Luca D’Ammando, varie, 18 maggio 2011
BUONI PASTO, PER VOCE ARANCIO
Il buono pasto, in inglese voucher. Significa: tagliando, attestato. Viene dal latino, attraverso il francese antico, vocare, «chiamare a testimonio».
Italiani che usano buoni pasto: 2,2 milioni.
Secondo l’ultimo studio Nomisma, chi pranza fuori casa lo fa per il 24% nei bar, per il 22% in ristoranti o trattorie, per il 15% nelle mense aziendali e per il 12% si porta il cibo da casa.
Il mercato dei buoni pasto nel nostro Paese vale 2,5 miliardi.
I primi buoni pasto sono comparsi nel 1954 in Inghilterra, poco dopo la fine del razionamento alimentare imposto dalla guerra. Il governo aveva concesso agevolazioni fiscali per realizzare pasti liberi da imposte sul reddito e contributi assicurativi. John Hack, un uomo d’affari, mentre era al ristorante con gli amici, vide i clienti pagare il conto con biglietti di carta. Incuriosito chiese come funzionavano: il ristorante restituiva alla ditta i foglietti e riceveva in cambio il denaro pattuito. Subito pensò che si poteva creare un unico fornitore di ticket per tutto il Regno Unito. Nel 1955 Hack fondò la Luncheon Vouchers Company, oggi Accor Service.
In Italia i buoni pasto sono arrivati esattamente 35 anni fa. All’inizio c’era solo Ticket Restaurant, ora il mercato è diviso tra una decina d’aziende, molte delle quali a capitale straniero: la francese Edenred, presente con il marchio Ticket Restaurant, detiene il 43%, Quigroup ha il 14%, Ristoservice il 13%, Sodexo il 10%, Pellegrini il 5%, Ristomat il 4,5%, ecc.
Come funzionano i buoni pasto: le società che emettono i ticket stipulano un contratto con un’azienda che vuole prestare un servizio alternativo di mensa per i propri dipendenti, attraverso una rete di punti di ristoro convenzionati. Il datore di lavoro, ricevuti i buoni ordinati, li distribuisce ai propri dipendenti.
Secondo la legge, i buoni pasto sono strettamente personali, possono essere spesi solo nei locali convenzionati e non sono cumulabili. Inoltre non possono essere convertiti in denaro o ceduti ad altri né venduti. La loro validità può variare da alcuni mesi a un massimo di un anno.
Ma perché i buoni pasto si sono diffusi in maniera così impressionante? Il motivo principale è che non prevedono oneri fiscali a carico del datore di lavoro fino al valore massimo di 5,29 euro. Inoltre il costo del servizio è deducibile per intero e l’Iva è detraibile integralmente. In più i buoni pasto evitano alle aziende di investire su mense aziendali o strutture simili per il pranzo.
Un confronto col resto d’Europa: mentre da noi si ferma a 5,29 euro, il valore defiscalizzato del buono pasto in Spagna è di 9 euro, in Francia di 7, in Portogallo di 6,70 euro, in Belgio di 4,29 euro.
Il sito www.buonipasto.it permette di confrontare tutti i tipi di ticket in Italia, offre una guida web per le aziende che desiderano attivare una convenzione o comprare online buoni pasto. Molto utile anche il servizio di ricerca con tutti i bar e ristoranti che accettano i tagliandi.
Presto i ticket di carta saranno sostituiti da versioni elettroniche. Edenred, il colosso dei Ticket Restaurant, insieme a Wincor Nixdorf, ha intenzione di gestirli mediante un sistema telematico. Diventeranno simili a una moneta elettronica che permetterà di registrarne, attraverso un codice a barre, tutti i movimenti, dall’emissione fino all’incasso. Stesso progetto è previsto da Qui Group. Gregorio Fogliani, presidente Qui Group: «Il sistema del buono pasto elettronico è destinato, da un lato, a portare a una normalizzazione dell’uso del Buono Pasto e, quindi, a minori tensioni fra gli operatori e a maggior sicurezza e funzionalità; dall’altro, ad aprire una nuova frontiera per la creazione e lo sviluppo di tutta un serie di ulteriori servizi».
Negli ultimi anni sono state numerose le proteste da parte di baristi e ristoratori a causa delle commissioni troppo alte. Il problema nasce con le gare al ribasso indette dalle aziende: pur di vincere le società emettitrici di ticket offrono uno sconto. Ad esempio, se il buono ha un valore di 5 euro si aggiudicano la commessa a 4 euro. Per recuperare lo sconto, la società applicherà una commissione all’esercizio convenzionato (il bar, la pizzeria o il ristorante). La perdita per l’esercente oscilla così tra il 10 e il 15%. Dario Di Vico: «In sostanza pur di avere clienti e non rimanere fuori dal giro, il ristoratore lavora sotto costo e in più deve attendere mesi prima di riscuotere i soldi che ha anticipato. Così dunque non si può andare avanti a lungo».
Gà nel 2007 ci è stato un “No Ticket day”, una protesta collettiva da parte degli esercenti che per un giorno decisero di non accettare buoni pasto. Ora sembra che stia per succedere nuovamente.
C’è poi il problema che i buoni pasto stanno diventando dei mini-assegni. Dovrebbero essere utilizzati solo per comprare cibo da consumare subito e invece finiscono nelle casse dei supermercati in cambio della merce più varia. Già oggi i supermercati Esselunga e alcune grandi cooperative aderenti alla Coop non accetano i ticket e Carrefour potrebbe decidere di rifiutarli in futuro.
«Al momento di pagare alla cassa nel negozio di formaggi, la signora che mi precede estrae dalla borsa un pacco di fogli rettangolari. Sono i buoni pasto. Li conta, poi li consegna e riceve in cambio un piccolo resto in monete. Mi sposto dal macellaio. Anche lì c’è chi paga coi ticket. La medesima scena si ripete al supermercato. Quando la cassiera apre il registratore, dove ripone il contante, riesco a intravedere una mazzetta di buoni già incassati. Da diversi anni i buoni pasto non si usano più per mangiare a pranzo, bensì per la spesa. E ora che la crisi dei consumi si fa sentire, i buoni somigliano sempre più ai miniassegni degli Anni Settanta: sostituiscono la cartamoneta» (Marco Belpoliti).