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 2011  maggio 15 Domenica calendario

ISGRO’: «CANCELLO IL DEBITO PUBBLICO» - «È

stata la disperazione, sì, la disperazione». Emilio Isgrò, sorride e ironizza su come è nata l’ idea dell’ emozionante e imponente nuova opera che domani sarà presentata in forma ufficiale alla Bocconi dal presidente Mario Monti. Un lavoro di grandi misure, fortemente simbolico e ovviamente in sintonia con il «segno» che l’ ha consacrato come uno dei protagonisti più celebrati dell’ arte italiana. Così, dopo aver cancellato la Costituzione, ora Isgrò ha deciso di cancellare un’ altro simbolo della società contemporanea: il debito pubblico italiano. Isgrò non nasconde la sua passione civile: l’ ha inseguita da sempre, con le performance, con il suo lavoro di poeta, di uomo di teatro che ha inventato gli spettacoli di Gibellina, di artista a tutto tondo che crede nella necessità di misurarsi sulle questioni del vivere contemporaneo. Ma sempre con un linguaggio diretto, senza rinunciare per questo alla profondità e all’ eleganza: «Tanto più ho sperimentato, tanto più ho cercato di avvicinare i giovani e un pubblico più ampio possibile. Non mi compiaccio di essere capito da pochi, come forse si compiacciono altri, lo vivrei come una sconfitta. Quando, Severino Salvemini, curatore della galleria della Bocconi, mi ha invitato a realizzare un’ opera per l’ università non sapevo esattamente che fare». Isgrò continua col suo morbido accento siciliano, avvolto nel suo studio, da un affascinante e rassicurante universo di cancellazioni infinite: libri, cartine geografiche, lettere, mobili intarsiati di formiche... «All’ origine si era pensato di cancellare un classico dell’ economia neoliberista come Milton Friedman», spiega. «Ma in questo caso, la cancellatura avrebbe assunto una forte connotazione politica. Poi, si era pensato al Capitale di Marx, nell’ originale tedesco: anche qui, naturalmente, la connotazione politica non sarebbe mancata. Allora, per disperazione appunto, gettai lì una frase al mio amico e sponsor Andrea Manzitti: "Quasi quasi cancello il debito pubblico"... Non l’ avessi mai detto, perché Andrea, più felice che sconcertato, ne parlò immediatamente a sua moglie, Cristina Jucker, e a Severino Salvemini. Fu una specie di rivelazione». Una rivelazione che ora ha la forma di un enorme quotidiano economico completamente reinventato (quattro metri per tre) in cui emergono tracce di titoli, istogrammi, grafici ma soprattutto numeri. Anzi, tanti, tantissimi zeri. Perché così tanti zeri? La risposta è semplice: «Perché voglio esasperare l’ idea di un debito pubblico che cresce ogni giorno e con esso il malessere del nostro Paese. Sul piano concettuale, non è azzardato accostare la cancellatura allo zero: la cancellatura funziona infatti come lo zero in matematica, chiamato a formare, da solo, tutti i numeri, tutti i valori. Uno zero semantico, insomma. Ma non dimentichiamoci che il numero 2, seguito da dodici zeri, è più o meno l’ ammontare del nostro debito pubblico». E sorridendo: «Se poi gli zeri aumentano, tocchiamo ferro...» La cancellatura, per Isgrò, è il segno dell’ assenza che diventa (citando i versi del poeta Attilio Bertolucci) «più acuta presenza». Accostata alla parola risparmiata, secondo l’ artista, la cancellatura ne accresce il peso e la sostanza: «Come un relitto umano scampato al naufragio in un mare di righe nere». Isgrò appare come un fiume che scorre calmo ma molto deciso: «La cancellatura è una forza aggregante e positiva, poiché, nel momento in cui sembra distruggere, in realtà ara il campo dove potremo piantare il seme di un presente meno precario e di un futuro più accettabile per i giovani. E’ questo il vero motivo per cui mi sento orgoglioso di piantare questo seme in una università come la Bocconi, tra giovani e per i giovani. Una bella sfida anche per Milano». «Va da sé che il "debito" trattato nella mia opera non è il semplice debito economico, ma il debito che ciascuno di noi ha con se stesso e con gli altri, la lealtà, il senso comune del vivere, eccetera...». Improvvisamente Isgrò si ferma. Scuote la testa. «Per un artista è sempre sconsigliabile occuparsi di problemi che non conosce o conosce poco. Penso a Ezra Pound: negli anni Trenta consigliò a Mussolini di risolvere i problemi dell’ autarchia fascista imponendo agli agricoltori di coltivare i campi d’ Italia soltanto a noccioline. Abbiamo visto com’ è finita». Poi continua: «Frequentavo Pound negli anni Sessanta, a Venezia, dove lavoravo al Gazzettino come responsabile delle pagine culturali, e una volta, privo di tatto e di garbo come sono i giovani, osai domandargli in un’ intervista il perché di quella sua bizzarra teoria. Mi rispose con un suono inarticolato: un po’ muggito un po’ ruggito, in mezzo alla costernazione di chi gli stava intorno. Avrei voluto sparire per la vergogna. Poi lo sentii sussurrare a denti stretti: ho sbagliato tutto». Isgrò ride sornione e aggiunge: «Non so bene se si riferiva allo zucchero nel tè o ai suoi rapporti col fascismo. Mi piace pensare alla seconda ipotesi». Isgrò passa dai ricordi della giovinezza alla complessa stagione dei nostri giorni. E sembra togliersi qualche sassolino dalla scarpa: «Non sono un provocatore, anche se nel passato ho cancellato la Treccani e in questi giorni la Costituzione. All’ arte tocca il compito più difficile: riattivare quella qualità di differenza che rende ogni uomo diverso dall’ altro. Se un artista provoca non deve dire che sta provocando. Il mio modello è Grosz: lui, che aveva dipinto i pescecani della finanza tedesca col collo taurino, esule a New York, amava passeggiare con la lobbia per Wall Street, elegantissimo, sembrava un vero banchiere. Nessuno avrebbe immaginato che era Grosz. Mentre oggi l’ orizzonte di attesa è la retorica della provocazione, in tutti i campi. E bisogna disattendere queste aspettative di provocazione così care anche a molti artisti». «L’ arte è diventata, di fatto, un media come gli altri. Forse il più potente e insidioso con la sua presunzione di libertà assoluta e totale. Sappiamo fin troppo bene che non è così: l’ estetizzazione della politica ci ha portato al nazismo e la politicizzazione dell’ arte allo stalinismo. La politica è arrivata ora a un livello inaccettabile, tanto da costringere a intervenire anche il presidente Napolitano». Isgrò allarga le braccia: «La mia cancellazione è una forma di omeopatia, una forma di difesa contro tutte le censure».
Gianluigi Colin