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 2011  maggio 17 Martedì calendario

I Paesi con la tirannia nel destino - Raymond Ibrahim, diret­tore associato del Middle East Forum, un ’pensatoio’ politi­co di Filadelfia, in un articolo del 20 aprile scorso intitolato «Il silenzioso sterminio dei ’ca­ni cristiani’ in Iraq» ricorda co­me metà della popolazione cri­stiana di quel Paese ha dovuto emigrare o cambiare residen­za dopo che 700 cristiani inclu­so un vescovo e vari sacerdoti sono stati uccisi e 61 chiese bombardate

I Paesi con la tirannia nel destino - Raymond Ibrahim, diret­tore associato del Middle East Forum, un ’pensatoio’ politi­co di Filadelfia, in un articolo del 20 aprile scorso intitolato «Il silenzioso sterminio dei ’ca­ni cristiani’ in Iraq» ricorda co­me metà della popolazione cri­stiana di quel Paese ha dovuto emigrare o cambiare residen­za dopo che 700 cristiani inclu­so un vescovo e vari sacerdoti sono stati uccisi e 61 chiese bombardate. La situazione non è migliore in Pakistan ed è diventata paradossale dopo lo scoppio delle rivolte arabe in Tunisia, Libia, Siria ed Egitto. I cristiani si pongono la do­manda: sono i tiranni come Saddam o Mubarak a creare so­ci­età brutali o sono società bru­tali che creano il bisogno di ti­rannie per mantenere l’ordine interno? La domanda é di vita­le importanza per l’Egitto, stretto fra il desiderio di ricon­quistare un ruolo di guida re­gionale e una rivoluzione in cui la ’questione cristiana’ sta trasformandosi in nuovo fatto­re politico. La comunità copta d’Egitto è quella cristiana più numerosa nella regione, con potente diaspora in America. Fra la chiesa copta e le chiese ortodosse ci sono da sempre rapporti di fede, ma la posizio­ne di Mosca verso la religione non è più quella dell’epoca co­munista. La dura reazione dei patriarchi ortodossi russi di­mostra che la comunità copta d’Egitto ha trovato un inaspet­tato alleato nel governo di Pu­tin. L’uccisione di undici suoi membri e la distruzione di una chiesa alla periferia del Cairo ha un significato che va al di là delle reazioni copte ai passati scontri interconfessionali. Se la causa immediata- falsa o ve­ra che sia - è l’accusa di impo­sta o rifiutata conversione for­zata, le ricadute di questo mas­sa­cro all’interno e all’estero so­no negative per un Paese ara­bo che vuole riconquistare un posto di guida. Il mancato in­tervento della polizia a difesa dei copti nella capitale stessa e la maniera con cui ha reagito alla loro protesta davanti alla sede della televisione dimo­stra la perdita di sicurezza e le­altà dei suoi capi: temono di es­sere accusati di eccessiva vio­lenza e allo stesso tempo lo sta­to di crescente insicurezza nel Paese (aumento dei crimini, at­tacchi alle persone e alle pro­prietà nei quartieri più ricchi). Dagli scontri coi copti trape­la la debolezza di un governo militare transitorio che vuole restare al potere, cosciente del­la situazione economica cata­strofica del Paese e in corrotto controllo delle sue ricchezze e dei costosi armamenti di un esercito che ha perduto tutte le guerre contro Israele. Cri­stiani e Israele, su piani diffe­renti, diventano bersagli di una dirigenza impaurita. I cop­ti sono lasciati alle prese degli islamici per mantenere aperto il dialogo fra i generali e i Fratel­li musulmani che, a loro volta, in epoca elettorale temono l’accusa di ’tepore’ verso i cri­stiani. Una minoranza consi­derata come «osceno nido di paganesimo» e che chiede uguaglianza politica e sociale. Quanto a Israele, solo Paese del Medio Oriente in cui il nu­mero dei cristiani è raddoppia­to dal 1948, la tensione con i copti protetti dall’Occidente e dalla Russia, anche se tradizio­nalmente antisionisti per pau­ra dei musulmani, potrebbe trasformarsi in un pericoloso connubio. Un risultato di questa ipocri­ta situazione è che Israele e la questione palestinese- ignora­ti dalla rivoluzione araba di lu­glio - riaffiorano come temi di propaganda nazionalista neo nasseriana. Lo dimostra il più gettonato candidato ’laico’ al­la presidenza egiziana Amr Mussa, segretario uscente del­la Lega Araba ed ex ministro degli esteri di Mubarak, noto per la sua viscerale ostilità a Israele. Egli fa della revisione del trattato di pace con Israele e del patrocino egiziano della causa palestinese gli argomen­ti per­ottenere il sostegno di ce­ti islamici anticristiani e di una intellighenzia convinta che, riaprendo il contenzioso con Israele, l’Egitto ritroverà un ruolo internazionale e più fa­cilmente potrà battere cassa in America e in Europa. La parola rivoluzione ha un doppio significato: lo sradica­mento dal passato e la rotazio­ne su se stessa. L’Egitto non ha ancora scelto. Ma il motto del Gattopardo «tutto deve cam­biare perché tutto resti come prima» potrebbe diventare il nuovo slogan della controrivo­luzione.