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 2011  maggio 16 Lunedì calendario

Invalsi, critiche Cgil, Cisl e Uil Ma la Gelmini: adesioni al 98% - Le prove Invalsi sono terminate, il ministro Gelmini vuole estenderle anche alla Maturità ma la polemica resta

Invalsi, critiche Cgil, Cisl e Uil Ma la Gelmini: adesioni al 98% - Le prove Invalsi sono terminate, il ministro Gelmini vuole estenderle anche alla Maturità ma la polemica resta. Si discute su tutto, innanzitutto sulle percentuali di partecipazione ai test. L’Invalsi ha annunciato che il test ha coinvolto circa 4.800 scuole e 24.800 classi, di cui oltre 2.300 andranno a costituire il campione su cui effettivamente verrà realizzata l’analisi successiva. Secondo l’Invalsi più del 98% delle classi campione hanno inviato i dati. Insomma un successo per il ministero dell’Istruzione e per l’Istituto che ha realizzato le prove, a dispetto di una forte campagna di boicottaggio voluta dai Cobas. In realtà anche il sindacato autonomo si dice soddisfatto della protesta e dei risultati ottenuti. Almeno il 20% della categoria e degli studenti - sottolinea Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas - si è sottratto a ricatti e minacce». Secondo Bernocchi il dato del 98% di adesione diffuso dal Miur è «ridicolo» perché si riferisce solo alle classi-campione, con circa 50 mila studenti, dove i quiz sono stati gestiti dagli ispettori ministeriali. «E’ tra gli altri 2 milioni e 150 mila che si è svolta la protesta - sottolinea - e alle medie e alle elementari le cifre sono state minori perché molti Collegi avevano deliberato ad inizio anno o perché i quiz Invalsi sono stati imposti come obbligatori alla prova di Terza Media, ma comunque il malcontento è stato diffusissimo». In effetti persino i professori che hanno partecipato alla somministrazione o quelli che sono convinti della bontà delle prove Invalsi per valutare studenti, prof e scuole, hanno numerose critiche da rivolgere ai test e sostengono che molto c’è da fare per migliorare l’iniziativa. E, pur non avendo preso parte alla campagna di boicottaggio dei Cobas, anche gli altri sindacati si sono schierati contro i test. Per la Flc Cgil Flc Cgil «il criterio di un serio sistema di valutazione non può essere solo quello dell’apprendimento finale». Massimo Di Menna, segretario generale della Uil scuola, ha chiesto un incontro con il ministro dell’Istruzione. Esistono ancora molti problemi, avverte: «La prima cosa che balza agli occhi è che l’Italia spende 1/5 di quanto spende la Francia. La seconda - fa notare Di Menna - è il metodo seguito: a dicembre il ministero ha comunicato che si sarebbero fatti i test, limitandosi a inviare alle scuole due circolari. Il resto è scaricato sulle scuole e sui docenti». «Non più del 20% delle scuole - continua il sindacalista - ha effettuato azioni propedeutiche ai test e in alcune scuole la professionalità degli insegnanti è stata considerata al pari dei passacarte. Va poi rilevato che alcune domande dei questionari sono di dubbia utilità». Nel frattempo i Cobas insistono. Hanno annunciato uno sciopero degli scrutini a metà giugno per chiedere anche «la fine della pratica illegale dei quiz Invalsi». *** Nocera Inferiore «Ho strappato la scheda: è inutile» Teresa Vicedomini insegna italiano a Nocera Inferiore nella scuola primaria del III circolo didattico. Ha consegnato alla sua dirigente scolastica una dichiarazione di indisponibilità a somministrare, correggere e tabulare le prove Invalsi. «C’è molto malcontento anche fra chi ha deciso di prestarsi come volontario ma non volevano fare polemiche e hanno accettato. Io no - racconta questi test non mi convincono. Ho studiato psicologia, so che esistono intelligenze multiple e che i ragazzi vanno valutati in modo diverso. Rivendico il diritto di noi insegnanti di valutare liberamente i progressi in base all’attenzione degli studenti e al loro contesto familiare. Rivendico il diritto di decidere se una classe deve completare il programma oppure no in base al livello generale delle conoscenze». E quindi Vicedomini aggiunge: «Di certo non abbiamo bisogno dell’Invalsi per valutare gli studenti sulla base di verifiche e altri strumenti. E non intendo prestarmi a intrusioni nella privacy delle famiglie. A noi insegnanti si chiede di inviare all’Invalsi dati sull’età dei genitori, il titolo di studio, la professione, la nazionalità. Il tutto senza che i genitori ne sappiano nulla - conclude -. Io ho strappato la scheda». *** Pescara «C’è il rischio di diventare dei “testifici”» Carlo di Michele è dirigente scolastico dell’Istituto D’Arte Bellisario di Pescara. «Le prove Invalsi - spiega - non possono essere enfatizzate né scartate a priori. