paese recentemente battezzato, e bisognoso di miti. Un eroe che ha addirittura condotto la Serbia al trionfo nella Coppa Davis dell´anno scorso, contro la Repubblica Ceca. Per i non addetti che stiano gettando un´occhiata a queste poche righe aggiungerò che, nel 2005, ai tempi di Piatti, Nole raggiunse la semi dell´Australian Junior e, a fine d´anno, già era diventato uno dei più giovani Pro della storia a far parte dei Primi Cento, a 18 anni e 5 mesi.
Per non eccedere con notizie che tutti possono trovare su Google, ricorderò che da quattro anni si contentava di essere il n.3 del mondo, dietro ai Sacri Mostri Federer e Nadal, che domenica ha superato per la quarta volta consecutiva in tre mesi infilando così una collana di 37 vittorie consecutive, più le due in Davis.
Grazie alla miopia del computer, Djokovic rimane ancora secondo, dietro all´imbattibile Rafa Nadal, battuto, ripeto, 4 volte di fila: in attesa di un Roland Garros che lo vedrà favorito.
Da modesto insegnante di tennis, aggiungerò che il gioco del nuovo campione si basa su una condizione tecnica straordinaria, anche per la capacità di assorbire e metabolizzare la fatica. Grazie allo straordinario perno delle gambe, Nole è in grado di colpire splendidamente palle per altri quasi perdute all´esterno delle righe laterali, e trasformarle in parabole rientranti di geniale geometricità. «Mi ricorda qualcuno» mi ha giusto confermato questa mattina Gianni Rivera. Bimane sul rovescio com´è ormai obbligatorio nell´Era past Federer, è in grado di giocare con una sola mano volée e drop micidiali, dissestando un tennis contemporaneo ormai legato alla linea di fondo .
Ha acquistato in se stesso tutta la fiducia instillatagli da un´intera tribù, o meglio da un´intera nazione. Peccato che, come Ljubicic, non sia diventato dei nostri , quando l´Italia pareva l´America. Ma forse un tipo simile non ce lo meritiamo.