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 2011  maggio 17 Martedì calendario

IL BRASILE ACCUSA PECHINO - AGGIRA I DAZI SULL’IMPORT

Arrivano tutti qui, all’interporto di San Paolo. Migliaia di camion, un flusso costante che non si interrompe mai, neppure di notte. Ciascuno contiene tonnellate di merci, in buona parte prodotte in Cina ed entrate illegalmente in Brasile dall’Argentina, Uruguay e Paraguay.

L’interminabile serpentone di Tir arriva dalla triple frontera, un chilometro quadrato sezionato in tre confini, per tre Paesi: Brasile, Paraguay e Argentina.

Tre Paesi e tre dogane. Molto porose. Un crocevia di traffici, leciti e illeciti, un mercato sconfinato dove, in pochi minuti, puoi acquistare cd a 80 centesimi di euro, un paio di Levi’s 501 a 10 euro, occhiali Ray Ban a 12 euro, scarpe Nike a 15. Tutto taroccato, ovvio. Poi automobili, armi, droga. Da anni si ripete, senza prove documentate, che persino al-Qaida ha una base nella triple frontera.

Ora però da Brasilia arriva un grido d’allarme, la richiesta di nuove misure antidumping mirate a tamponare la triangolazione che la Cina utilizza per vendere i propri prodotti sul territorio brasiliano. Una strategia commerciale che contrasta i principi della World trade organization e gli accordi tra Brasile e Cina. «È molto semplice ciò che sta accadendo - spiega José Augusto de Castro, vicepresidente dell’Associazione del Commercio estero (Aeb) del Brasile - e per questo dobbiamo reagire in fretta: pneumatici, prodotti tessili e calzature, tutti made in Cina, ma provenienti da Uruguay e Paraguay entrano irregolarmente nei nostri confini».

Pechino sfrutta canali privilegiati, magari accordi regionali interni al Mercosur - il Mercado comun del Sur, l’unione doganale di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay - per conquistare quote di mercato nei settori manifatturieri brasiliani. I segnali sono diventati sempre più chiari: nel primo trimestre 2011 le importazioni di coperte dall’Uruguay è stata pari a 5,05 milioni di dollari, 6 volte superiore agli 817 mila dollari dello stesso periodo del 2010. Le coperte in fibra cinese erano già nel mirino delle autorità commerciali brasiliane tanto che dal 2009 sono entrate in vigore misure antidumping. Ora però si fanno strada gravi irregolarità.

A questo stesso gioco si è prestato il Paraguay: le calzature paraguayane importate in Brasile nel primo trimestre 2009 ammontavano a 1,8 milioni di dollari. Un anno dopo sono schizzate a quota 5,1 milioni di dollari. «Non possiamo certo rimanere inerti - dice Heitor Klein, direttore esecutivo dell’Associazione calzaturieri del Brasile (Albicalzados), anche perché la Cina non immette sui nostri mercati solo prodotti finiti ma anche componenti per calzature. Tutto fuori dai nostri accordi. Questa è concorrenza sleale».

Queste irregolarità configurano un nuovo scenario, secondo gli esperti, di dumping commerciale: qualche tempo fa si utilizzavano triangolazioni di Paesi vicino al produttore. La Cina, per esempio, esportava merci in Europa o negli Stati Uniti, attraverso Vietnam, Malesia e Indonesia. Ora invece utilizza Paesi vicini al mercato di sbocco, ovvero Uruguay e Paraguay.

L’altra faccia di questa tensione commerciale è quella valutaria. Il presidente brasiliano Dilma Rousseff e il ministro delle Finanze ribadiscono ogni settimana la mancanza di un accordo valutario tra Cina e Stati Uniti per un nuovo equilibrio commerciale internazionale. Il real continua ad apprezzarsi in conseguenza della forza dell’economia brasiliana e ciò, inevitabilmente, erode competitività ai prodotti brasiliani.