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di elevare la qualità delle scuole e di valutarla. Ma ci dividiamo sull’uso delle prove Invalsi a questo fine. Purtroppo il principale nemico della scuola pubblica è l’autoreferenzialità, nessuno sa che cosa succede nelle classi. Quando siamo genitori protestiamo perché per i nostri figli dobbiamo scegliere al buio. Quando siamo professori abbiamo paura di far luce. Penso che si tratti di un approccio nei confronti del quale è giusto avere una sana curiosità considerandolo uno degli strumenti a disposizione, non l’unico. Né bisogna piegare la didattica ai test, l’educazione dei ragazzi deve essere molto più ampia e proprio se un ragazzo ha una preparazione a tutto tondo può risolvere senza problemi i test pur non avendoli preparati durante l’anno. Le scuole non devono diventare testifici, le prove durano i 3 giorni della somministrazione, poi per i ragazzi terminano lì». *** Torino «Una novità che può stimolare gli studenti e gli insegnanti» Margherita Ambrosione insegna matematica al liceo Gioberti di Torino. E’ fra le «prof» favorevoli alle prove Invalsi ma con una certa dose di spirito critico. «Alle superiori le prove Invalsi di quest’anno sono state somministrate alle seconde classi dando per scontato che provenissero da prime classi dove già aveva avuto applicazione la riforma - racconta -. Le nuove regole invece hanno effetto solo dallo scorso settembre quindi, pur avendo svolto il nostro compito, non terremo conto del risultato delle prove. Per noi docenti è di sicuro un aggravio di lavoro che arriva in un momento dell’anno già piuttosto pieno, è il periodo dei recuperi, della conclusione dei programmi. E poi le prove di matematica mi sono sembrate poco attinenti al programma svolto. Sono però favorevole a tutto quello che permette di allargare gli orizzonti ai ragazzi, a tutto quello che permette di creare un approccio positivo di fronte ad un elemento nuovo come queste prove, e anche a quello che permette a noi insegnanti abituati ad un lavoro piuttosto solitario di fare almeno in questo caso qualcosa insieme», conclude l’insegnante torinese. *** Terni «I quiz creeranno la serie A e la serie B degli istituti italiani» Franco Coppoli insegna italiano all’IISAG, l’Istituto superiore di Istruzione Artistica e per Geometri di Terni. «Durante le prove ho allontanato il somministratore dell’Invalsi per fare la mia normale attività didattica. Avevo diffidato la dirigente scolastica e avvertito il conislgio d’istituto del mio gesto. Insegnare ai ragazzi non significa giocare con le crocette, i miei studenti imparano a scrivere articoli, testi, temi, in modo che possano sviluppare la loro coscienza critica. Per quel che riguarda le scuole invece trovo estremamente scorretto pensar edi poter costruire una classifica sulla base di questi che per me non sono altro che dei banali quiz. I ragazzi di un liceo hanno una preparazione diversa da quelli di un professionale ed è ingiusto legare ai risultati di queste prove il finanziamento che ciascun istituto riceverà in futuro. Si vuole imitare il metodo anglosassone e costruire un ranking delle scuole a livello provinciale che creerà una gerarchizzazione: poche scuole di serie A di alta qualità lasciando le altre senza fondi per migliorare la loro offerta». *** Palermo «Valutato soltanto il nozionismo» Candida Di Franco insegna francese nella scuola media Leonardo Da Vinci di Palermo. «Trovo questo tipo di statistica uno strumento di misurazione non valido perché non permette di verificare le reali competenze, si limita agli aspetti nozionistici delle conoscenze degli studenti. Sono pochissime argomenta - le risposte aperte con la possibilità per i ragazzi di dare spazio alla loro creatività. La maggior parte sono risposte chiuse. E poi si concede poco tempo per completare la prova. Sono contraria e - anche se non in servizio in quei giorni - ho presentato comunque una dichiarazione di indisponibilità a somministrare, correggere e tabulare i test per evitar e di essere coinvolta anche nei giorni seguenti. Non mi piace che si spendano tanti soldi, né che ci siano delle ricadute legate alla valutazione delle scuole, né che siano stati coinvolti in modo coercitivo gli insegnanti anche se non esiste alcun obbligo. I presidi hanno spinto gli insegnati a ritenere che non ci si potesse rifiutare di partecipare alla somministrazione o alle altre operazioni legate ai test». E quindi conclude: «Anche questa è una delle tante falsità messe in giro a proposito delle prove Invalsi». *** Monza e Brianza «Giudicati in modo obiettivo» Marcello Crippa insegna all’Istituto tecnico Martin Luther King di Muggiò in provincia di Monza Brianza. «Penso che le prove Invalsi siano un’esperienza positiva per le scuole e per gli studenti», sostiene. «E’ un modo per arrivare ad una valutazione nazionale sulla base di parametri ufficiali e riconosciuti e uguali per tutto il territorio. Altri tipi di valutazioni utilizzate finora erano soggettive e quindi abbastanza prive di significato». E quindi Crippa aggiunge: «Essere favorevoli non vuol dire cambiare il proprio metodo di insegnamento. Non ho preparato i miei studenti a queste prove se non con una simulazione per dare loro la possibilità di familiarizzare con questo nuovo approccio. E’ molto importante proprio non sacrificare tempo durante l’anno per concentrarsi sulla preparazione dei test, questo sarebbe un errore. Anche per noi insegnanti le prove possono diventare uno strumento di grande utilità perché ci permettono di capire dove ci sono problemi e quindi dove puntare nella nostra didattica - conclude l’insegnante monzese - . E’ un modo per migliorare il nostro lavoro e il primo passo verso una scuola più vicina alle esigenze del futuro».