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 2011  maggio 17 Martedì calendario

Quelli che la scuola non si può criticare - Un collaudato meto­do per screditare le posizioni altrui è ignorare gli argo­menti su cui pog­giano, appiattirle su quelle estre­me, e ignorare l’identità di chi le sostiene

Quelli che la scuola non si può criticare - Un collaudato meto­do per screditare le posizioni altrui è ignorare gli argo­menti su cui pog­giano, appiattirle su quelle estre­me, e ignorare l’identità di chi le sostiene. È quel che sta accaden­do nel dibattito sulla valutazio­ne innescato dalla vicenda dei test Invalsi. Per screditare chi cri­tica la via che si sta imboccando sulla valutazione lo si addita co­me avversario di ogni forma di valutazione, come il membro di una corporazione che si difende dal «merito». Il titolo dell’artico­lo di Maurizio Ferrera ( Corriere della Sera di ieri), che forse nean­che l’autore condivide, è un esempio di questo metodo: «Specialisti nell’annullare le ri­forme (altro che meriti e quali­tà) ». Nell’articolo si deplora che «autorevoli intellettuali» stiano «delegittimando culturalmen­te » le riforme criticando i test e, sul fronte della ricerca scientifi­ca, i sistemi bibliometrici. Sap­piamo bene, si dice, che nei pae­si all’avanguardia è in corso un dibattito per «raffinare e calibra­re » gli strumenti utilizzati, ma noi, che arriviamo ultimi, non possiamo sottilizzare. Bene, ma all’estero il dibattito non verte sul «raffinamento», bensì sull’opportunità di un cambiamento totale di direzio­ne. Sono mesi che tento di tra­smettere il contenuto di questo dibattito,ma non c’è peggior sor­do di chi non vuol sentire. Un an­no fa alcune­tra le massime istitu­zioni mondiali in tema di nume­ri hanno prodotto un documen­to ( Citation Statistics , reperibile in rete) che demolisce il sistema bibliometrico. Uno scienziato autorevole come Douglas Ar­nold (presidente di SIAM, So­ciety for Applied and Industrial Mathematics) ha chiesto la so­spensione (non il calibramen­to) della bibliometria accusan­dola di distruggere l’integrità scientifica e ha rincarato la dose con un articolo intitolato Nume­ri scellerati . Un anno fa, tutte le riviste di storia e filosofia della scienza hanno redatto un mani­­festo contro la bibliometria. E po­trei continuare. Sul fronte della scuola non è le­ci­to ignorare le denunce dei disa­stri prodotti dalle ideologie del­l’autoapprendimento e dell’in­segnante come passacarte delle tecnologie educative e valutati­ve confezionate da improbabili «esperti»: critiche avanzate da personalità come Laurent Laf­forgue ( in Francia) o Alicia Deli­bes (in Spagna). Non è lecito ignorare il recentissimo libro ( The Death and Life of the Great American School System ) di una protagonista delle riforme statu­nitensi dell’istruzione, Diane Ra­vitch, che non parla di «ritocchi» ma di fallimento del sistema del­l’ «accountability» e del «te­sting ». Ravitch non dice che i test sono inutili ma che vanno usati con grande moderazione e non dando a credere che abbia­no validità scientifica e che sia­no oggettivi. Invece qui si ripete tutti i giorni, con una sordità pari alla supponenza, che il sistema dei test permette una «misura­zione oggettiva» delle compe­tenze e del loro valore aggiunto. Si parla pomposamente di «stan­dardizzazione scientifica», il che fa ridere chi sappia che cosa sia una misurazione scientifica. È il tipico modernismo in ritar­do all’italiana, vera forma di pro­vincialismo: adottare le riforme costruite qualche decennio pri­ma altrove, con un dogmatismo giustificato in nome del nostro ri­tardo. Così fu per la riforma della scuola primaria, quando, ad esempio, si decise di introdurre la«teoria degli insiemi»,seguen­do un modello che in Francia sta­vano precipitosamente abban­donando, e così ancor oggi sia­mo afflitti da questa pessima ere­dità. In realtà, la questione è di poli­tica culturale. Il modello di una scuola basata sulla centralità dei contenuti e della figura dell’inse­gnante, e su