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 2011  maggio 15 Domenica calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 100 - PERICOLO GERMANIA

Di che cosa si era discusso, in quelle sedute?

Soprattutto di questioni finanziarie, quelle di cui abbiamo già parlato. Qualche schiamazzo ci fu pure il 20 ottobre. All’ordine del giorno c’era la guerra.

Già, la guerra. C’era stato l’armistizio. E poi?

Passate le prime sei settimane, l’armistizio si rinnovava di sette giorni in sette giorni. Chi l’avesse rotto avrebbe dato al nemico otto giorni di tempo prima di attaccare. Era in corso una mediazione di francesi e inglesi per convincere le parti a far la pace. Sul lato austriaco sarebbe magari anche stato possibile, a condizione che il Regno di Sardegna pagasse le spese e non avanzasse pretese territoriali. A Torino invece i mediatori trovavano un ostacolo insormontabile nella pretesa sarda che la pace fosse «onorevole», e cioè che si concedessero a Carlo Alberto le terre lombarde fino all’Adige. Notiamo che i piemontesi non avevano la minima forza contrattuale, dato che, per ottenere la sospensione delle ostilità, s’erano rassegnati a rientrare completamente nei loro confini. L’armistizio aveva poi provocato gravi problemi di ordine pubblico, perché i democratici avevano sollevato Genova, che non si riusciva a ricondurre alla ragione. Il tumulto in Riviera era tale che, quando i genovesi pretesero la consegna dei due forti, il governo cedette, provocando una sollevazione nei quadri militari, che vissero quella decisione come un esproprio insultante e un atto di sfiducia nei loro confronti. In queste condizioni, era chiaro che prima o poi l’armistizio si sarebbe rotto e si sarebbe tornati a combattere. Quando, però? Gli ungheresi si stavano ribellando un’altra volta e a Vienna c’era una nuova rivoluzione (la quinta, quell’anno). Non sarebbe stato quello il momento giusto per attaccare? Il Parlamento si mise a discutere sulla mediazione, se rifiutarla ormai e passare alle armi. A volere la ripresa della guerra erano il re e i democratici, ancora una volta alleati. I moderati erano per lasciar lavorare ancora i mediatori. Il pubblico delle gallerie, tutti simpatizzanti di Brofferio e Valerio, erano infiammati dalla guerra. Le famiglie contadine imploravano che i massacri non ricominciassero, che non si togliessero altri uomini alle campagne. Curiosi schieramenti, se ci pensa, estranei ad ogni schema: i più sabaudi erano i contadini, che la guerra non la volevano. I democratici, sedicenti rappresentanti delle masse e del suffragio universale, ragionavano come il sovrano, anche se per una spinta ideale diversa.

Cavour?

Era per aspettare ancora. Fu un gran discorso, privo di ogni illusione (ecco quello che lo rendeva insopportabile). L’onorevole Brofferio, l’onorevole Valerio, l’onorevole Buffa credevano che la guerra italiana avrebbe incendiato i popoli e che persino le genti austriache, indignate contro i loro tiranni, sarebbero venute in nostro soccorso. Ma a marzo il popolo di Vienna, una volta ottenuti costituzione e parlamento, non aveva esitato a unirsi « al suo Governo per combattere contro di noi, e per rapirci le nostre libertà non solo, ma un bene più prezioso, l’indipendenza » (qui gli stenografi segnalano «fremiti di sdegno» dato che il conte demoliva un luogo comune mazziniano, quello dell’internazionalismo). Quanto alla Francia - « una nazione generosa, ardimentosa » - gli oratori democratici s’erano detti sicuri che si sarebbe commossa alla rivoluzione italiana, avevano esclamato « siate anche imprudenti, desterete la sua simpatia ». Purtroppo « la storia dà a questo una crudele mentita ». Come mai infatti i francesi non accorsero in aiuto della Polonia, la più oppressa, la più sventurata delle nazioni? E infine l’altro mediatore, l’Inghilterra. Intanto non si deve rompere l’armistizio perché questo atto trasformerebbe l’Inghilterra da alleato in nemico. Londra infatti vuole la pace per due ragioni. Primo, la guerra rallenta i suoi traffici, «le rivoluzioni che hanno turbato quest’anno il continente europeo hanno prodotto una diminuzione delle esportazioni degli oggetti manufatti nella Gran Bretagna di parecchi milioni sterlini». Secondo, gli inglesi sentono « una singolare gelosia » per la potenza che sta crescendo attorno alla Prussia, cioè per l’alleanza sempre più stretta tra gli stati tedeschi.

La Germania?

La Germania, non ancora esistente, ma la cui nascita era prossima. Rispetto alla Germania, il conte - quel 20 ottobre 1848 - pronunciò parole profetiche: « Il germanismo appena è nato e già minaccia di turbare l’equilibrio europeo. La Dieta di Francoforte non nasconde il divisamento di estendere il suo dominio sino sulle spiagge del mare del nord, d’invadere coi trattati e colla forza l’Olanda onde diventare potenza marittima, e contestare sui mari l’impero che esercita l’Inghilterra ». Gli inglesi - disse - hanno capito che la guerra in Italia può scatenare lo scontro immane tra popoli tedeschi e popoli slavi, « l’Inghilterra considera la questione italiana non già come questione austriaca, ma come questione germanica. Essa sa che l’impero austriaco non può più esistere nelle antiche sue condizioni; ch’esso deve trasformarsi e diventare impero slavo, oppure essere assorto dall’impero germanico ».