Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore 17/5/2011, 17 maggio 2011
BESNIER E I 2,9 MILIARDI DI RISERVE
Con l’operazione Lactalis su Parmalat le lancette dell’orologio tornano indietro di una decina d’anni e forse più. Era l’epoca della bolla hi-tech e della più spregiudicata finanza a leva. Con il debito – più ce n’era meglio era – vera religione del private equity. Per stare solo in Italia chi non ricorda la Seat Pagine Gialle caricata in un colpo solo di 3,5 miliardi di debiti?
E l’Opa Lactalis rimanda a quei tempi. Più un’operazione da locuste finanziarie che da operatore industriale.
Molti i punti in comune. L’operazione è fatta tutta a debito. La famiglia Besnier e il suo impero industriale non mettono un euro. Quei 3,4 miliardi per rastrellare l’intero capitale mancante di Parmalat (il 71%) vengono dalle banche, non dalla famiglia. E le banche (SocGen, Hsbc, Crédit Agricole e Natixis) non amano mettere troppo a repentaglio i soldi prestati. Ecco spuntare fior di garanzie per gli istituti di credito. Un pegno a prima richiesta su Bsa, l’holding finanziaria della famiglia Besnier; un pegno sui conti titoli sia di Bsa che di Lactalis e persino un pegno sul conto corrente bancario di Bsa presso SocGen. Che è sì banca di famiglia, ma quando ci sono di mezzo i quattrini è meglio cautelarsi.
La domanda è: ma l’intero universo Lactalis non poteva metterci qualche soldo suo, anziché andare a tutto prestito? La Sofil, la scatola che lancia materialmente l’offerta ha liquidità in pancia per 274 milioni. Tanti o pochi sono denari che potevano essere impiegati. La Bsa, la holding finanziaria dei Besnier, ha cumulato negli anni tanti di quegli utili da avere a fine 2010 ben 2,94 miliardi di riserve di capitale con un patrimonio netto ragguardevole di 3,2 miliardi, salito di 300 milioni nell’ultimo anno. Certo ci sono anche 2,7 miliardi di debiti, ma qualche denaro poteva essere messo sul piatto anche dalla cassaforte dei Besnier. E invece i Besnier preferiscono mantenere intonsa la ricchezza nelle società finanziarie a monte dell’impero industriale. Il nuovo conglomerato Lactalis–Parmalat, nell’ipotesi che si arrivi a raccogliere il 67% del capitale di Collecchio, bilancerà in parte i 5,5 miliardi di debiti con il miliardo e quattro di cassa di Collecchio. Si avrà così domani una società con 4,1 miliardi di debiti e 1,37 miliardi di margine lordo. E c’è da star certi che per un po’ di anni parte del reddito industriale prodotto ripagherà la mole del debito, non lo sviluppo. Sono i Besnier a dirlo nel prospetto: tra il 30 e il 50% dei flussi di cassa del nuovo gruppo serviranno a rientrare dall’esposizione con le banche. Molta finanza, assai meno industria nella nuova Parmalat.