un rigoroso sistema di valutazione che ruoti attorni alla pratica delle ispezioni e così inneschi un processo di crescita culturale, non appartiene solo al­la tradizione «conservatrice» e «di destra». Appartiene anche, e fortemente, a una tradizione di sinistra. Basti pensare a quanto scriveva uno degli intellettuali comunisti più innovativi in te­ma di istruzione, Lucio Lombar­do Radice. Rivendicando il valo­re rivoluzionario dei «metodi at­tivi nell’educazione della men­te », ammoniva che «secondo certe tendenze “estremistiche” e superficiali, oggi purtroppo di moda nel nostro paese, “attivi­smo” significherebbe invece li­quidazione di ogni sforzo, di ogni noia, di ogni sistematica di­sciplina mentale e con ciò di ogni organico sapere. Si esalta una scuola nella quale è sempre domenica, nella quale ad ogni ora si celebra la festa dello spiri­to creatore, nella quale ogni atti­vità è individuale, libera, piace­vole, giocosa. Al bando la geogra­fia sistematica: basta organizza­re un viaggio, reale o ideale, del­la classe in un’altra regione stu­diandone le carte, le comunica­zioni, i prodotti, i costumi. Mor­te alla scienza classificatoria: tre mesi di osservazione ed esperi­menti sulle lumache formereb­bero lo spirito scientifico assai più di un’organica visione (in buona parte necessariamente li­bresca, o frutto di lezioni ex ca­thedra) delle grandi linee della evoluzione delle specie. Basta con le date, colla successione cronologica e le periodizzazioni storiche; episodi, racconti, im­medesimazione con pochi “eroi” darebbero il vero senso della storia. Si va molto al di là della confusione tra due mo­menti educativi: si arriva ad an­nullarne uno, quello basilare, ri­ducendo la scuola a escursione, esercitazione, libera ricerca, let­tura occasionale». E difendeva lo «studio-lavoro, la lettura-ri­flessione, lo sforzo di compren­sione tenace, l’applicazione di­sciplinata, organica, paziente, la faticosa organizzazione della propria mente e del proprio sa­pere ». Si chiederà cosa c’entri questo con la valutazione mediante test.C’entra,eccome,per chi ab­bia esaminato attentamente la natura dei test proposti- e lo fare­mo analiticamente, se ne può star certi- e la devastante attività di addestramento al superamen­to dei test che ha messo in cam­po una pubblicistica da quiz molto al di sotto degli standard temuti da Lombardo Radice. Si tratta di quelle pratiche che, co­me denuncia la Ravitch, hanno minato la qualità della scuola americana, come hanno mina­to la qualità dell’insegnamento matematico in Finlandia. C’en­tra, perché tutto rientra nella sciagurata idea secondo cui quel che conta è solo la metodo­logia («come» si pensa e non i contenuti). Si diceva che il problema è di politica culturale. Una sinistra in crisi di orientamento si è rifu­giata nel modello tecnocratico, come una «teologia sostitutiva». La destra, afflitta dal solito com­plesso di inferiorità culturale, spesso si accoda.Così,l’unico in­dirizzo in campo resta sempre quello della «micidiale coppia» Berlinguer - De Mauro (secon­do l’efficace definizione di Paola Mastrocola). Insistere su questa via, accoppiando procedimenti di valutazione automatizzata con l’ideologia dell’insegnante­­facilitatore, della scuola open space , della distruzione dei con­tenuti a favore della tecnologia e della dittatura della metodolo­gia, questo sì che è diabolico. All’indirizzo «micidiale» tra­sversale deve contrapporsi il fronte del buon senso. Fa quindi piacere che il senatore Rusconi­con un «messaggio chiaro e for­te » rivolto al suo partito, il Pd ­dica che la qualità della scuola non la fanno computer e lava­gne multimediali, bensì gli inse­gnanti. E, aggiungo, insegnanti «maestri», insegnanti di qualità, non «facilitatori» passacarte; in­s­egnanti da reclutare coi concor­si e poi valutati, non mediante as­surdi parametri come il «valore aggiunto» di apprendimento, bensì sui contenuti, con un siste­ma ispettivo da costruire in mo­do meditato, tenendo conto dei pro e contro delle esperienze estere.